Tra le botteghe della città eterna

Codognotto e l’anima del suo legno

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Addentrandosi  nei vicoletti attorno a piazza Navona, non sarà difficile imbattersi in locali e bottegucce dalle curiose insegne in legno, indicazioni disseminate qua e là fino a raggiungere l’angolo di via dei Pianellari: “Buongiorno maestro”, saluta un passante che si affaccia nel curioso atelier di Ferdinando Codognotto. Orgogliosamente originario di San Donà del Piave, il vecchio scultore osserva la strada e si diverte ad accogliere turisti e ospiti, regalando una massima, un saluto o un cioccolatino… nessuno prosegue la propria strada a mani vuote dopo aver visitato maestro Codognotto.

Passeggiando per via dei Pianellari è impossibile perdersi: sulla facciata di un palazzo è scolpita la direzione per piazza Navona, per il Lungotevere, addirittura per i bagni pubblici… “Le indicazioni sono nate per gioco, per divertimento: tanti anni fa mio padre aveva piantato dei pomodori in mezzo ad un campo, ma nessuno li vedeva; un giorno mise un grande cartello con scritto ‘guarda che pomodori!’, e la gente cominciò a guardarli. Ora abbiamo tanti mezzi di comunicazione, ma tanta confusione”, ama raccontare l’artista.

“Mio padre faceva il giardiniere”, prosegue, “ mi ha insegnato a leggere e scrivere a quattro anni e mezzo. Dopo le elementari e il terzo agrario ho cominciato la scuola d’arte. Non mi sono ispirato a nessuno, mi sono sempre mantenuto fedele alle mie radici venete, modellavo osservando. Frequentavo la Scuola e allo stesso tempo il liceo meccanico”.

Per questo nelle sculture che campeggiano nella bottega sono inestricabilmente si vedono mescolarsi tecnologia e natura, motivi spaziali, interpretazioni informatiche accanto ad elementi arborei, non in contraddizione tra loro, ma armonizzati all’interno di grandiose figure totemiche ad esaltazione dell’unicità dell’uomo negli aspetti multiformi del suo essere, unificati dal fluire stesso della vita: “a dodici tredici anni ero attratto dalla costruzione meccanica; ma ero anche figlio di un vivaista, attratto sia dalla natura che dalla costruzione delle cose. Via via è venuto fuori il discorso tecno-ecologico: la tecnologia dovrebbe essere al servizio della natura”, spiega Codognotto.  “Come realizzo le sculture? Io uso gli strumenti per lavorare il legno naturale, dalla sega a nastro al trapano a raspe, lime, scalpelli… Lavoro il legno di cirmolo, o Pino cembro, diffuso in val di Fiemme: me lo procura da Predazzo un caro amico proprietario di una ditta, Giorgio Dellantonio. E’ un legno che veniva utilizzato nel 1600 per fare i bureaux veneziani, le specchiere; veniva utilizzato anche per fare i modelli delle automobili, perché è un legno cretoso molto utilizzato in scultura… Lo conosco da quando ero bambino, l’ho sempre lavorato. E’ un legno forte e duttile, assomiglia a me.

L’abilità nella lavorazione l’ho acquisita a Venezia: quando andavo a scuola mi recavo anche nelle botteghe del legno dove eseguivano restauri di sculture antiche… lì ho imparato il legno, lì ho vissuto la scultura sul campo.

Mi sono trasferito a Roma da cinquant’anni. Arrivato qui ho conosciuto tanti artisti importanti: Pericle Fazzini, Manzù, Emilio Greco; all’epoca mi dedicavo sia al restauro di sculture antiche, sia alla scultura, sia al figurativo. A mano a mano, utilizzando la sega a nastro, che è lo strumento base per tagliare il legno, ho cominciato a creare il mio discorso artistico tra tecnologia e natura; cervelli tecnologici, teste, mani, alberi, piante: in tante opere il tecnologico entrava nella scultura”.

Seguendo la voce calda dello scultore gli occhi si spostano sulle figure di legno che si affollano nel pittoresco atelier: “Quel totem, Environment ’74,  è stato a Torino”, indica lui. “Ci sono soli, fiori, piante, animali, cavalli… E’ la scultura simbolo del primo Salone Internazionale sull’Uomo , l’Ambiente e il problema dell’Energia, scelta per il padiglione della Finmeccanica: l’albero, il fulcro del cervello nucleare, l’habitat del futuro, e in cima il cervello dell’uomo come responsabile del bene e del male… A proposito di comunicazione c’è, ancora, la scultura del Cervello Mano alta sei metri; il palmo della mano è il cervello dell’uomo, l’occhio è fotografia, televisione; poi ci sono le rotative, elementi del giornalismo e della comunicazione, infine la mano è la manualità: quell’opera è stata il simbolo della seconda Biennale della Pubblicità al palazzo dei Congressi di Roma nel 1975.

Nel ’76 ci sono state le sale allestite a palazzo Braschi: di quello che sta succedendo oggi in quella mostra esisteva già tutto: i problemi dell’uomo tecnologico, da questo deriva tutto a mio modo di vedere, anche il lato finanziario… A volte converrebbe ascoltare più certi artisti che non certi grandi economisti.

Nel 1980 sono stato invitato alla mostra di Tokyo. Poi c’è stata Natura Macchina Uomo, il Cavallo del Terzo Millennio esposto presso la sede romana Carpoint di piazza San Giovanni di Dio…”.

Si sogna tra i racconti meravigliosi dell’artista, ma senza staccarsi dall’oggi, mentre tutto intorno le pareti della bottega sono tappezzate di fotografie e fogli di giornale che lo ritraggono in tante occasioni.

“Ho ancora il ricordo di Madre Teresa” racconta Codognotto, “inginocchiata davanti all’Arca di legno: ‘In quest’arca  metteremo tutti i bambini’, mi disse sorridendo; un’altra volta le avevo regalato una Maternità. A Giovanni Paolo II regalai invece il modello della Cometa di Halley in occasione della giornata con gli astronomi dell’Agenzia Spaziale Europea, dell’Intercosmos e della Nasa. Di personaggi ne ho incontrati tanti: non frequento gallerie o critici d’arte, ma mi confronto sempre con il quotidiano, essendo qui in strada fin dall’inizio ho cercato di comunicare con qualsiasi tipo di pubblico, dal fruttivendolo al principe…”

L’artista guarda fuori dalla bottega con gli occhi ancora incantati e attenti, spettatore di una realtà che per lui è il centro del mondo: “Una volta mi hanno chiesto perché non sarei andato in Amazzonia… Io guardo gli alberi qui fuori, e per me ecco l’Amazzonia: qui c’è tutto, vai a Trastevere e ti trovi in un’altra città”.

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Maria Gabriella Filippi

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