Il segno del vero riposo

Vangelo della XVIII Domenica del Tempo Ordinario

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di Padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 2 agosto 2012 (ZENIT.org) – Es 16,2-4.12-15

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne.(…) Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi..”.(…) La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: “Che cos’è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “E’ il pane che il Signore vi ha dato in cibo””.

Gv 6,24-35

In quel tempo, Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio che vi da il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da’ la vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”.

Nel Vangelo di questa Domenica, Gesù svela il significato del miracolo della moltiplicazione dei pani (compiuta sul monte una settimana) fa, alla luce dei fatti accaduti agli Israeliti durante i quarant’anni nel deserto verso la Terra Promessa.

Stando ai diversi racconti biblici (Es 16,14-31 e Nm 11,7), la manna di cui si nutrirono gli Ebrei corrisponde più o meno alla sostanza prodotta dalla corteccia della tamerice ‘mannifera’, una pianta tipica della steppa mediterranea ancor oggi usata dai beduini come dolcificante e cibo supplementare.

Ben oltre il valore botanico/biologico della manna, nell’abbondanza straordinaria di questo alimento, qualitativamente incomparabile rispetto agli altri cibi materiali, il popolo riconobbe il segno dell’inesauribile provvidenza di Dio.   

Gesù ha scelto la manna del deserto come segno dei cinque pani moltiplicati sul monte, segno a loro volta di Lui realmente ed interamente presente in ognuno dei pezzi distribuiti per sfamare la gente, dopo il rendimento di grazie:“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,35).

Per farci comprendere tale divino significato del segno dei pani, oggi la liturgia ci fa passare dalla superficie del deserto a quella dell’altare, sopra il quale il sacerdote opera il miracolo della trasformazione del pane nel Corpo del Signore: la vigilia della sua passione, Gesù prese il pane nelle sue mani, lo spezzò e lo diede ai discepoli, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,24).

Come chi entra (a digiuno) al mattino dal fornaio è investito piacevolmente da un buon profumo di pane fresco, così il credente che si accosta con fede all’Eucaristia,  può percepire il “buon profumo di Cristo” (2 Cor 2,15) e gustare nell’anima il sapore della Sua dolcezza (Salmo 34/33, 9).

Tale esperienza può essere così stimolante ed appagante, che fame e sazietà coincidono: “chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,35).

Bisogna aggiungere che il valore di segno del pane eucaristico, non è dato solamente dal nutrimento, ma anche dalle caratteristiche della panificazione. Grazie alla terra, al sole, all’acqua e al lavoro dell’uomo, la molteplicità dei chicchi di grano macinati in farina, diventa una cosa sola sulla tavola: “Il pane racchiude un evento di unione..Noi stessi, dai molti che siamo, dobbiamo diventare un solo pane, un solo corpo. Così il segno del pane diventa insieme speranza e compito” (Benedetto XVI, Omelia nella Festa del Corpus Domini, 15 giugno 2006).

Infine il collegamento del pane con la manna, “ci ricorda anche il pellegrinaggio di Israele nel deserto. L’ostia è la nostra manna con la quale il Signore ci nutre: è veramente il pane del cielo, mediante il quale egli dona se stesso” (id.).

Vediamo nel Vangelo che la gente attorno a Gesù insiste a fare domande, ma egli risponde con parole del tutto enigmatiche per chi vuol capire con la sola ragione.

Torniamo alla risposta più misteriosa: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,35).

E’ mai possibile? Che genere di fame/sete è quella che può essere abolita per sempre? Dobbiamo aspettare l’altra vita per fare l’esperienza di una simile pace del cuore e del corpo, accontentandoci per ora…della breve parentesi del riposo estivo?

La meditazione sui fatti dell’Esodo ci da la risposta.

Gli Israeliti sono da circa due mesi nel deserto. I disagi si aggravano e il popolo mormora contro Mosè: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine” (Es 16,2s).

Israele andrà avanti così per 40 anni, come dice il Salmo 95/94: “Per quarant’anni mi disgustò quella generazione..Perciò ho giurato nella mia ira: “Non entreranno nel luogo del mio riposo”” (vv 10-11).

Questa sembra essere l’eco della protesta esistenziale dell’uomo di tutti i tempi e luoghi (il numero quaranta indica totalità, e il cammino nel deserto rappresenta l’arco della vita di ognuno), segnato come sembra in apparenza dall’infelicità e dalla morte sin dal suo primo giorno di vita.

In questo tempo di vacanze, la domanda esistenziale che scaturisce dal segno del pane è allora questa: è possibile trasformare la fatica e l’affanno del vivere in un riposo continuo?   

Ed ecco un’autorevole risposta: “Il riposo significa lasciare le occupazioni quotidiane, staccarsi dalle normali fatiche del giorno, della settimana, dell’anno. Lasciare e staccarsi da tutto ciò che si potrebbe esprimere con il simbolo “Marta”. E’ importante che il riposo non sia un andare nel vuoto, che esso non sia soltanto un vuoto (in tal caso non sarebbe un vero riposo). E’ importante che il riposo sia riempito con l’incontro. Penso, –  sì certamente – all’incontro con la natura, con le montagne, con il mare e con le foreste. L’uomo a contatto sapiente con la natura, recupera la quiete e si calma interiormente. Ma ciò non è ancora tutto si possa dire del riposo. Bisogna che esso sia riempito con  un contenuto nuovo, con quel contenuto che si esprime nel simbolo “Maria”. “Maria” significa l’incontro con Cristo, l’incontro con Dio. Significa aprire la vista inter
iore dell’anima alla sua presenza nel mondo, aprire l’udito interiore alla parola della sua verità. Auguro a tutti un simile riposo
” (Beato Giovanni Paolo II).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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