Martires de Nembra - Foto: Santi e Beati

Spagna. Beatificati a Oviedo quattro martiri della Guerra civile

Un sacerdote, due minatori e uno studente furono assassinati crudelmente nell’ottobre del ’36 per il loro zelo apostolico e per non aver abiurato la fede. La celebrazione presieduta dal card. Amato

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Un sacerdote e tre suoi parrocchiani: due minatori e uno studente. Sono i quattro martiri uccisi a Nembra, nella diocesi di Oviedo, vittime della persecuzione religiosa del ’36, durante la Guerra civile spagnola, beatificati oggi nella Cattedrale di Oviedo, durante una celebrazione presieduta dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
I nuovi Beati, più noti come i martiri di Nembra, dal nome della parrocchia in cui prestavano il turno notturno di adorazione eucaristica, si chiamano Genaro Fueyo Castañón, prete diocesano, Isidro Fernández Cordero, marito e padre di 7 figli, Segundo Alonso González, che di figli ne aveva 12, e il giovane Antonio González Alonso.
Era il 21 ottobre di 80 anni fa, quando don Fueyo Castañón, parroco di Santiago apostolo a Nembra, venne incarcerato. Aveva 72 anni e dal 1899 svolgeva il ministero pastorale in questo paese religioso, situato nelle Asturie. In quei luoghi, nell’ottobre 1934 – come ricorda L’Osservatore Romano – erano sorti i primi movimenti rivoluzionari che poi sfociarono nella guerra civile.
Quella di Nembra era una parrocchia viva, dalla quale erano uscite numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Il parroco aveva promosso una sezione dell’Adorazione eucaristica notturna, alla quale partecipava in prima persona. Circa un centinaio gli iscritti: minatori e contadini, che venivano pure dai paesi vicini, camminando anche per quattro ore per arrivare a Nembra. Lì c’erano anche i “tarcisi”, i ragazzi che si riunivano una volta al mese. Tanto zelo e tanta presa sulla popolazione davano fastidio agli anarchici.
Il parroco, dopo l’arresto, venne condotto nella sala della guardia dell’Adorazione eucaristica, al secondo piano di un edificio attiguo alla chiesa parrocchiale. In quel luogo adibito a carcere si trovava anche il minatore Fernández Cordero. Era sposato con Celsa e dei suoi 7 figli, tre sarebbero diventati religiosi. Invitato alla fuga da un vicino, rispose che non voleva farlo, perché si sarebbero vendicati sulla famiglia. “Ci hanno sempre accusato di essere gente di preghiera e retrogradi, per cui l’unico delitto di cui siamo accusati è essere cattolici”, disse.
Alonso González era falegname e lavorava anche lui nella miniera. Quel giorno di ottobre fu arrestato e incarcerato nella chiesa di Nembra. Ai suoi compagni di cella diceva: “Molte volte abbiamo trascorso qui la notte per il turno di veglia davanti al Santissimo Sacramento, dato che ora non possiamo farlo, recitiamo il rosario e facciamo un sincero atto di contrizione mettendoci nella mani di Dio, dato che qualcuno di noi può avere i giorni contati”.
Fu incarcerato anche il 24enne González Alonso Quería. La colpa? Il suo impegno cristiano. Il giovane voleva entrare nell’ordine domenicano, seguendo suo fratello, ma a causa della tubercolosi dovette rinunciare. Studiava alla scuola di magistero e anche lui era adoratore notturno. I suoi aguzzini gli proposero di salvarsi se avesse rotto un quadro del Sacro Cuore e distrutto la mensa dell’altare della parrocchia. Rifiutatosi, venne percosso e gli tagliarono la lingua per poi gettarlo in un pozzo.
Dopo di lui furono uccisi anche i due minatori e il parroco don Genaro che chiese di essere l’ultimo per far coraggio agli altri.   Il loro assassinio si aggiunge a quello di 193 martiri durante quel tempo di terrore rivoluzionario in cui oltre 6mila tra sacerdoti, religiosi e seminaristi, insieme decine di migliaia di laici pagarono con la vita il solo fatto di essere cattolici praticanti.
Un tempo in cui – ricorda il cardinale Amato ai microfoni della Radio Vaticana – “fu proibito l’insegnamento cattolico nelle scuole pubbliche e fu ritirato il Crocifisso. Fu vietato agli ordini religiosi di esercitare la loro missione educatrice e si requisirono i loro edifici. Furono nazionalizzati gli immobili della Chiesa e si emanarono leggi contro l’istituzione familiare. Fu una feroce tirannia a favore dell’ateismo sociale”.

“Il sangue versato dai cristiani è la rugiada che feconda la Chiesa”, afferma il cardinale, riprendendo le parole di Papa Francesco. “Se si dimentica il passato si è condannati a ripeterlo. Il ricordo è necessario nella vicenda dei nostri martiri, perché, uccisi in odio alla fede, risposero ai loro assassini con il perdono, diventando così eroi di autentica umanità e vincitori inermi di una diabolica e cieca violenza. A distanza di tempo il loro ricordo evidenzia la sublimità della mitezza cristiana e la fragilità del male. Solo la pietà rende umana la società”.
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ZENIT Staff

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