L'importanza del counselling nella diagnosi prenatale

Intervista al prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina prenatale

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Massimo Losito

ROMA, giovedì, 3 giugno 2010 (ZENIT.org).- Si terrà lunedì 7 giugno presso l’Aula Brasca del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma, l’incontro che ha per titolo “Il contenimento del dubbio diagnostico: il counselling per la vita prenatale”.

Promosso dal Centro Studi per la Tutela della salute della Madre e del Concepito dell’Università Cattolica, in collaborazione con “La Quercia Millenaria Onlus”, il meeting spiegherà come la Medicina prenatale, di cui un buon counselling fa parte, è la disciplina che affronta le problematiche materne e fetali durante la gravidanza, con attenzione anche alle misure preventive.  

La cura delle mamme nella fase iniziale della gravidanza è molto importante perchè soprattutto in fase di diagnosi prenatale, un counselling incerto, poco corretto o addirittura errato, può indurre le coppie dei genitori in ansia verso la scelta dell’aborto.

Un counselling corretto permette alla coppia di avere un approccio reale con il problema, evita azioni drastiche dettate dall’angoscia, incoraggia i genitori ad avere un rapporto di tenerezza e protezione nei riguardi del bambino, li sprona nel desiderio di curare e non di eliminare, ed avvia ad una crescita personale e ad un adeguato modo di gestire la propria famiglia, anche in relazione ai figli presenti e al futuro della coppia stessa.

Per approfondire un tema di così grande attualità e urgenza per la cura e la protezione delle mamme e dei nascituri, ZENIT ha intervistato il prof. Giuseppe Noia, responsabile del Centro di Diagnosi e Terapia fetale presso il Policlinico Gemelli di Roma e docente di Medicina prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, nonché cofondatore, Vicepresidente e Direttore del Comitato Scientifico de La Quercia Millenaria Onlus.

Professor Noia, un convegno sul counselling… come mai?

Noia: Sul counselling si gioca il destino di tanti bambini. Il counselling tratta di come viene presentata la situazione reale da un punto di vista rigorosamente scientifico, della condizione effettiva di un bambino in utero; molto spesso, la paura o l’ignoranza di tanti che non conoscono realmente le storie naturali delle patologie fetali, generano da parte degli operatori l’amplificazione di un fatto che sembra essere, ed invece non è realmente; in questo senso, il contenimento del dubbio diagnostico, diventa essenziale per evitare alla donna e alle famiglie, la pratica devastante dell’aborto.

L’argomento del “counselling”, gode della giusta importanza in ambiente medico?

Noia: Questa domanda è di grande attualità, perché il momento del counselling riveste per molti operatori medici, per molti ginecologi ed ecografisti, non solo una valenza di ordine clinico, ma anche una valenza di ordine medico-legale. E purtroppo il counselling, come dicevamo prima, non viene effettuato né riconosciuto nella sua estrema importanza; viene spesso fatto in maniera direttiva, cioè quasi a costringere le scelte delle donne. C’è quel bellissimo libro “Nascite ribelli”, di una autrice americana, che dimostra come nella società statunitense, i medici quasi costringevano le donne a scegliere l’interruzione, dimenticando che il counselling è un momento medico assolutamente “neutro”. Poi interviene l’aspetto del destino di quel bambino… noi non possiamo essere neutri dinanzi al destino del bambino, ma neutri nel senso di “oggettivi” e “scientificamente rigorosi” su quello che realmente è la storia naturale di quelle patologie. In questo modo il bambino viene assolutamente considerato.

Possiamo affermare quindi, che la capacità di fare counselling, deve viaggiare di pari passo con il saper usare la tecnica?

Noia: Io direi che deve viaggiare di pari passo non solo con il saper usare la tecnica, ma anche sviluppando una medicina condivisa. Perché una volta che noi, in maniera oggettiva abbiamo descritto le reali condizioni del bambino, dobbiamo anche far  subentrare una certa empatia. La neutralità non deve essere confusa con la completa passività dinanzi al destino di quel bambino. Il nostro compito è dire ad esempio: “Guarda, lì c’é un burrone e sicuramente se ci vai ti fai male”… questa è la oggettività del fatto. Poi la donna dice che vuole andarci, e a quel punto interviene l’empatia, la condivisione, e si parla meglio con la donna per farle capire. Questo fa parte del counselling: non solo individuare i problemi del bambino, ma anche farsi carico delle paure, delle difficoltà della donna e della coppia.

Perché, secondo lei, oggi il ricorso all’aborto in caso di malformazioni è così frequente?

Noia: Perché viviamo in una società dove il senso del dolore e del sacrificio non deve assolutamente esistere. Il concetto che si vive oggi di sollievo del dolore, è accettato parzialmente. Oggi si tende ad annullare la sofferenza, e si sbaglia doppiamente, primo perché non si può “eliminare la sofferenza, eliminando il sofferente” e secondo perchè la sofferenza può essere lenìta, ma non eliminata dalla vita degli uomini. Si dà alla scienza una capacità che la scienza non ha. Con la capacita del cuore, invece, si condivide la sofferenza degli altri, si aiuta a lenire e spesso a guarire.

Il suo impegno con La Quercia Millenaria… ce ne vuole parlare?

Noia: Più che un impegno è stato un dono e come tale, viene da Dio. Noi possiamo solo ringraziare, perché questa realtà ci fa crescere tutti e ci fa mettere in condizione di rendere utile il sapere umano, la scienza umana che diventa servizio. Credo che nessun prestigiatore più di Dio, avrebbe potuto inventarsi questo modo di aiutare noi medici facendoci confrontare con la sofferenza e la eroicità di queste famiglie. Noi siamo dono per loro e loro per noi… e la Quercia Celeste è dono per tutti! (la Quercia Celeste è il gruppo di bimbi che sono tornati in cielo, ndr).

Nel libro “Il figlio terminale” (Nova Millennium Romae 2007, IFPress 2010) le coppie che sono state accompagnate da lei nel percorso di accoglienza di un figlio terminale, raccontano la loro storia. Cosa hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi per lei, queste famiglie?

Noia: Rappresentano quello che nel Vecchio Testamento era lo “Shemà Israel”. Rappresentano la testimonianza storica vivente, di come una professione anche fatta con molta onestà e con molto impegno, fa il salto di qualità e diventa servizio ai più poveri tra i poveri. Raccoglie ciò che di meglio ci può essere per fare il medico, cioè di servire proprio le persone che più hanno bisogno, i più poveri tra i poveri, come li chiamava Madre Teresa, sono anche i bambini terminali. E al massimo della povertà, si deve rispondere con il massimo dell’amore.

Sappiamo della recente formazione della AIGOC. Perché una associazione di ginecologi e ostetrici cattolici?

Noia: Perché i problemi legati alla vita nascente, all’affettività e alla sessualità sono diventati, negli ultimi trent’anni non solo morali ma sociali; e chi, più dei medici cattolici, si deve acculturare e confrontare con queste problematiche, non tralasciando di rispondere in maniera esperienziale a queste richieste? La nascita di una associazione è utile allora, per far sentire culturalmente l’interesse sul confronto che c’è su questi temi cosi importanti, in modo che non i singoli ma una intera associazione di medici si muova su tematiche culturali.

Tutto ciò per dimostrare alla società che questo non è un fondamentalismo di tipo cattolico, che la scienza può venire incontro all’individuo, facendo riscoprire anche a colleghi che c’è un altro modo di affrontare questi argomenti.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione