"La forza di Sisifo" di Alberto Cavallari

Gli articoli di un maestro del giornalismo raccolti in un libro edito da Aragno

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di Antonio D’Angiò

ROMA, sabato, 10 marzo (ZENIT.org).- La prima pagina del Corriere della Sera di domenica 17 giugno 1984 si apriva con l’editoriale di addio, intitolato “Commiato”, di Alberto Cavallari dalla direzione del giornale. All’interno due belle citazioni, una di Francesco Giuseppe, conclusiva, ironica, e un poco amara: “E’ stato molto bello, signori; ringrazio tutti, proprio tutti; compresi quelli che non dovrei ringraziare” e l’altra di San Paolo, che può considerarsi una sorta di lascito morale di Cavallari al quotidiano milanese a conclusione di un’esperienza faticosa e per certi versi drammatica: “Bonum certamen certavi; cursum consummavi; fidem servavi” più o meno: ”ho combattuto una buona battaglia; ho terminato la corsa; ho conservato la fede”.

Alberto Cavallari era nato a Piacenza nel 1927. Dopo la Resistenza aveva collaborato con diversi giornali e riviste tra cui “Il Politecnico” di Elio Vittorini e nel 1950 era stato tra i fondatori di “Epoca” per passare nel 1954 al Corriere della Sera come inviato speciale. Sono importanti le sue cronache sulla rivolta di Budapest nel 1956, sulle guerre israeliane, sulla caduta di Kruscev in URSS e sulla rivoluzione culturale in Cina; assume poi la direzione de “Il Gazzettino” dal 1969.

Sono almeno due i passi che consegnano Cavallari alla storia del giornalismo: è stato l’autore della prima intervista mondiale ad un Papa (Paolo VI nel 1965) ed ha diretto il Corriere della Sera tra il 1981 ed il 1984 dopo la crisi della P2; un giornale sull’orlo del fallimento economico che fu chiamato a dirigere nel nome della “questione morale”, avendo come riferimento istituzionale il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Questa intervista e alcuni dei suoi famosi editoriali sul ruolo del giornalismo nel periodo di direzione del Corriere, si trovano nel libro edito da Nino Aragno Editore curato da Marzio Breda e intitolato “La forza di Sisifo” (pp. 258, € 15). Perché Sisifo? Come disse Camus a Cavallari: “L’uomo forse non sa cos’è il bene. Ma sa cos’è il male, sa che rifiutarlo è possibile, che forse è la sola cosa che può fare. Per questo Sisifo ricomincia da capo. Per questo paga la passione di vivere su questa terra senza svendere la coscienza per la sopravvivenza”.

Breda, che traccia nella prefazione la vita professionale e intellettuale (anche politica con il legame con Giustizia e Libertà) di Cavallari, dà corpo anche ai rimandi con grandi scrittori come Buzzati, Camus, Magris, Sciascia ed ai confronti con alcuni grandi giornalisti italiani del tempo (Montanelli, Ronchey, Scalfari); ma, il giudizio finale che resta scolpito, è quello del cardinale Achille Silvestrini al funerale di Cavallari nel luglio del 1998: “Ha combattuto contro quei grandi bastioni: le ideologie disumanizzanti, i poteri occulti che asserviscono l’uomo, la pretesa irresponsabilità dei potenti”.

I trentasette articoli selezionati che compongono l’opera, sono suddivisi in quattro sezioni: “Cronache e Reportages”; “Le opinioni, il potere, l’Italia”; “Sul giornalismo” e “Interviste, inchieste, idee”. Se dovessimo indicarne uno per ambito come esempio di suoi giudizi che travalicano il tempo per diventare un tutt’uno con l’affermazione di Silvestrini; pensiamo in particolare, ad alcune riflessioni sulle questioni del rapporto dell’uomo con il progresso scientifico (delle quali era attento osservatore) riferito agli aspetti della tecnologia, della medicina e della economia.

Su “Il Gazzettino” di domenica 20 luglio 1969, poche ore prima che l’uomo mettesse per la prima volta piede sulla luna, Cavallari termina il suo intervento parlando di un uomo che, andando sul nuovo pianeta, deve comunque sapersi difendere anche dai “nuovi” mali: “Non escluso il dogmatismo scientista. Se lassù porta il dubbio (cioè la vera scienza) insieme alla conoscenza di ‘ciò che non siamo e di ciò che non sappiamo’, la data sarà davvero memorabile”.

In un’altra intervista, il tedesco Werner Forssmann, premio nobel per la medicina nel 1956 per i suoi studi sul cuore, (portati avanti anche sottoponendosi personalmente a degli esperimenti i cui effetti erano ancora visibili sulle braccia con evidenti cicatrici), così rifletteva con Cavallari nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera dell’8 settembre 1962 a proposito della chirurgia al cuore e della corsa scientifica tra URSS e USA: “Il problema non è infatti di operare molto. E’ di salvare i malati gravi e di non operare i malati non gravi.”

Inconclusione si trova anche un pensiero sull’ economia finanziaria: “Già il quadro generale colpisce, per la quantità di gente che smette di mettere in opera il proprio denaro e la propria competenza (facendo dell’industria, dell’agricoltura, del commercio) e preferisce non mettere in opera nulla, cioè fare della finanza, perché ciò rende di più. Ma nel quadro generale impressiona la nuvola di finanza avventuriera che (…) è riuscita a prosperare avvolgendo il Paese in vaste ragnatele”. Era il 5 ottobre del 1984 con il suo primo articolo di collaborazione con La Repubblica.

Se poi, in quella ultima “prima pagina” ingiallita del Corriere di Cavallari del giugno 1984, ampliamo lo sguardo oltre l’editoriale di commiato, possiamo trovare i titoli sulla tracciabilità nel possesso di BOT e CCT, sugli scioperi dei trasportatori di carburante, sulla crisi dell’ amministrazione della Giustizia, ecco che si potrebbe pensare o alla immutabilità di alcune questioni italiane oppure alla capacità di individuare la storia nel quotidiano.

Come in fondo frammenti di storia sono questi trentasette articoli.

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ZENIT Staff

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