"State buoni se potete": un film esempio di filosofia cristiana

Il professor Stefano Semplici, definisce l’opera del regista Luigi Magni su San Filippo Neri un “invito al sorriso che aiuta a riflettere”

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Il regista e sceneggiatore Luigi Magni, recentemente scomparso all’età di 85 anni a Roma, dove ha ambientato la sua celebre “trilogia papalina”, non sarà certo ricordato come un agiografo di Santa Romana Chiesa. Eppure tra i suoi film ve n’è uno, State buoni se potete, che costituisce, sebbene in versione romanzata, una celebrazione della vita di un santo. Di quel San Filippo Neri che proprio a Roma, nel ‘500, esercitò la sua missione evangelica in mezzo ai ragazzi di strada. Noto per la sua giovialità, il fondatore dell’Oratorio fu anche chiamato il “Santo della gioia”. In Magni pone l’accento su questo aspetto del carattere di San Filippo, riuscendo a contagiare positivamente, divertendolo sì, ma anche narrandogli una bella storia di fedeltà evangelica, persino il più laico tra gli spettatori. E c’è chi considera questo film di Magni un “esempio di filosofia cristiana”. È il professor Stefano Semplici, docente ordinario di Etica sociale all’Università di “Tor Vergata”, nonché presidente del Comitato internazionale di Bioetica all’Unesco e direttore scientifico del Collegio universitario “Lamaro-Pozzini” della Federazione Nazionale dei Cavalieri del lavoro. ZENIT lo ha intervistato, per parlare di State buoni se potete, di San Filippo Neri, del suo amico Sant’Ignazio di Loyola e delle loro convergenti seppur diverse scuole di pensiero.

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Professor Semplici, cosa la porta a ritenere State buoni se potete un film “filosofico” e un esempio di “filosofia cristiana”?

Prof. Semplici: La filosofia è sempre stata intesa come uno stile e una pratica di vita, oltre che un insieme di dottrine e insegnamenti spesso particolarmente complessi e per molti – diciamo la verità – decisamente lontani dalla concretezza della vita reale. Il film di Magni offre un esempio di quella che si chiamava una volta filosofia “popolare”, senza che l’aggettivo stia ad indicare il trionfo della banalità che ha rinunciato a curarsi di quel che davvero è fondamentale e “vale” per la nostra vita. Ben sapendo, naturalmente, che la “messa in scena” di questi valori non va guardata e goduta con l’occhio filologicamente scrupoloso dello storico o del teologo di professione, quanto piuttosto con quello del cercatore di tracce di saggezza nella policroma tavolozza delle vicende umane. In molte delle pellicole di questo regista c’è l’invito al sorriso che aiuta a riflettere. E questa ironia, in fondo, è il gesto inaugurale della filosofia.

Il film è continuamente attraversato dal confronto fra le figure “romanzate” di  San Filippo Neri e di Sant’Ignazio di Loyola. Si può dire, nel senso che ha appena spiegato, che si tratta di due “filosofie” e di due diversi modi di intendere la vita cristiana?

Prof. Semplici: Sic et non. Filippo incarna l’umiltà e la pazienza di chi esorta i bambini (e non solo…) ad essere buoni se ce la fanno, perché il resto è vanità. Ignazio insegna alle sue disciplinate classi a rivolgersi a Gesù come al loro “generale”. Nel primo, anche per la scelta di una povertà radicale testimoniata nel rifiuto della berretta cardinalizia e degli abiti pomposi dietro i quali i suoi ragazzi non lo riconoscono più, sembra privilegiata un’attitudine in qualche modo francescana, inclusiva e comprensiva. Nel secondo sembra prevalere un rigore militare, quasi la traduzione pedagogica e pratica di una fede che ama, ma attraverso l’ordine e l’esercizio. Da una parte, insomma, l’immediatezza e l’universalità del sentimento; dall’altra la fatica della ragione. Sono effettivamente due “scuole” di pensiero. La provocazione più intrigante del film, tuttavia, è quella a pensarne non l’opposizione, ma la convergenza su ciò che è umanamente e cristianamente essenziale.

E in fondo Papa Francesco è un gesuita, proprio come Sant’Ignazio di Loyola. Si possono interpretare in questa prospettiva quegli Esercizi spirituali la cui lettura è tanto indigesta al San Filippo Neri di State buoni se potete?

Prof. Semplici: Mi viene in mente una delle scene conclusive del film. Don Filippo siede davanti all’immagine dell’amico, con in mano appunto il libro che gli aveva sempre promesso di leggere e che non leggerà neppure questa volta, perché per lui è proprio “un mattone”. Perché, allora, padre Ignazio lo aveva riconosciuto fin dal primo momento e senza incertezze come un compagno di viaggio nella santità? La risposta è semplice: lo scopo degli Esercizi, come papa Francesco spiega molto bene all’inizio della sua recente intervista al direttore della “Civiltà Cattolica”, è quello di generare azioni capaci di fecondare la storia e l’esistenza degli uomini nella loro intrinseca dinamicità e non quello di imprigionare la libertà nella monotonia di risposte e comportamenti sempre uguali a se stessi. Ignazio comprende che Filippo, per istinto, fa esattamente questo. Viceversa, anche il rigore dell’austero soldato di Cristo tempra alla missione e non alla chiusura. Due ragazzi che hanno violato una regola – egli conclude in un’altra scena del film, mentre Pippo buono dà la caccia al diavolo in veste di fabbro nei corridoi del convento – possono essere come due uccelletti che cercano la via del cielo. E «se gli uccelletti volano, lasciamoli volare». I due santi esercitano, insieme, misericordia e giudizio. Aprono spazi di libertà e, così facendo, costruiscono speranza. Che è un’altra parola importante nel vocabolario della filosofia.

È esatto, a suo avviso, interpretare State buoni se potete anche come il tentativo di stigmatizzare il potere della Chiesa proponendo San Filippo Neri come un prete anticonformista? In un’epoca in cui la pedagogia prediligeva metodi autoritari, l’espressione “state buoni, se potete” va considerata fuori dagli schemi?

Prof. Semplici: Questo è un tema che, come è noto, si ritrova in molti film di Luigi Magni, dove comunque nelle crepe del potere cresce sempre anche la pianta della comprensione. Parlerei, soprattutto in questo caso, di una pedagogia del “ritorno alle origini” piuttosto che “eversiva”. Filippo, santo, non si ribella mai ai papi che incontra e consiglia nella sua vita. Compreso “papa Sisto, che non perdona neanche Cristo”. Allo stesso tempo, proprio la sua vita offre l’esempio di come la Chiesa “gerarchica” sia sempre stata capace di riconoscere e onorare i santi dell’umiltà. Anche quando non era esattamente questa l’immagine che poteva vedere guardandosi allo specchio…

Torniamo a Filippo e Ignazio. Crede dunque che questi due approcci “filosofici”, benché così diversi, possano convivere all’interno della Chiesa?

Prof. Semplici: Devono. E vorrei dirlo citando ancora l’intervista di papa Francesco ad Antonio Spadaro. Il suo invito a lasciare spazio ad un pensiero “debordante”, alle esperienze di genialità e creatività che aiutano la Chiesa ad andare avanti e rinnovarsi, si unisce alla presa di distanze dal «modo autoritario di prendere le decisioni» della sua giovinezza, che gli appare adesso un errore sanato dall’esperienza. Si configura così un nuovo modo di intendere l’esercizio dell’autorità e lo stesso primato petrino, che richiama il commento del cardinale Martini alla conclusione del Vangelo di Giovanni in un libro intitolato al coraggio della passione. Gesù, mentre cammina con Pietro e Giovanni li segue qualche passo indietro, sembra liquidare bruscamente la richiesta di colui che sarà il primo dei suoi Vicari di sapere cosa fa, qual è il ruolo del discepolo che Gesù amava. «Che importa a te?». A Pietro il Maestro chiede di accettare «che ci saranno molte sorprese», di non pretendere che tutto debba rispondere a lui, di rispettare «la possibilità di Gesù di agire un po’ come vuole e di suscitare cari
smi, sequele, cammini spirituali inediti». State buoni se potete. Ma anche: date a Dio tutto l’amore. Non è detto che sia una via più facile e comoda di quella della precettistica che proprio il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” non mostra affatto di privilegiare.

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Federico Cenci

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