I Padri della Chiesa: il segreto per riscoprire la fede (seconda parte)

Intervista a Padre Vittorino Grossi, docente dell’Istituto Patristico Augustinianum

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di Giovanni Preziosi

ROMA, domenica, 25 marzo 2012 (ZENIT.org) – Rileggere e riscoprire i Padri della Chiesa aiuta a comprendere le ragioni della propria fede, oltre che ad avere un orientamento per vivere pienamente la vita da cristiani.

ZENIT ne ha parlato con padre Vittorino Grossi, Sacerdote dell’Ordine di Sant’Agostino, scrittore e docente di Patrologia e Patristica presso la Pontificia Università Lateranense e dell’Istituto Patristico Augustinianum, in un’intervista di cui oggi riportiamo la seconda ed ultima parte.

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Padre Vittorino, secondo Lei i cattolici di adesso saranno capaci di riscoprire la straordinarietà e la dimensione profetica dello spirito cristiano dei primi secoli?

Padre Grossi: Quando fu inaugurato l’Istituto Patristico agostiniano nel 1970, Paolo VI fece un meraviglioso discorso, sostenendo che si aspettava che proprio attraverso lo studio dei Padri la Chiesa potesse ringiovanire per essere più vicina alle persone, anche rinnovando il modo di amministrare i sacramenti, la liturgia e perfino la ricerca teologica e il pensiero cristiano.

In effetti Paolo VI avvertiva che la Chiesa era invecchiata, per cui uno dei primi obiettivi che si prefisse fu quello di ringiovanirla attraverso lo studio e l’approfondimento dei Padri della Chiesa, in modo da riscoprire e valorizzare le radici cristiane su cui si fonda la nostra fede.

L’Augustinianum ormai è quasi vicino ai 50 anni e attualmente annovera 200 studenti in specializzazione patristica che poi trasmettono ciò che hanno appreso qui in altre istituzioni culturali. Da Roma fino a Berlino oggi le cattedre di Storia Cristiana Antica vengono affidate a coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca all’Augustinianum.

Direi che siamo quasi alla primavera della conoscenza di questa storia della Chiesa, di questo pensiero cristiano che è giunto fino a noi. Ritengo, dunque, che dovremo avere la pazienza e la sollecitudine di saper tirare fuori, negli anni a venire, questo enorme tesoro per la nostra fede.

Quali autori lei consiglierebbe di leggere?

Padre Grossi: In genere per la Chiesa Orientale c’è Origene, il grande maestro di Alessandria, mentre per quanto riguarda l’occidente c’è S. Agostino.

Per l’Asia Minore va annoverato S. Ireneo, il quale pose l’accento soprattutto sull’amicizia di Dio con l’uomo, sostenendo che Gesù si è incarnato per abituare l’uomo a fare l’amicizia con Dio, e ciò avviene proprio nella Chiesa. Ecco perché noi abbiamo un grande respiro ecclesiale sia in Sant’Ireneo che in Sant’Agostino.

Noi oggi spesso siamo più inclini a parlare dei disagi della Chiesa e della cristianità, ci troviamo sempre in una fase critica, invece questi Padri parlano sempre dell’amore che dobbiamo avere per la Chiesa.

La lettera a Diogneto, o altri scritti apologetici del II e III secolo, potrebbero essere utili anche oggi?

Padre Grossi: Quando parliamo oggi di apologetica in genere parliamo di difesa. Invece questa generazione di apologeti ha difeso la visione cristiana del mondo non attraverso schermaglie dialettiche, ma cercando piuttosto di spiegare le ragioni della fede.

Ad esempio Giustino, che era un palestinese che approdò qui a Roma, sosteneva che il Verbo di Dio ha creato il tutto, ragion per cui in ogni uomo che nasce, in tutto il creato, sono presenti i semi del Verbo. Allora il cristiano che conosce il Verbo si deve relazionare alle altre culture non in modo ostile, ma cercando i semi del Verbo presenti in ogni cultura.

Nella lettera a Diogneto a un certo punto si avverte talmente la grandezza del messaggio cristiano, che l’autore conclude affermando che noi siamo l’anima del mondo, per cui dove c’è un cristiano palpita la vita. Con il Vaticano II e la Lumen Gentium sono stati recuperati i Padri della Chiesa passando da una teologia essenzialistica, cioè fondata su argomenti e sulla logicità di queste spiegazioni, ad una teologia esistenziale, cioè partendo da un nuovo dialogo teologico con l’uomo.

S. Agostino e i Padri della Chiesa vengono recuperati perché hanno fatto una teologia esistenziale, perché loro, pastori legati al popolo di Dio, hanno fondato la loro teologia sul dialogo diretto con i fedeli e non sullo studio di un libro per confutarne un altro.

Inoltre la teologia per i Padri è una mediazione di linguaggio per aiutare il credente a vivere la sua fede nell’ambito culturale in cui era inserito, altrimenti correva il rischio di diventare un dissociato.

Per le prediche di Quaresima padre Raniero Cantalamessa ha scelto di approfondire le figure di Atanasio,  Basilio, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno. Che ne pensa?

Padre Grossi: Padre Cantalamessa ha privilegiato quest’anno i Padri della Cappadocia che provenivano da un ambiente greco. Il comune denominatore che associa questi Padri è la lotta contro l’arianesimo, intesa nel senso di definire meglio la vera natura di Gesù Cristo, per riaffermare solennemente che il Logos era Dio. Quindi non apparteneva al creato – anche se gli ariani sostenevano che era il primogenito della creazione – ma Lui è coeterno al Padre.

I Padri della Cappadocia hanno teorizzato il rapporto mondo cristiano e mondo classico che stava morendo. Non hanno disprezzato il mondo classico, anzi, nella famosa “Lettera ai giovani” di Basilio di Cesarea si dice che bisogna ricercare il bene che c’è e farlo proprio “come l’ape che coglie il miele da ogni fiore senza sciuparli”.

Quindi il cristianesimo, in questo senso, ha preservato tale preziosa eredità e l’ha anche salvata dalla caduta dell’impero romano perché sia Basilio, sia il fratello Gregorio, divenuto poi vescovo di Nissa, e sia l’amico Gregorio di Nazianzo erano stati studenti ad Atene.

Tornati in Cappadocia hanno dato un indirizzo al mondo cristiano enorme proprio in questo rapporto con la classicità e inoltre hanno offerto un valido contributo nella definizione della dottrina trinitaria di cui noi ancora oggi ne usufruiamo.

Poi c’è un altro aspetto che padre Cantalamessa ha messo in luce sottolineando che lo Spirito Santo fa da comunione nella Trinità. Si è parlato tanto dello Spirito Santo – al punto che si è dedicato persino un Concilio nel 381 a Costantinopoli – come il legame nella Trinità, donato da Gesù alla Sua Chiesa e ai Cristiani.

Al di là dei limiti umani, quindi, che ognuno di noi può avere nel dialogo con Dio, c’è questo qualcosa in più, questo Spirito supplemento d’amore che ci fa passare sopra ad ogni offesa ricevuta.

Questo concetto si applica pienamente agli sposi cristiani perché il loro amore è benedetto col sigillo dello Spirito Santo che li aiuterà ad amarsi per sempre. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee che noi siamo tutti povera gente, per cui se non approfittiamo di questi doni soprannaturali, inevitabilmente, prima o poi ci ritroveremo a fare i conti con i nostri limiti umani con tutte le conseguenze che si possono immaginare.

Lo studio e l’approfondimento dei padri della Chiesa può essere funzionale per la Nuova Evangelizzazione e l’anno della fede?

Padre Grossi: Per quanto riguarda l’anno della fede è certo che saranno messi in circolo tanti testi patristici. In particolare “Le Confessioni” di S. Agostino, anche perché Benedetto XVI nel motu proprio che indice l’anno della fede, ha indicato S. Agostino compagno dell’uomo moderno nel cammino di fede che approda a Gesù Cristo. 

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ZENIT Staff

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