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I riti del calcio e i riti della mente

I tipici riti del tifoso, nel funzionamento della mente, affiancano la flessibilità di adattamento ai cambiamenti e la libertà di scelta

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Si è consumato nella settimana scorsa il tradizionale rito del sorteggio degli incontri di calcio del campionato di serie A. Da oggi possiamo programmare date di matrimoni e battesimi, impegni di lavoro dei turni infrasettimanali, sincronizzare gli abbonamenti al teatro, almeno con una certa approssimazione, visto il proliferare di posticipi ed anticipi ed addirittura di anticipi del posticipo o viceversa.

Si fanno grandi discussioni sull’opportunità di incontrare la tale squadra o la tal altra prima o dopo, su campi appesantiti dalla pioggia o a primavera. E poi viene da pensare che comunque bisogna incontrare tutte le squadre e che le alchimie dell’entrata in forma dei singoli giocatori, dell’acquisizione di una perfetta amalgama di squadra o l’intervento del fato sotto forma di infortuni non dipendano dagli astri o dallo scorrere delle stagioni. 

La ritualità di molti nostri comportamenti ha una precisa funzione psicologica: riduce l’ansia dell’ignoto, riporta ad un ripetersi di eventi significativi che si concatenano con altri contenuti della nostra vita. In era pre-tecnologica il barbiere, il barista o il droghiere del quartiere regalavano come gadget pubblicitario il calendario con tutte le partite, magari sincronizzato con il Santo del giorno a cui raccomandare la prestazione della squadra del cuore.

Era un modo per associare il bisogno di calcio con la fruizione dei loro prodotti o servizi, ma anche per essere certi che dopo un’eventuale sconfitta ci fosse pronto, scritto e consultabile il piano programmatico della rinascita e del recupero, durante il taglio dei capelli, davanti alla tazzina del caffè o di fronte alla scelta del prosciutto. Oggi la tecnologia e le App la fanno da padrone cadenzandoci le domeniche, raccogliendo dati statistici, ricordandoci gioie e dolori, classifiche e punteggi su tablet e smartphone.

Ma sono numerosi i riti tipici del tifoso, piccole manie e scaramanzie: il solito posto sul divano, la sciarpa della squadra del cuore poggiata sulla TV, il solito percorso in macchina o in bus per raggiungere lo stadio. La ritualità nel funzionamento della nostra mente affianca la nostra flessibilità di adattamento ai cambiamenti e la nostra libertà di scelta. È come se riducesse il peso della responsabilità delle nostre scelte. È un supporto alle decisioni, in parte fatto di pregiudizi, ma comunque efficace. Il pregiudizio che il gatto nero porti sfortuna porta al gesto apotropaico dello scongiuro e a tutto ciò che ne consegue. La convinzione che quel nostro amico influenzi negativamente il risultato della nostra squadra ci porta ad evitarne il contatto… “mi spiace quest’anno niente derby! Vado a teatro con mia moglie”… Bugia!

Il rito serve a rafforzare in modo istituzionale un valore emotivo, rende tangibile un’esperienza intima. Il tifo è amore per la squadra e per i colori, è il segno della condivisione dei valori dello sport. Secondo l’antropologo Ernesto De Martino il rito aiuta l’uomo a sopportare una sorta di “crisi della presenza” che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa esistenza. I comportamenti stereotipati dei riti offrono modelli rassicuranti da seguire, costruendo con il tempo la “tradizione”. E lo sport è fatto di tradizioni: stracittadine, gemellaggi, bestie nere…

La psicoanalisi ha invece mostrato la presenza di una ritualità inconscia in gran parte dei comportamenti quotidiani umani, e quindi anche dei campioni sportivi. I tennisti mostrano spesso questo tipo di ritualità: far battere a terra tre volte la pallina, oppure allacciarsi le scarpe o controllare che i calzini siano bene allineati, vi sono una serie infinita di piccoli riti che se nella vita privata possono essere considerati piccoli fastidi o al limite anche sintomi di disagio, nello sport professionistico diventano normali e funzionali al raggiungimento di un’alta concentrazione prima del gesto tecnico (nel tennis ad esempio la battuta).

E i nostri campioni dello sport non ci fanno mancare gesti ripetuti durante l’ingresso in campo, nell’esultanza del goal, nell’abbigliamento, ecc. Sono i piccoli tic di ogni giorno che ci preparano ad affrontare lo stress di una sconfitta, l’entusiasmo della vittoria, la sorpresa dell’imprevisto. Nello sport come nella vita. Il pallone è rotondo e i riti che lo circondano lo rendono un po’ più quadrato. Ma solo fino ad un certo punto!!!

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ZENIT Staff

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