Dieci parole per la musica liturgica: “Educante”


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di Aurelio Porfiri*

ROMA, martedì, 25 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Educante. Anni fa, parecchi anni fa, fui chiamato a suonare l’organo per una celebrazione domenicale in una bella chiesa del centro di Roma. Questo succedeva di tanto in tanto, per quella chiesa, in quanto avevo una certa dimestichezza con il rettore, un monsignore che lavorava in Curia. Ricordo che la messa della domenica sera era abbastanza frequentata. Ma mi sentivo un poco a disagio in quella chiesa. Infatti, la celebrazione era praticamente un pretesto per le spiegazioni del monsignore in questione. Non c’era parte che non veniva preceduta o seguita da un sermoncino che ci spiegava perché dovevamo sedere, alzarci, darci la mano, dire quella preghiera o quell’invocazione.

Ogni messa, in questo modo, acquistava una lunghezza che andava ben al di là del necessario. Ma alcune persone erano affascinate da quest’ andazzo, probabilmente confondendo il protagonista nella liturgia, che non è il sacerdote, fosse pure il Papa, ma è Cristo. Quando il sacerdote diviene l’attrazione c’e’ senz’altro qualcosa che non va. Mi è venuta in mente questa situazione quando ho cominciato a riflettere sul modo in cui la musica liturgica è educante. In effetti il problema è nell’uso di questa parola. Che cosa significa educare? Possiamo senz’altro distinguere due accezioni del termine stesso, una quella che propriamente chiamiamo “educazione”, l’altra che definiamo “scolarizzazione”. Io credo che per la liturgia (e la musica che come ripeto sempre non può essere scissa dalla liturgia stessa), il primo termine è valido, mentre il secondo è deleterio, se non pericoloso.

La “scolarizzazione” è quella fase delimitata nel tempo in cui siamo chiamati ad acquisire certe nozioni per il conseguimento di alcuni gradi scolastici. Certamente essa è parte dell’educazione ma non la esaurisce. La scolarizzazione è scandita su certi parametri che la società stabilisce ed ha un andamento standardizzato per tutti gli studenti. Essa non è negativa di per sé ma non ha senso se non è inserita nella idea molto più vasta e profonda di “educazione”. Ex-ducere, “condurre fuori”, è concetto molto più ampio e importante. Significa che l’insegnante ha l’abilità di risvegliare nello studente alcune potenzialità che già risiedono in lui, facendo in modo che questi elementi vitali diano senso ad alcune informazioni in grado di permetterne la crescita sana e armoniosa. Educazione non è un concetto scolastico, ma ha un significato molto più ampio. La pura scolarizzazione (che non dovrebbe esistere) procede da fuori a dentro (insegnante-studente), l’educazione procede da dentro a fuori (studente-insegnante). Nel primo caso il protagonista è l’insegnante, nel secondo è lo studente.

Nel caso della messa di cui sopra, mi sembra evidente che il protagonista era colui che si inseriva in ogni momento possibile della stessa, spostando l’attenzione dal celebrato al celebrante. In un certo senso trattava l’assemblea come un manipolo di studenti da indottrinare, rendendoli passivi alla vera natura della celebrazione pur se ufficialmente richiamava sempre l’assemblea ad essere “più coinvolta”. Ma la domanda che io non ho mai posto è: più coinvolta in che cosa? Ecco, in un certo senso questo celebrante applicava un metodo puramente “scolastico” alla liturgia: il fedele andrebbe alla messa per ricevere nozioni più o meno catechistiche, per conseguire un certo corpus di conoscenza ritenuta necessaria.

Ma la messa non è per questo scopo. La messa vuole risvegliare l’uomo interiore, la messa è in questo senso veramente “educante”. Così la musica per la liturgia non parla alle nostre menti ma parla alle nostre anime nella cui profondità il nostro io spirituale aspetta di essere richiamato alla vita. Ecco perché la musica per la liturgia non è musica mondana, essa è nel mondo ma non è di questo mondo. Se saremo capaci di riscoprire il significato profondo del termine “educazione”, credo non potremmo che capire sempre più in che modo la musica per la liturgia può essere “educante”. Nel rito straordinario della messa, la parte che oggi definiamo “liturgia della parola”, veniva definita “didattica”. Perché didattica? In quanto siamo in ascolto della parola di Dio. Infatti Dio parla a noi attraverso i suoi ministri. Ma l’attenzione non deve mai essere spostata sui ministri stessi, in quanto essi sono un tramite, non il termine ultimo. Ecco perché, anche nel canto, la Chiesa ha sempre consigliato di evitare eccessi solistici (pur se in varie epoche questi hanno finito per predominare). Il solista sposta l’attenzione sull’individuo piuttosto che sul corpo mistico che è la Chiesa, in un certo senso disturba una dinamica che è propria della liturgia. Certo questo non va esagerato ma va tenuto a mente. Le parole in questo senso di san Pio X nel suo celebre Motu Proprio del 1903 sono chiare:

Tranne le melodie proprie del celebrante all’altare e dei ministri, le quali devono sempre essere in solo canto gregoriano senza alcun accompagnamento d’organo, tutto il resto del canto liturgico è proprio del coro dei leviti, e perciò i cantori di chiesa, anche se sono secolari, fanno propriamente le veci del coro ecclesiastico. Per conseguenza le musiche che propongono devono, almeno nella loro massima parte, conservare il carattere di musica da coro. Con ciò non s’intende del tutto esclusa la voce sola. Ma questa non deve mai predominare nella funzione, così che la più gran parte del testo liturgico sia così eseguita; piuttosto deve avere il carattere di semplice accenno o spunto melodico ed essere strettamente legata al resto della composizione a forma di coro” (12).

Questo passaggio che offre anche altri spunti che andrebbero discussi appropriatamente, credo ci dia una interessante visione di come la Chiesa vede il ruolo del solista nella celebrazione. Come nella musica liturgica non si devono avere voci che predominino, così nella liturgia stessa nessuno è protagonista se non Cristo. Ecco in che modo la liturgia e la sua musica sono educanti. San Pio X fu senz’altro un Papa amante della musica, specialmente della musica liturgica. Ma vediamo anche cosa altri Papi hanno detto su questo argomento e sulla funzione educante della musica.

Occupiamoci di Pio XI. In una bolla del 20 dicembre 1928, “Divini Cultus Sanctitatem” il Pontefice ritorna sul tema della musica liturgica sulla scia del Motu Proprio di san Pio X, reiterando l’importanza della educazione artistica dei giovani che si apprestano agli studi per il sacerdozio. Nella lettera decretale “Geminata Laetitia” (1 aprile 1934) con cui viene proclamato santo don Giovanni Bosco afferma: “coronò con l’insegnamento della musica l’educazione artistica dei giovani, e adottò nei suoi laboratori i macchinari più moderni e perfetti”. Bella questa immagine della musica come coronamento della formazione artistica. Questo sembra adombrare l’insegnamento della classicità greca sulla musica come strumento di educazione morale; per questo motivo Platone spesso metteva in guardia sui pericoli che da essa potevano derivare. E a questi pericoli ha pensato lo stesso Pio XI in una sua lettera enciclica che aveva come oggetto, pensate un po’, il cinema:

Inoltre, le vicende raffigurate nel cinema sono svolte da uomini e donne particolarmente scelti per le loro doti naturali e per l’uso di espedienti tali, che possono anche divenire strumento di seduzione, soprattutto per la gioventù. Il cinema vuole per di più, a suo servizio, il lusso delle scenografie, la piacevolezza della musica, il realismo inverecondo, ed ogni forma di capriccio nello stravagante” (Vigilanti Cura, 29 giugno 1936).

Pio XII, Eugenio Pacelli, era un buon violinista, così si può dire a ragione che aveva un particolare interesse per l’arte musicale. Nella fondamentale enciclica
“Mediator Dei” si occupa di musica sempre in connessione con la liturgia. Qualcosa di più centrato sulla musica in se stessa troviamo nell’enciclica sulla musica sacra “Musicae Sacrae Disciplina” del 25 dicembre 1955:

Fra i molti e grandi doni di natura dei quali Dio, in cui è armonia di perfetta concordia e somma coerenza, ha arricchito l’uomo, creato a sua ‘immagine e somiglianza’ (cf. Gn 1, 26), deve annoverarsi la musica, la quale, insieme con le altre arti liberali, contribuisce al gaudio spirituale e al diletto dell’animo. A ragione così scrive di essa Agostino: ‘La musica, cioè la dottrina e l’arte del ben modulare, a monito di grandi cose è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mortali dotati di anima razionale’”.

La citazione, tratta dall’epistola 161 del grande santo, ci riporta alla doppia dimensione della musica, concessa per il gaudio dello spirito e il diletto dell’animo ma pure diretta all’anima razionale. Paolo VI, in un discorso ai partecipanti alla manifestazione “Un colore al mondo” del 16 aprile 1971 diceva:

Fa sempre piacere a Noi ricevere giovani, specialmente se vengono da lontano e se, come voi fate, dedicano il loro talento artistico ad una buona causa, com’è quella di infondere nei coetanei, attraverso la musica e il canto, il senso della speranza, il sano ottimismo, il calore della fratellanza umana e cristiana”.

Nel Messaggio per la VII giornata delle comunicazioni sociali del primo maggio 1973, il Papa apre al tema della musica (con altre arti) come mezzo di diffusione del messaggio di verità, bontà e bellezza, cioè del messaggio cristiano. In occasione del quinto centenario della nascita di Michelangelo (29 febbraio 1976) il Papa dichiarava in una omelia:

Cioè l’arte, specialmente l’arte, come ogni attività umana, deve essere tesa in uno sforzo di sublimazione, come la musica, come la poesia, come il lavoro, come il pensiero, come la preghiera, deve rivolgersi in alto”.

L’arte (e quindi la musica) come purificazione dal di dentro, come sforzo di portare fuori le forze spirituali che spesso dormono in noi.

Veniamo a Giovanni Paolo II. Non era certamente un musicista nel senso tecnico del termine, ma sappiamo che nella sua gioventù amava condurre il coro di canto gregoriano della sua parrocchia in Polonia:

Da studente don Karol Wojtyla era venuto a contatto con il movimento di rinnovamento liturgico, e a San Floriano si applicò a metterne in pratica alcune idee. Costituì un gruppo per discutere gli scritti del teologo Pius Parsch, che spiegavano ai cattolici, per i quali il culto era a volte difficile da mettere in rapporto con la vita quotidiana, la ricca trama della liturgia. Poi, in un’epoca in cui la ricca tradizione musicale della Chiesa in materia di canto era in genere riservata ai monasteri, avviò un coro studentesco cui insegnò, perché potesse cantare varie parti della messa, il canto gregoriano” (George Weigel, “Testimone della speranza” – Oscar saggi Mondadori, Milano 2001, 121).

Nel maggio del 1951 questo coro cominciò a cantare per la prima volta eseguendo la Messa de Angelis. E il giovane Karol tentò anche di coinvolgere delle studentesse in questa esperienza. Insomma, la musica faceva certo parte del mondo di Karol Wojtyla, lui che era attore e drammaturgo sicuramente aveva per la stessa musica una sensibilità molto particolare. Durante l’Udienza del 17 settembre 1980, da Papa dunque, salutando un gruppo musicale proveniente dal Giappone dichiarava:

Attraverso la musica il cuore è innalzato al Creatore di tutte le cose, e quindi non c’è da meravigliarsi se la musica è stata curata e promossa nei templi del vostro paese”.

La musica, espressione di bellezza, ci riporta e richiama alla bellezza originaria, al Creatore. La nostra partecipazione è possibile per l’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio che ha assunto la natura umana e redento tutte le cose. Nella lettera agli artisti del 4 aprile 1999 ci offre una riflessione folgorante:

Un’esperienza condivisa da tutti gli artisti è quella del divario incolmabile che esiste tra l’opera delle loro mani, per quanto riuscita essa sia, e la percezione folgorante della bellezza percepita nel momento creativo: quanto essi riescono ad esprimere in ciò che dipingono, scolpiscono, creano non è che un barlume di quello splendore che è balenato per qualche istante agli occhi del loro spirito. Di questo il credente non si meraviglia: egli sa di essersi affacciato per un attimo su quell’abisso di luce che ha in Dio la sua sorgente originaria”.

Questo affacciarsi su un abisso di luce è quello che il musicista sperimenta, e l’intuizione del Papa in questo documento è veramente importante. Questo abisso di luce ha veramente carattere educante, è questo abisso di luce che per solo pochi istanti si posa nella nostra anima che ci permette un’esperienza che non saremmo capaci di compiere altrimenti; l’arte liturgica è la rivelazione di questo abisso di luce. Papa Benedetto XVI non è solo un’amante della musica, ma è anche un musicista, un appassionato pianista. Alla musica ha dedicato pagine anche nel suo precedente “mestiere” di cardinale. Da Papa ha spesso parlato della musica, anche rievocando la sua personale esperienza con essa:

Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che, fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità. Ringrazio coloro che uniscono musica e preghiera nella lode armoniosa di Dio e delle sue opere: essi ci aiutano a glorificare il Creatore e Redentore del mondo, che è opera meravigliosa delle sue mani. Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace” (16 aprile 2007, in occasione di un concerto offerto per gli 80 anni del Papa).

Parole ancora più impegnative in occasione di un altro concerto offerto in suo onore:

La musica, di fatto, ha la capacità di rimandare, al di là di se stessa, al Creatore di ogni armonia, suscitando in noi risonanze che sono come un sintonizzarsi con la bellezza e la verità di Dio – con quella realtà che nessuna sapienza umana e nessuna filosofia possono mai esprimere” (4 settembre 2007).

Credo che questa meditazione vada al cuore di ciò che intendo esprimere. La vera musica liturgica fa risuonare in noi voci che giacciono spesso inascoltate nei recessi della nostra anima. Ecco come si fa educante, quando è bella e vera.

[Il prossimo articolo della serie le “Dieci parole per la musica liturgica” uscirà il 2 febbraio]

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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.

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ZENIT Staff

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