Danze e canti africani durante le Messe contro canto Gregoriano e uso del latino

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 11 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Questo lunedì, al Sinodo dei Vescovi, è stato sottolineato il valore delle espressioni religiose delle chiese locali – come le danze e i canti africani – nel promuovere la partecipazione e la fede popolari, contro l’uso del canto Gregoriano e del latino.

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Dopo una settimana di lavori sinodali incentrati per la maggior parte sugli “abusi” liturgici, il primo a sollevare questa questione è stato lunedì mattina l’Arcivescovo di Abuja in Nigeria, nonché Presidente della Conferenza Episcopale di questo Paese, monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, in un discorso accolto con prolungati applausi da parte dei Padri sinodali.

L’Instrumentum laboris – ha esordito l’Arcivescovo di Abuja – in molti punti esprime cautela, prudenza e talvolta manifesta ansietà riguardo a errori, esagerazioni e sperimentazioni azzardate a tale riguardo: indubbiamente è ragionevole manifestare queste riserve, esse vanno prese seriamente, ma nell’insieme, non devono causare falsi allarmismi”.

”Anzi – ha aggiunto – dobbiamo rallegrarci delle cose meravigliose che lo Spirito compie nelle nostre chiese locali: in tutta l’Africa, negli ultimi quaranta anni, sono emerse bellissime celebrazioni eucaristiche che hanno approfondito la fede della gente, migliorato la qualità della loro partecipazione, intensificato l’amore per il sacerdozio, infuso gioia e speranza in mezzo allo scoraggiamento e alla disperazione, incentivato rapporti ecumenici e in generale ha promosso l’evangelizzazione”.

Al numero 81 l’L’Instrumentum laboris segnala “che non sempre gli elementi locali, come canti, gesti, danze, abiti, vengono adeguatamente sottomessi ad una purificazione per poi incorporare alla celebrazione liturgica solo quello che conviene al culto eucaristico”.

Aggiungendo anche che “non sono mancati casi di adattamenti liturgici promossi in buona fede senza un’adeguata conoscenza della cultura locale, provocando scandalo per i fedeli”.

L’eucaristia, ha sottolineato monsignor Onaiyekan, “merita e sta ricevendo il meglio delle nostre culture: non avremo molto da offrire in termini di maestose architetture di cattedrali come quelle europee o di splendidi dipinti quali quelli di Michelangelo o di Leonardo da Vinci, ma quanto abbiamo siamo felici di donarlo: i nostri canti e le nostre poesie, il rullo dei nostri tamburi e i ritmi delle nostre danze, tutto per la gloria di Dio”.

“Concludo – ha detto – con il dolce ricordo del nostro caro papa Giovanni Paolo II, il cui amore, rispetto e ammirazione per i nostri sforzi di inculturazione dell’eucaristia si sono manifestati chiari e vividi non soltanto nelle celebrazioni delle sue molte visite in Paesi dell’Africa, ma in tante occasioni proprio qui, nella Basilica di San Pietro”.

Lo stesso giorno, nel prendere la parola il Vescovo di Chipata (Zambia), monsignor George Cosmas Zumaire Lungu, ha invece osservato che a suo avviso l’utilizzo del canto Gregoriano, dell’organo e del latino nelle liturgie degli incontri internazionali è un guardare all’indietro piuttosto che al futuro, e non permette ai laici di partecipare alle celebrazioni eucaristiche.

”Ritengo – ha detto facendo riferimento ad alcuni passaggi dell’Instrumentum laboris – questa parte del documento troppo ottimista riguardo all’organo, al canto Gregoriano e perfino all’uso della lingua latina negli incontri internazionali per venire incontro alle necessità dei popoli di ogni luogo e tempo”.

“La mia proposta – ha proseguito poi – è che non dovremmo guardarci indietro e rendere universali questi strumenti di culto. La nostra riflessione sui temi culturali non dovrebbe confrontarsi, o mettersi in rapporto con l’organo, il canto Gregoriano o il latino, anche se possono rappresentare delle opzioni per quanti li trovano utili”.

“La comunicazione e la partecipazione sono vitali in ogni celebrazione liturgica, compresa la celebrazione eucaristica. Le nostre speranze sono nel futuro, non nel passato”, ha poi detto a conclusione del suo intervento.

In un intervento tenuto nel pomeriggio del 10 ottobre, monsignor Cornelius Kipng’eno Arap Korir, Vescovo di Eldoret e Presidente della Conferenza Episcopale del Kenya, ha sottolineato l’importanza che la domenica riveste in Africa come momento di “condivisione del Mistero pasquale” e di impegno “a superare l’odio e il tribalismo”.

“I nostri cristiani attendono con ansia la celebrazione domenicale della Messa. Il senso di festa, celebrazione e gioia delle nostre assemblee eucaristiche va condiviso con tutta la Chiesa. È la gioia di stare insieme come famiglia di Dio”, ha affermato il presule.

Citando poi il numero 42 della Esortazione Apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” ha ricordato che “gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio e di un mondo spirituale”, e “la celebrazione eucaristica domenicale intende ricorrere a questa ricchezza insita nel popolo al fine di consentire alle comunità cristiane di partecipare pienamente e attivamente al mistero pasquale”.

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ZENIT Staff

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