Raimondo Lullo: un esempio per riuscire a evitare uno scontro dell'ignoranza

L’introduzione di Sara Muzzi al volume “Il libro del Gentile e dei tre Savi”

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ROMA, sabato, 21 aprile 2012 (ZENIT.org) – La presente realtà storica, sempre più caratterizzata da un società multietnica, multiculturale e multireligiosa, pone questioni e domande che possono diventare occasioni o sfide a seconda di come vengono affrontate.

Recentemente il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in una intervista realizzata dalla tv araba Al Jazeeraha affermato: «Siamo riusciti a evitare lo scontro di civiltà, possiamo riuscire a evitare uno scontro dell’ignoranza». Perché questo si realizzi, cercando nel passato esempi e correnti di pensiero che possano offrire elementi per una risposta adeguata, sempre più emerge la vicenda e gli insegnamenti di Raimondo Lullo.

In questa prospettiva è stato pubblicato il volume Raimondo Lullo, Il Libro del Gentile e dei tre Savi, a cura di Sara Muzzi, traduzione italiana di Anna Baggiani (Letture cristiane del secondo millennio), Ediz. Paoline, Milano 2012. Di seguito offriamo un’anticipazione dell’ampia Introduzione di Sara Muzzi.

Con uno studio durato nove anni, Raimondo Lullo acquisì una buona conoscenza della lingua araba, dei principi dell’islam e della cultura araba. Ritiratosi poi sul Monte Randa, nel territorio di Llucmajor a Maiorca, per un periodo da dedicare alla contemplazione, ebbe la rivelazione ispiratrice «sulla forma e il modo» del libro migliore per la conversione degliinfedeli.

Dopo la stesura di questo testo, Lullo venne chiamato a Montpellier dall’infante Giacomo e le sue opere vennero esaminate da un teologo francescano, che ne riconobbe la devozione. Sarà lo stesso Giacomo, divenuto Giacomo II di Maiorca, a fondare e a finanziare nel 1276 la scuola di specializzazione di Miramar, un luogo a picco sul mare sulla costa nord di Maiorca, propostagli da colui che era stato il suo precettore.

La ricerca di un’approvazione ufficiale ai suoi progetti impegnerà incessantemente il Dottore Illuminato negli anni successivi e per questo compirà numerosi viaggi. Solo in Italia se ne contano quindici: a Roma, a Genova, a Pisa, a Messina, a Rieti, a Anagni, a Napoli e probabilmente a Bologna. Anche Montpellier e Parigi, dove ottiene l’autorizzazione all’insegnamento, sono due città molto frequentate da Lullo, che si recò pure a Barcellona e compì viaggi missionari fino a Tunisi, a Bugia (l’odierna Bèjaia, provincia nel Nord dell’Algeria) e a Cipro.

La sua vita leggendaria lo porterà sino alla lapidazione, come vuole la tradizione non accertata, subita a Bugia, da parte dei saraceni, e alla morte, nella Baia di Maiorca, come martire di Cristo. Siamo tra il dicembre del 1315 e il marzo del 1316, quando Lullo muore all’età di circa ottantaquattro anni e viene sepolto nella Basilica di San Francesco dell’odierna Palma di Maiorca.

I resti mortali “del Figlio Maggiore di Maiorca” – come viene venerato dai Maiorchini – si trovano nella Cappella di Nostra Signora della Consolazione, in un monumento sepolcrale gotico, illuminato dalle lampade votive della devozione popolare. La causa di canonizzazione, molto complessa a motivo del problema dell’ortodossia dottrinale dei suoi scritti, sta procedendo lentamente.

Dopo la sua morte, infatti, gli eccessi di alcuni gruppi di lullisti valenziani, influenzati dalle idee degli Spirituali, portarono l’inquisitore domenicano della Corona d’Aragona, Nicola Eimeric, a una campagna contro le dottrine di Lullo. Nel 1376 venne pubblicata una lista con cento articoli (Directorium Inquisitorum), in cui l’inquisitore condannava soprattutto il suo preteso razionalismo; questo fece scendere sull’intera opera l’ombra del sospetto di eresia.

L’autorità riconosciuta agli inquisitori ha influito anche sul riconoscimento ufficiale delle esemplari qualità di cristiano di Lullo. Con i lavori condotti dai maestri dell’ordine dei predicatori che costituirono la Commissione Ermengol nel 1386, da Amédée Pagès nel 1938, e nel 1997 da Josep Perarnau presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, si è potuto vedere che siamo in presenza di personali rielaborazioni dell’inquisitore che aprono una doppia questione: una relativa alla fedeltà testuale degli articoli delDirectorium Inquisitorumin relazione ai testi originali e una concernente la fedeltà al pensiero dell’autore.

A Lullo venne, inoltre, attribuita una serie di scritti alchemici, che col tempo si fece sempre più ampia: tuttavia gli argomenti contro la paternità da parte di Lullo di quei testi sono solidissimi, anche se i tentativi di dare un nome agli autori non hanno portato a risultati definitivi.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione