Crescono le nascite in Italia: segnale positivo, anche se non decisivo

Intervista al professor Giancarlo Blangiardo, docente di demografia

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ROMA, venerdì, 1° luglio 2005 (ZENIT.org).- Per la prima volta dal 1992 il bilancio demografico italiano diventa positivo. Secondo i dati Istat aggiornati al 31 dicembre 2004 la popolazione risulta di 58.462.375 unità rispetto ai 57.888.000 residenti del 31 dicembre 2003.

In crescita le nascite che superano le 563.000 unità con un incremento di 18.536 nati rispetto al 2003, ed in calo i decessi che scendono a 39.810.

In una intervista a ZENIT, il professor Giancarlo Blangiardo, docente di demografia alla Facoltà di Scienze statistiche dell’Università di Milano Bicocca ha valutato positivamente l’aumento delle nascite, anche se purtroppo non sono decisive per mettere fine all’inverno demografico.

Come si spiegano questi dati, per certi versi sorprendenti?

Blangiardo: Un sensibile aumento delle nascite e una diminuzione delle morti, così si presenta il dato statistico. Nel 2003 l’estate calda e l’inverno freddo avevano incrementato il tasso di mortalità tra gli anziani. L’aumento delle nascite è un dato significativo anche se favorito dall’immigrazione, soprattutto nelle regioni come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, dove questa è stabile e di tipo familiare.

L’Istat mette in evidenza che prima del 1990 le nascite da immigrati non superavano l’1 o 2 per cento, mentre ora sono quasi al 9 per cento del totale. Bisogna anche considerare che le donne nate alla fine degli anni Sessanta e inizio anni Settanta, hanno colto l’opportunità di procreare, perché ormai all’ultima spiaggia. L’Istat mette in evidenza che l’età media per la nascita del primo figlio ha ormai raggiunto i trent’anni.

E’ comunque un fatto straordinario che regioni come la Liguria, e città come Trieste, che avevano il record negativo delle nascite, siano ora protagoniste di un cambiamento repentino…

Blangiardo: Prendiamo atto di una realtà estremamente interessante e positiva. Bisogna però stare attenti a non considerare il problema demografico come risolto. La malattia non è finita, anche se il quadro generale sta evolvendo con delle caratteristiche interessanti che vanno incoraggiate.

Quanto ha inciso sul dato generale il contributo degli immigrati?

Blangiardo: Abbastanza, nel senso che il superamento della soglia dei 58 milioni dipende in parte dalla regolarizzazione tra il 2003 e il 2004 di circa 600.000 immigrati. Questi immigrati c’erano già, e quindi il dato è reale, ma sono stati contati solo grazie alle procedure amministrative che gli ha permesso di iscriversi all’anagrafe. Inoltre il fenomeno immigratorio, composto da giovani vitali, contribuisce significativamente alla crescita dell’Italia.

I dati ci dicono che gli immigrati lavorano in media più tempo degli italiani, e insieme agli aspetti economici danno un contributo in termini di vitalità, nascite e abbassamento dell’età media. Da questo punto di vista sarebbe forse il caso di decidere se questi bambini che nascono in Italia da genitori stranieri, nel caso lo desiderassero, potessero acquisire la cittadina italiana.

D’altro canto, nascono, vanno a scuola, hanno amichetti italiani, imparano la lingua e vivono in un mondo in cui la cultura e le regole di vita sono le nostre. E’ legittimo che possano diventare italiani a tutti gli effetti.

Considerando l’importanza delle nascite non solo per l’economia ma per il Paese nel suo complesso, quali politiche dovrebbero essere proposte per uscire definitivamente da scenari di inverno demografico?

Blangiardo: Bisogna sostenere il contesto all’interno delle quali avvengono le nascite, cioè le famiglie. Il problema italiano non è che non si vogliano i figli, ma che i figli sono ancora considerati da una certa cultura, un problema non solo economico. I bambini vengono percepiti come un problema nell’economia del tempo libero, nelle relazioni di coppia, nella vita della donna, nella compatibilità tra maternità e lavoro. Tutto il sistema economico, normativo e socio culturale è fatto in modo da porre ostacoli alla decisione di avere un secondo figlio, poiché il primo figlio lo fanno quasi tutti.

Lei sta dicendo che la nostra società risente ancora di un approccio al problema demografico di tipo neomalthusiano?

Blangiardo: Per molto tempo i bambini sono stati considerati chiassosi e rompiscatole. La società è stata pensata per gli adulti e non per i bambini. Bisognerebbe invece riacquistare una mentalità che sappia apprezzare il valore dei figli, anche dei figli degli altri, il valore delle nuove generazioni.

Come atteggiamento culturale, dobbiamo investire nelle nuove generazioni, e non solo in termini qualitativi, ma anche in termini quantitativi. Un Paese come il nostro deve incrementare le nascite, altrimenti il sistema sociale non regge, e invecchia. Le famiglie vorrebbero avere il secondo o terzo figlio, ma non lo fanno perché la società gli crea dei vincoli. Dobbiamo fare in modo che questo non accada.

Valuto positivamente come segnale di cambiamento la proposta dell’assegno di natalità per il secondo figlio. Non perché le famiglie decidano di procreare per via dell’assegno, ma come riconoscimento ufficiale di come una parte del reddito di ciascuno vada investito in capitale umano. Si tratta di un investimento su coloro che un giorno pagheranno la pensione agli anziani.

Credo che sia giunto il momento di investire in una sana politica demografica, che per anni è stata un tabù e che nessuno è stato capace di fare. Così come è giusto sostenere il reddito dei più poveri, tanto più è importante investire nelle generazioni future in termini di capitale umano. Nella stesa direzione vanno favorite le politiche dei congedi parentali e dei nidi aziendali.

Non considera uno scandalo il fatto che i fondi europei siano stati utilizzati per programmi di controllo demografico invece di sostenere le famiglie?

Blangiardo: Certo. Mi preme però sottolineare che seppure questi ultimi dati dell’Istat siano incoraggianti, non si deve pensare che il problema dell’inverno demografico sia svanito. La natalità deve crescere di molto, anche perchè tra non molto arriveranno in età fertile le generazioni in cui le nascite sono state basse.

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ZENIT Staff

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