Padre e figlia

Pixabay CC0, cocoparisienne, Public Domain

Figli contesi, vite compromesse

La natura dell’uomo è segnata duramente dall’egoismo, che può infiltrarsi persino nella sfera della paternità e della maternità

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«Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile».
Vale per i papà e pure per le madri l’osservazione di Wilhelm Busch, poeta tedesco dell’Ottocento. Altri tempi, ma validità immutata. A Trieste, qualche giorno fa, un magistrato ha deciso che nella lite giudiziale tra una donna e l’ex consorte per l’affidamento del loro bimbo a scegliere debba essere il bambino. Che poi questi abbia sei anni è un trascurabile dettaglio. Ci fosse stato Salomone, probabilmente la questione si sarebbe risolta nel migliore dei modi: con amore e saggezza. Ma oggi mancano entrambi, purtroppo.
Tenendosi lontani dalle specificità del caso richiamato per svolgere una riflessione di carattere generale, c’è da chiedersi come un fanciullo in così tenera età possa decidere a chi gli voglia più bene, tra mamma e papà, al punto di dover indicare lui con quale dei due passare la maggior parte delle sue giornate e, dunque, della sua vita di ragazzo e di adolescente, fase determinante nel processo di formazione caratteriale, culturale e spirituale.
Sarà probabilmente esagerato, o almeno questa è la speranza, ma non c’è modo di non scorgere in simili vicende tragedie che hanno una sola utilità: far trasparire la viltà degli adulti dei tempi presenti. Ci si affida a magistrati, che a loro volta inevitabilmente ricorrono agli esperti (psicologi, in questo caso) per trovare una giustificazione alla quale legare il filo della responsabilità, che invece dovrebbe essere esercitata, in modo pieno ed esclusivo dai genitori, individualmente e assieme. Un bimbo è un bimbo: ha il diritto che ci si occupi di lui. E chi lo ha generato ha il dovere di prendersene cura, rinunciando alle proprie aspettative, anche quando legittime, pur di non rubargli uno dei doni più preziosi: l’infanzia.
Invece, sempre più spesso, il mondo corre al rovescio e regala storie di famiglie distrutte, in cui la prole viene trasformata in merce di scambio. Quasi un oggetto da rivendicare a sé, a volte per il cattivo gusto di strapparlo all’altro/a. Ripicche, vendette, battaglie di principio che si moltiplicano nei tribunali, in sede di separazione e divorzio, che in realtà non lasciano a terra come caduti in battaglia solo matrimoni infranti e relazioni lacerate, ma anche e soprattutto figli.
La realtà, insomma, sembra confermare – non come regola generale, per fortuna – quanto affermava Franz Kafka, per il quale i genitori si trasformano in usurai che non esitano a rischiare il capitale (cioè i figli) pur di incassare gli interessi. Certo, la natura dell’uomo è segnata duramente dall’egoismo, che può infiltrarsi persino nella sfera della paternità e della maternità. Ma quando le pretese genitoriali si trasformano in assillo, privazione, individualismo, allora è facile che accada quello che Oscar Wilde vaticinava provocatoriamente: «I figli da piccoli amano i genitori. Una volta cresciuti li giudicano. Raramente, per non dire mai, li perdonano».

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Vincenzo Bertolone

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