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L’etica del futuro nell’Enciclica Laudato Si’ (Terza parte)

Il paradigma tecno-economico e la distruzione della natura

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[Leggi la prima parte e la seconda parte]

L’affermazione prometeica dell’essere umano, che si considera padrone del mondo, ha comportato di fatto un asservimento dell’agire umano al potere della tecnologia, la quale, emancipata da ogni istanza etica, consente di dominare la natura e di manipolarla secondo i bisogni dell’uomo.

Il  Papa sostiene che il “paradigma tecnocratico” è globalizzato e “[…] di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale. In tale paradigma risalta una concezione del soggetto che progressivamente, nel processo logico-razionale, comprende e in tal modo possiede l’oggetto che si trova all’esterno. Tale soggetto si esplica nello stabilire il metodo scientifico con la sua sperimentazione, che è già esplicitamente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione. È come se il soggetto si trovasse di fronte alla realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione. […]”[1].

La scienza e la tecnica, che secondo l’Illuminismo e il Positivismo, avrebbero dovuto risolvere tutti i problemi dell’umanità e renderla felice, sono viste oggi con sospetto dalla gente, che “[…] ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e dalle capacità tecniche. Prende coscienza che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità e della storia, e intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro felice.[…]”[2].

Una volta affermatosi il principio che è moralmente lecito tutto ciò che è scientificamente e tecnicamente possibile, ne consegue che le finalità e le metodologie utilizzate dalla “tecnoscienza” condurranno al degrado dell’ambiente.

Scrive in proposito Francesco: “Possiamo […] affermare che all’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzitutto la tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della società. Gli effetti dell’applicazione di questo modello a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente […].[3]

Secondo il Papa è possibile liberarsi dal paradigma tecnocratico oggi imperante, perché “[…] la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale. […]”[4]. La tecnica deve rispettare i principi morali inscritti nel cuore dell’uomo, perché “[…] quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica. […]”[5], come, ad esempio la sperimentazione su embrioni umani vivi[6].

L’economia e la politica si sono oggi, di fatto, rese completamente autonome dall’etica e, di conseguenza, “il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. […]”[7]. La tecnologia posta al servizio dell’economia capitalista consente un grande accrescimento dei profitti delle imprese, le quali non si curano affatto degli effetti che il liberismo economico produce sull’ambiente.

Scrive il Papa: “L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato […]”[8].

Il mercato è oggi “divinizzato”[9] e non ci rendiamo conto che “[…] il paradigma tecno-economico finisce per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia. […]”[10]. Questo paradigma tecno-economico che si è affermato nei Paesi più ricchi e potenti del terra è all’origine del fallimento di tutte le conferenze mondiali sull’ambiente. Scrive in proposito Francesco: “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. […]”[11].

Il Papa si appella al Documento di Aparecida, il quale chiedeva che “[…] negli interventi sulle risorse naturali non prevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente le fonti di vita. […]”[12]. In questo documento sono contenute le conclusioni della conferenza dei Vescovi latinoamericani tenutasi nel 2007, in Brasile, nel santuario mariano dell’Aparecida. Papa Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, fu il presidente della commissione che redasse il testo finale e, durante la conferenza, si scontrò con i Vescovi che proponevano un’interpretazione ideologica del problema della povertà, affermando il valore evangelico dell’opzione preferenziale dei poveri.

Il Documento di Aparecida riveste un significato centrale per la Chiesa universale, e non soltanto per quella dell’America latina, ma difficilmente può avere presa sul mondo dell’economia e della finanza perché “[…]l’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere”[13].

Il Papa, richiamandosi a precedenti encicliche di Giovanni XXIII e di Benedetto XVI, auspica l’istituzione di una Autorità politica mondiale che dovrebbe assumersi il compito di governare l’economia mondiale per garantire il rispetto dei diritti delle persone e dell’ambiente in cui vivono e la prevenzione di squilibri economici futuri. Scrive: “[…] Come ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalla dottrina sociale della Chiesa, «per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace;
per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, [san] Giovanni XXIII». In tale prospettiva, la diplomazia acquista un’importanza inedita, in ordine a promuovere strategie internazionali per prevenire i problemi più gravi che finiscono per colpire tutti [14].

 

[La IV parte sarà pubblicata sabato prossimo]

*

NOTE 

[1] Ibidem, n. 106. Il corsivo è nel testo.

[2] Ibidem, n. 113.

[3] Ibidem, n. 107.

[4] Ibidem, n. 112.

[5] Ibidem, n. 136.

[6] Cfr. Ibidem.

[7] Ibidem, n. 109.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem, n. 56.

[10] Ibidem, n. 53.

[11] Ibidem, n. 54.

[12] Ibidem. Il Documento di Aparecida è stato approvato il 29 giugno 2007 dalla V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem, n. 175.

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Maurizio Moscone

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