Papa Francesco, Assisi e la beata Angela da Foligno

Quando il 4 ottobre prossimo il Pontefice visiterà la tomba del Santo, entrerà nella basilica dalla stessa porta da cui passò la terziaria nell’autunno del 1291

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Nel programma della visita papale ad Assisi il prossimo 4 ottobre è prevista la visita alla tomba di san Francesco giungendo dall’ingresso principale della Basilica Superiore. Si tratta della stessa porta da cui la beata Angela da Foligno entrò nell’autunno dell’anno 1291 e, alzando gli occhi, vide la cosiddetta “vetrata degli Angeli” raffigurante Cristo che tiene stretto in sé san Francesco, proprio come in quella adiacente la vergine Maria porta il bambino Gesù. Quella visione gli causò una gioia incontenibile che Angela espresse con alte grida, tanto da destare l’attenzione dei circostanti, soprattutto di un frate originario anche lui di Foligno il quale successivamente si fece raccontare l’accaduto. Da tale narrazione ebbe origine uno dei maggiori testi della spiritualità e mistica cristiana, ossia il Memoriale della beata Angela da Foligno.    

La fedele [beata Angela da Foligno] venne una volta [alla Basilica di] San Francesco, ad Assisi, dove vivevo in convento, e gridò molto, stando seduta all’ingresso della chiesa. Di questo fatto io, che ero suo confessore, parente e anche consigliere principale e particolare, mi vergognai molto, soprattutto perché parecchi frati, che conoscevano me e lei, erano venuti a vederla, mentre urlava.

Sebbene allora quel sant’uomo, suo compagno di viaggio – che poi morì e di cui […] è stato detto che voleva espropriarsi dei beni insieme a lei – umilmente stesse seduto in chiesa sul pavimento, non molto lontano da lei e la guardasse e osservasse con massimo rispetto e una certa mestizia e altrettanto facessero gli altri compagni, uomini molto buoni e anche donne, tuttavia, tanta fu la mia superbia e vergogna, che non mi avvicinai a lei, ma la guardai con imbarazzo e sdegno, mentre urlava, rimanendo alquanto lontano. Anche quando smise di gridare e si alzò dall’ingresso della chiesa e venne da me, a stento potei parlarle con calma. […]

Ritornato da Assisi alla città mia e della fedele [ossia Foligno], cercai di sapere perché aveva urlato a San Francesco e di indurla con tutte le forze, facendo leva su tutti gli obblighi che lei aveva nei miei confronti, a dirmelo assolutamente. Così costretta, avuta prima la precisa promessa che non avrei detto nulla a nessuno che la conosceva, iniziò il racconto, dicendo che quella volta che camminava verso Assisi stava pregando. Tra l’altro supplicava il beato Francesco di implorare Dio per lei, perché potesse fare esperienza di Cristo, e di impetrarle la grazia di osservare bene la Regola che aveva professato da poco e soprattutto di farla vivere e morire veramente povera.[…]

Aggiunse: […] mi recai la seconda volta nella chiesa di San Francesco. In tale occasione, appena mi misi in ginocchio all’ingresso della chiesa e vidi san Francesco dipinto nel seno di Cristo, mi disse: «Così ti terrò stretta e molto di più di quanto si possa vedere con gli occhi del corpo. Ora, figlia dolce, mio tempio, mia delizia, è tempo che adempia ciò che ti ho predetto; riguardo a questa consolazione ti lascio, ma non ti abbandonerò mai, se mi vorrai bene». Tali parole, sebbene amare, mi procurarono massima dolcezza; allora guardai, per vedere qualcosa con gli occhi del corpo e quelli dell’anima.

Poiché a quel punto le chiesi: – Cosa vedesti? –, lei rispose: – Vidi una cosa piena, una maestà immensa che non so descrivere; ma mi sembrò che fosse Ogni Bene. Quando partì da me, mi rivolse parole dolci con immensa soavità e si allontanò pian piano, lentamente. Allora, dopo la sua partenza, cominciai a urlare e senza alcuna vergogna gridai: «Amore non conosciuto, e perché?», cioè: «Perché mi lasci?». Non potevo dire di più; solamente urlavo senza vergogna, dicendo: «Amore non conosciuto, e perché e perché e perché?». Tuttavia le mie parole erano così coperte dalle grida, che non se ne capiva neppure una. A quel punto egli mi lasciò con la certezza assoluta che era Dio. Io volevo morire, e perciò urlavo e provavo gran dolore, perché non cessavo di vivere e tutte le giunture del mio corpo si scompaginarono.

Partita da Assisi con quella grandissima dolcezza, mi incamminai verso casa e lungo la via parlavo di Dio. Per me era una gran pena tacere, ma, come potei, cercai di stare zitta, per rispetto nei confronti dei miei compagni. Per strada egli, tra le altre cose, mi disse: «Per dimostrare che sono io che ti parlo e ti ho parlato, ti do un segno, metto cioè in te la croce e l’amore di Dio; esso sarà con te in eterno». Io sentii subito la croce e l’amore nella mia anima e avvertii fisicamente la croce e, percependola, l’anima si sciolse nell’amore di Dio. Egli sulla strada verso Assisi mi aveva detto: «Tutta la tua vita, il mangiare, il bere, il dormire e ogni altra cosa mi piace».

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ZENIT Staff

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