Commissione cattolico-ortodossa riconosce il primato del Papa, ma ne studia la funzione

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 15 novembre 2007 (ZENIT.org).- Per storia e tradizione ecclesiale, il Vescovo di Roma va considerato come il protos, cioè il “primo” tra i Patriarchi tanto delle Chiese d’Occidente quanto d’Oriente. Le prerogative che derivano da questo primato, tuttavia, vanno studiate e comprese meglio per essere condivise dalle due tradizioni.

 

E’ questa la conclusione contenuta nell’importante documento reso noto oggi dalla Commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Il documento è frutto dell’ultimo incontro della Commissione mista, celebrato a Ravenna dall’8 al 14 ottobre.

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Il tema al centro dei lavori è stato “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e sinodalità nella Chiesa”.

Lo studio del tema era già iniziato nella precedente Sessione Plenaria di Belgrado, dal 18 al 25 settembre 2006, sulla base di un progetto elaborato a Mosca nel 1990. Nel corso della sessione attuale, lo studio è stato completato e si è approvato un documento comune, che offre una solida base per il futuro lavoro della Commissione.

Il documento di Ravenna, in 46 punti racchiusi in una decina di pagine, afferma che cattolici e ortodossi concordano sul fatto che il Vescovo di Roma sia considerato il primo tra i Patriarchi di tutto il mondo, visto che Roma è, secondo l’espressione di Ignazio di Antiochia, “Chiesa che presiede nella carità”.

Ciò su cui non si concorda sono le “prerogative” di questo primato, poiché secondo il documento “esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici”.

Il documento di Ravenna parte da due elementi fondamentali, la “conciliarità” e l’“autorità”.

La prima, detta anche “sinodalità”, “riflette il mistero trinitario”, in cui la “seconda” o la “terza” persona non implicano “diminuzione o subordinazione”.

Anche la Chiesa, cita l’emittente pontificia, possiede una “dimensione conciliare”, che si esprime a tre livelli: locale, regionale, universale. I primi responsabili della conciliarità sono i Vescovi, che “dovrebbero essere uniti tra loro nella fede, la carità, la missione, la riconciliazione” e “hanno in comune la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa”.

L’autorità deriva invece da Cristo, si “fonda sulla Parola di Dio”, e attraverso gli Apostoli è “trasmessa ai Vescovi” e “ai loro successori”. Il suo esercizio, spiega il documento, è essenzialmente “un servizio d’amore”, perché “per i cristiani, governare equivale a servire”.

Al primo livello, quello locale, la Chiesa esiste in quanto “comunità radunata dall’Eucaristia” ed è presieduta in modo diretto o indiretto da un Vescovo. Già in questo caso la comunione tra i membri della Chiesa “appare sinodale o conciliare”, per cui il Vescovo è il protos.

A livello regionale, conciliarità e autorità rendono evidente la comunione con le “altre Chiese che professano la stessa fede apostolica e condividono la stessa struttura ecclesiale”.

Il punto 24 del documento cita un canone accettato sia in Occidente che in Oriente per il quale “i Vescovi di ciascuna Nazione debbono riconoscere colui che è il primo tra di loro e considerarlo il loro capo”, non facendo “nulla di importante senza il suo consenso” e tuttavia senza che “il primo” faccia “nulla senza il consenso di tutti”, salvaguardando in questo modo la “concordia”.

Questo principio di unità episcopale trova applicazione anche a livello “universale”, quello della comunione tra le Chiese di ogni luogo e di ogni tempo, la cui espressione sono i Concili ecumenici che, fin alle origini della Chiesa, hanno visto riunirsi per dirimere questioni particolarmente rilevanti i Vescovi delle cinque principali sedi apostoliche – Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme – e poi di ogni altra diocesi.

E’ soprattutto nei Concili ecumenici che si riconosce il “ruolo attivo” esercitato dal Vescovo di Roma.

“Resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del Vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese”, ovvero quale sia “la funzione specifica del Vescovo della ‘prima sede’ in un’ecclesiologia di koinonia”, afferma la Commissione mista.

Allo stesso modo, bisogna studiare in che modo “l’insegnamento sul primato universale dei Concili Vaticano I e Vaticano II” possa essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio.

Sono “interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi”, osserva il documento.

Il testo, ha spiegato monsignor Eleuterio F. Fortino, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in un articolo apparso su “L’Osservatore Romano” (7 novembre 2007), “costituisce una valida premessa per continuare il dialogo, anche se, come è stato ricordato, questo documento non impegna per ora le autorità delle due parti, né la stessa commissione considera terminato lo studio che dovrà essere continuato”.

I lavori della Commissione sono stati diretti dai suoi copresidenti: il Cardinale Walter Kasper e il metropolita Ioannis di Pergamo, aiutati da due cosegretari, il metropolita Gennadios di Sassima (Patriarcato ecumenico) e monsignor Fortino.

La Commissione mista, istituita a Istanbul dal Papa Giovanni Paolo II e dal Patriarca Ecumenico Dimitrios I il 30 novembre 1979, per la festa di Sant’Andrea – Patrono della Chiesa di Costantinopoli –, ha iniziato il suo cammino nel 1980 ed ha ripreso i lavori nel 2006, dopo una pausa di 6 anni dovuta ad alcune divergenze.

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ZENIT Staff

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