Cristiani a Hollywood

Intervista al professore Armando Fumagalli

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MILANO, giovedì, 19 aprile 2007 (ZENIT.org).- Cosa ci fanno i cristiani a Hollywood? E’ quanto spiega un volume che raccoglie testimonianze e riflessioni provenienti dalla capitale del cinema.

Apparso prima in inglese e ora anche in italiano, “Cristiani a Hollywood”, di Spencer Lewerenz e Barbara Nicolosi (Edizioni Ares, pp. 240, 14 euro) fa vedere come si vive la fede nel competitivo e duro mondo del cinema.

ZENIT ha intervistato Armando Fumagalli, curatore dell’edizione italiana e autore della postfazione. Per Fumagalli, “i cristiani, come ogni altro professionista, devono avere l’umiltà e la pazienza di imparare dai migliori” e cercare i livelli di eccellenza che superino la “buona volontà”, anche nel cinema.

Cosa ci fanno i cristiani a Hollywood? Contribuiscono a migliorare gli standard cinematografici?

Fumagalli: Direi che prima ancora di chiederci se contribuiscono a migliorare gli standard occorre osservare che attualmente i cristiani praticanti e convinti sono soprattutto pochi.

Parliamo di Hollywood perché i prodotti che nascono lì vanno in tutto il mondo. Ma la presenza di cristiani nel cinema europeo è – se possibile – ancora più scarsa che a Hollywood.

Poi, come sempre, fra i cristiani ci sono quelli più o meno bravi, più o meno preparati, ecc. Ma la questione interessante è, da una parte, chiedersi: come mai negli ultimi decenni sono stati così pochi?

E ancora più interessante, come ha fatto Barbara Nicolosi, cercare di fare in modo che persone di fede si preparino seriamente, con standard professionali molto alti, per poter lavorare anche loro in questo ambiente così competitivo ed esigente, per portare una voce in più nel dialogo fra le varie culture e le varie visioni del mondo che ci sono nel cinema e nella televisione.

Non basta avere buone intenzioni, occorre anche essere eccellenti professionisti. Anche a me, come a Barbara Nicolosi, capita con una certa frequenza di leggere sceneggiature per il cinema scritte con le migliore intenzioni, ma con un livello professionale ancora troppo basso.

I cristiani, come ogni altro professionista, devono avere l’umiltà e la pazienza di imparare dai migliori.

Ci sono molte differenze nell’industria del cinema tra i cattolici e i cristiani di altre confessioni (pentecostali, evangelici, episcopaliani ecc.)?

Fumagalli: Uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpito, quando ho letto il libro nella versione americana, è il senso di spontanea unità fra i cristiani di diverse denominazioni e confessioni, che lavorano nell’industria cinematografica.

Di fronte a un mondo lontano da Dio a cui ridare una dimensione spirituale e una speranza ultraterrena le differenze di confessione cristiana scompaiono naturalmente. Il libro mi è sembrato subito anche un bellissimo esempio di ecumenismo “vissuto”.

Però devo dire anche che – nei saggi degli autori protestanti – si avverte la mancanza di riferimenti dottrinali sicuri su alcune questioni etiche importanti: non hanno un Magistero ufficiale, o almeno non l’hanno con la chiarezza con cui l’abbiamo noi cattolici.

Ho sentito una forte compassione per persone che così seriamente e con grande slancio vogliono fare del bene. E, ancora una volta, sono tornato a considerare il grande tesoro che abbiamo noi cattolici con la guida del Magistero.

Perché l’America “profondamente religiosa” , come dice lei nel libro, ci offre tanti film di sangue e violenza?

Fumagalli: In parte è una questione che dipende dalla loro cultura. Sono un Paese che è civilizzato da pochi secoli, e che per molti decenni della sua storia è stato una sorta di terra di nessuno in cui la legge del più forte era spesso vincente.

Non dobbiamo lasciarci incantare dall’immagine idilliaca spesso veicolata anche dal cinema. Negli anni ’60 del XX secolo in alcuni Stati degli Usa erano ancora tollerati i linciaggi dei neri, solo per fare un piccolo esempio.

La fede cristiana (ma anche il cinema, ne sono convinto) è stato e sarà un elemento di educazione e di trasformazione verso una società meno violenta.

Questa cultura “rude” in parte si è riflessa e si riflette ancora oggi nel cinema americano, che è più tollerante verso la violenza che non il cinema europeo.

Ma non bisogna dimenticare che mentre assai spesso il cinema europeo è di radice nichilista e atea, nel cinema americano ci sono ancora – almeno in alcuni film ogni anno- in modo significativo spiragli di spiritualità, e molto spesso – almeno dal punto di vista umano- le soluzioni che vengono date ai dilemmi dei personaggi sono radicate in un’antropologia equilibrata e umanista, che conserva forti elementi delle sue radici giudaico-cristiane.

Penso non solo a film di ispirazione anche indirettamente religiosa come “Il signore degli anelli” o “Le cronache di Narnia”, ma anche a film come “The Truman Show”, “C’è posta per te”, “The Family Man”, “Master and Commander”, “Hitch”, “Cinderella Man”, “The Interpreter”, e non pochi altri.

Per fare solo un altro esempio a me molto caro, tutti i film della Pixar (“Toy Story”, “Nemo”, “Gli Incredibili”, “Cars”, ecc.) sono esempi molto interessanti di film di enorme successo e dai contenuti umani eccellenti.

Perché accusiamo Hollywood di essere responsabile dei “nostri mali quotidiani”?

Fumagalli: Da una parte perché è vero che il cinema e le serie televisive, che sono i prodotti audiovisivi più diffusi in tutto il mondo, hanno molta importanza nel presentare e diffondere modelli di vita; dall’altra, però, non bisogna dimenticare che è responsabilità di tutti far sì che l’ambiente professionale che ha una così vasta risonanza in tutto il mondo sia oggetto della preghiera, ma anche dell’impegno lavorativo diretto, di uomini e donne che abbiano a cuore la persona e il suo destino eterno.

Per cui non basta incolpare Hollywood dei nostri mali: ciascuno deve chiedersi se può fare qualcosa per migliorare la situazione.

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ZENIT Staff

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