Sempre più Paesi “blindati” contro il “matrimonio omosessuale”

di Rafael Navarro-Valls*

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ROMA, mercoledì, 8 giugno 2011 (ZENIT.org).- Le grandi questioni giuridiche non si limitano alla sfera nazionale, ma possono avere portata planetaria. Così è avvenuto, per esempio, con i dibattiti sulle codificazioni. E così sta avvenendo oggi con l’eterosessualità del matrimonio.

Si percepisce la tensione tra le due opposte tendenze. La prima è quella che in termini di diritto internazionale si chiama “effetto domino”. Ovvero, la propensione espansiva di un’istituzione giuridica, quando questa viene adottata da un sistema politico che ha una certa influenza sugli altri.

La particolare gravità dell’accettazione da parte della Spagna – non senza forti opposizioni, bisogna dirlo, da parte degli organi giuridici spagnoli di maggior rilievo – del cosiddetto matrimonio tra persone dello stesso sesso, consiste nel fatto di aver prodotto una reazione emulativa in alcuni Paesi dell’America latina (per esempio l’Argentina, o più limitatamente lo Stato del Messico Distretto Federale, che rappresenta solo l’8% della popolazione del Messico) dove la struttura configurativa del matrimonio è stata profondamente modificata, al punto da accettare il matrimonio tra omosessuali. In altri Paesi (Chile, Ecuador, Perù, ecc.) la questione è stata posta a livello politico o giuridico, ma senza produrre cambiamenti significativi nella configurazione del matrimonio.

Accanto a questa tendenza espansiva, l’adozione, da parte di alcuni ordinamenti giuridici, del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha prodotto una reazione contraria. Ciò che ho talvolta chiamato “effetto blindatura”, ovvero la difesa del matrimonio eterosessuale attraverso la costituzionalizzazione della sua eterosessualità.

L’ultimo esempio in Europa di questa tendenza si è verificato in Ungheria. Il 25 aprile il Parlamento ungherese ha approvato con 262 voti contro 44 (ben più dei due terzi richiesti) una nuova Costituzione che elimina gli ultimi residui comunisti di quella del 1990. Per quanto riguarda il matrimonio, si stabilisce espressamente la tutela “dell’istituzione del matrimonio, considerato come l’unione naturale tra un uomo e una donna e come fondamento della famiglia”.

Qualche tempo prima, la Costituzione polacca del 1997, all’articolo 18, ha definito il matrimonio esclusivamente come “l’unione tra un uomo e una donna”. Infine, la Costituzione della Lituania (del 1992) stabilisce che “il matrimonio deve essere effettuato con il consenso reciproco e libero dell’uomo e della donna”, definendo nel codice civile il matrimonio come “l’accordo volontario tra un uomo e una donna”.

Quale delle due tendenze avanza con maggiore rapidità? Contrariamente a quanto ci si potrebbe immaginare, la realtà è che esiste un equilibrio instabile, fatto di reazioni e contro-reazioni, che dipingono – a mio avviso – un panorama più vicino alla difesa del matrimonio eterosessuale che non all’avanzare del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Prescindendo dal polverone mediatico dell’uno o dell’altro segno, è opportuno limitarci ai dati di fatto. Una rapida panoramica probabilmente confermerà ciò che sostengo. Tornando all’Europa, la verità è che se i Paesi Bassi (2001), il Belgio (2003), la Spagna (2004), la Norvegia (2009), la Svezia (2009) e il Portogallo (2010) hanno disciplinato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la corrente maggioritaria si mostra piuttosto disposta a concedere determinati effetti alle unioni civili tra omosessuali, e meno a trasformare quelle unioni in veri e propri matrimoni.

Già abbiamo visto la tendenza dei Paesi dell’Est europeo a costituzionalizzare l’eterosessualità del matrimonio. In altri Paesi europei (Francia, Italia, Germania, ecc. ), a prescindere dalla maggiore o minore intensità con cui si svolga il dibattito, la posizione degli organi legislativi e giudiziari si mantiene su un equilibrio che non tende verso la concessione “tout court” dello status matrimoniale alle unioni civili. In questo senso, per esempio, a febbraio di quest’anno, la Corte costituzionale francese ha decretato che il divieto del matrimonio omosessuale, ai sensi di quanto prevede il codice civile, è conforme alla costituzione francese.

L’America latina è un ambito giuridico che reagisce rapidamente di fronte a modelli diversi. Un esempio. Sono appena rientrato dal Messico, dove ho visitato diversi Stati per questioni accademiche. L’unico degli Stati federati in cui è stato approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso è Città del Messico. La reazione è stata immediata. Alcuni degli altri Stati – Jalisco, Morelos, Sonora, Tlaxcala e Guanajuato – hanno fatto ricorso alla Corte suprema per rendere incostituzionale la norma. La Corte ha dichiarato legittimi i matrimoni celebrati a Città del Messico (naturalmente senza imporli agli altri Stati) e immediatamente il Parlamento dello Stato della Bassa California ha modificato l’articolo 7 della sua Costituzione, definendo il matrimonio esclusivamente come “l’unione tra un uomo e una donna”.

Questa tendenza a “blindare” le costituzioni statali sta trovando eco in alcuni altri Stati messicani, centroamericani e sudamericani.

Negli Stati Uniti, il matrimonio tra persone dello stesso sesso è riconosciuto da sei Stati: Massachusetts (2004), Connecticut (2008), Iowa, Vermont, New Hampshire e Distretto di Columbia (questi ultimi nel 2009). Tuttavia, come reazione a questa tendenza espansiva – precedente o successiva a queste date – più di 20 Stati hanno modificato le proprie costituzioni per definire il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna. Una blindatura di fronte alla tendenza espansiva.

Qualche giorno fa, Obama ha dato istruzioni al Dipartimento della giustizia di non appoggiare più, nei tribunali, la legge federale approvata nel 1996 durante l’Amministrazione Clinton, nella quale si definisce il matrimonio come l’unione legale tra un uomo e una donna. Questa “legge di difesa del matrimonio” (Defense of Marriage Act – DOMA), per la quale nessuno Stato è obbligato a riconoscere come matrimonio una relazione tra persone dello stesso sesso riconosciuta come matrimonio in un altro Stato, era stata approvata a suo tempo con un’ampia maggioranza trasversale in entrambe le Camere del Congresso.

La reazione è stata immediata. Il Presidente della Camera dei rappresentanti ha annunciato l’intenzione di istituire un comitato giuridico consultivo, formato da membri di entrambi i partiti, per difendere la DOMA. “È spiacevole – ha detto – che l’Amministrazione Obama abbia aperto questa questione così controversa in un momento in cui gli americani si aspettano che i propri rappresentanti si concentrino sull’occupazione e sui problemi economici. La legittimità costituzionale di questa legge deve essere accertata dai tribunali e non dal Presidente in modo unilaterale, e questa decisione della Camera vuole garantire che la questione sarà affrontata in modo conforme alla Costituzione”.

Il bilancio finale è che dei 192 Paesi riconosciuti dall’ONU (più 10 esistenti di fatto, anche se non inseriti ufficialmente in tale Organizzazione) sono solamente 10 gli Stati, più alcuni Stati federati del Messico e degli Stati Uniti, che riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tra questi non figura nessun Paese asiatico e nessun Paese africano (salvo il Sud Africa), e solamente uno dell’America latina e una parte di un altro.

<p>Mettendo a confronto l’entità demografica di questo piccolo gruppo di Paesi, con quella del resto del pianeta che rifiuta il modello del matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’anomalia giuridica risulta ancora più localizzata. Certamente è una localizzazione con tendenza all’espansione, ma sembra che la maggioranza degli ordinamenti giuridici tende a difendersi, cercando altre formule che riequilibrino la concessione di alcuni effetti alle unioni tra persone dello stesso sesso, con il diritt
o di mantenere le istituzioni giuridiche nella loro reale configurazione, compreso il matrimonio come unione tra uomo e donna.

Riuscire a far prevalere il buon senso – comune e giuridico – in questa importante materia, richiede – soprattutto ai giuristi – la qualità propria degli uomini che difendono la giustizia: la fermezza inamovibile delle convinzioni, moderata dalla flessibilità nella loro applicazione.

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*Rafael Navarro-Valls è docente della Facoltà di diritto dell’Università Complutense di Madrid e segretario generale della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación spagnola.

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ZENIT Staff

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