Dove va la pastorale della Chiesa italiana?

Monsignor Franco Giulio Brambilla propone il ritorno a Cristo

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di Antonio Gaspari

FIRENZE, martedì, 8 novembre 2011 (ZENIT.org) – “Bisognerà rivedere i programmi che hanno un forte carattere autoreferenziale” perchè “la Chiesa deve continuamente parlare di Gesù e far accedere gli uomini a Lui”.

Lo ha detto monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare di Milano, intervenendo alla 51° Assemblea Nazionale della Cism (Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori) che si sta svolgendo a Firenze sul tema Confronti e Aspettative  sul futuro della chiesa In Italia.

Secondo il prelato l’agire della Chiesa è “ministeriale”, cioè “totalmente relativo a Gesù, ma ciò può avvenire solo nella forma di una ‘testimonianza’, che è il prodigioso incontro tra la grazia dello Spirito e l’azione ecclesiale”.

In merito alla pastorale in prospettiva missionaria, il Vicario di Milano, ha affermato che  essa “deve sapere in ogni caso condurre l’uomo all’incontro con la speranza viva del Risorto”.

“Saper mostrare la qualità antropologica dei gesti della Chiesa – ha aggiunto – è oggi un’urgenza dettata non solo dal momento culturale moderno e post-moderno, ma è un istanza imprescindibile per dire che il Vangelo è per l’uomo e per la pienezza della vita personale”.

Per una nuova pastorale, monsignor Brambilla ha chiesto di “rivedere i programmi che hanno un forte carattere autoreferenziale” e “mostrare in modo chiaro che si tratta di pensare e vivere una pastorale per l’uomo e con l’uomo, perché egli sappia di nuovo accedere alla speranza della vita risorta”.

“La pastorale della chiesa, soprattutto quella che vuole ripensarsi in prospettiva missionaria – ha precisato – è tutta protesa a dar forma cristiana alla vita quotidiana”.

Facendo riferimenti ai cinque ambiti indicati nel Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona del 2006, il Vicario di Milano ha spiegato che “non basta parlare di affetti, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza”, perchè “è facile dilagare nella loro descrizione, senza che si mostri la loro relazione alla vita buona del Vangelo” con un limite ancora più grave: “quello di una ‘riduzione’ antropologica del cristianesimo”.

Perciò – ha affermato il presule –  c’è bisogno di “una pastorale che costruisce l’identità della persona” con “l’attenzione antropologica che deve focalizzarsi su una concezione integrale della persona”.

“Un’identità che costruisce non solo strategie di benessere individuale e sociale, ma deve proporre percorsi di vita buona, che possano aprirsi alla dimensione vocazionale della vita”.

In questo contesto monsignor Brambilla ha visto il risvolto educativo, così come stigmatizzato  dal Papa all’Assemblea dei Vescovi del maggio 2010, quando Benedetto XVI ha indicato una concezione e una pratica dell’educazione come “autosviluppo”, fondata su un concetto di autonomia dell’uomo che non sarebbe in debito con nessuno per il suo essere e divenire persona.

Per il Vicario di Milano “Gesù si presenta egli stesso come maestro di vita nuova e buona che, mentre parla e interviene con le folle, non smette mai di educare i suoi discepoli, anzi a un certo punto sembra concentrarsi esclusivamente su di loro”.

E ogni educatore, come “maestro di vita”, non può mai smettere di essere un “testimone” della vita e alla vita.

“La Chiesa – ha concluso il Vicario di Milano – deve recuperare la sua originaria coscienza che la dedizione al processo educativo appartiene originariamente all’evangelo, a quel modo che la cultura è momento intrinseco dell’evan­gelizzazione”.

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ZENIT Staff

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