Cattedrale della Santa Vergine Maria, Minsk (destra) / Wikimedia Commons - Monk, CC BY-SA 2.5

Card. Bagnasco: “Europa: un corpo vivente, una comunità di vita e di destino”

Prolusione del presidente del CCEE in occasione dell’apertura dell’Assemblea Plenaria a Minsk, Bielorussia — Testo integrale

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Riportiamo di seguito il testo completo della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), in occasione dell’apertura dell’Assemblea Plenaria dell’organismo, che si terrà dal 28 settembre fino al 1° ottobre 2017 a Minsk, Bielorussia.
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Introduzione
“L’umanesimo laico e profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”. Le parole che Paolo VI pronunciò nel Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II (7.12.1965) suonano sempre attuali e ci aiutano all’inizio dei nostri lavori. Quale è stato l’esito di quell’incontro che poteva diventare uno scontro? “L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio: una simpatia immensa lo ha tutto pervaso” risponde il beato Pontefice (id).
A questo animo di evangelica simpatia hanno fatto eco i frequenti appelli di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI verso l’Europa, e – nei diversi suoi interventi –  il Santo Padre Francesco rilanciava questo sguardo pastorale e profetico auspicando “uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente”. L’amato Continente è l’Europa, e l’occasione era il conferimento del prestigioso Premio Carlo Magno (16.5.2016). Noi, che qui abbiamo l’onore e il compito di rappresentare i Pastori della Chiesa Cattolica in Europa, facciamo nostro questo auspicio e lo poniamo nel cuore innanzitutto della nostra preghiera, consapevoli che la separazione tra fede e vita “va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo” (Conc. Vat. II, GS 43). Nel medesimo tempo, confermiamo ogni impegno per annunciare il Vangelo di Cristo con parresia, e rinnoviamo l’amore che ciascuno di noi ha non solo per il suo popolo, ma anche per ogni popolo e nazione, in quel respiro universale che è proprio del Vangelo di Cristo.
Siamo anche fermamente convinti, con il Papa, che l’Europa “ha una forza, una cultura, una storia che non si può sprecare” (Papa Francesco, Conferenza Stampa nel volo dal Messico, 17. 2. 2016); che “alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione” (Papa Francesco, Premio Carlo Magno cit), valorizzando sempre più la ricchezza irrinunciabile dei “due polmoni, quello orientale e quello occidentale” (Papa Francesco, Messaggio alla Plenaria 2016).
L’Europa, dunque, non deve sprecare se stessa, la storia bimillenaria che la lega al cristianesimo e che – nonostante le ombre degli uomini – ha prodotto frutti di civiltà e cultura, ma deve volersi più bene, deve credere nelle sue potenzialità, sapendo “che questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere” (Papa Francesco Discorso al Parlamento Europeo 25.11.2014). Anche se un po’ affaticata, forse segretamente delusa, non deve arrendersi, deve ritrovare l’entusiasmo delle origini, non certo la percezione passata di essere il centro del mondo, ma di avere qualcosa di bello e di peculiare da offrire all’umanità. Ogni regione della Terra, infatti, ha da portare qualcosa di grande e di proprio agli altri: tutti devono imparare a pensarsi in relazione con le altre aree, in un dinamismo virtuoso di dare e ricevere.
1. La Plenaria
Uno dei due temi centrali della nostra Plenaria, come richiesto a Montecarlo nello scorso anno, è il rapporto tra il CCEE e il Continente, rapporto che conosciamo alla luce dei nostri Statuti, ma che è utile rimettere a fuoco nel flusso delle circostanze storiche, al fine di un servizio efficace nello spirito di Gesù che lava i piedi degli Apostoli. L’altro tema, che sarà oggetto della riflessione e del nostro confronto, saranno i giovani, anche nell’orizzonte del Sinodo del prossimo anno.
Cari Confratelli, all’inizio della prima Plenaria che ho l’onore di presiedere, permettete che rinnovi a voi la gratitudine mia e dei Vicepresidenti per la fiducia che avete mostrato eleggendoci nei rispettivi compiti. Vi possiamo confidare che subito ci siamo messi al lavoro con entusiasmo e convinzione, per fare del nostro meglio a servizio del Consiglio.  Doveroso è anche un saluto grato al Card. Peter Erdo, che per dieci anni ha guidato il nostro Organismo con dedizione e perizia, e con lui anche ai Confratelli che si sono susseguiti nella vicepresidenza.
2. Il secolarismo che isola
Tornando all’Europa, l’esperienza di Pastori che hanno la grazia di vivere con la gente, ci testimonia che la marcia del secolarismo è diffusa ovunque, costituendo quella “cultura diffusa, quel pensiero unico e omologante” di cui spesso parla il Santo Padre, e che descrive come una “colonizzazione ideologica”.  Nei Sinodi dell’ultimo decennio, i Padri hanno rilevato questo fenomeno ovunque, in qualunque società e cultura. I tempi e i modi possono essere diversi, ma l’intenzionalità è identica: vivere a prescindere da Dio, non di rado facendo credere che la religione è contraria alla felicità dell’uomo, alla sua libertà, alla democrazia e alla sana laicità dello Stato. Quale lo scopo di questa ideologia che si veste di assoluta autonomia individuale? Che slega da ogni riferimento umano e religioso? Che dissolve le relazioni interpersonali, sociali, internazionali? Quali sono i frutti di questo albero? Forse l’uomo è oggi più felice, e le società più umane e vivibili? In realtà, molti osservatori rilevano che nei cuori abita lo smarrimento se non addirittura l’angoscia: “L’Europa è stanca di disorientamento” afferma Papa Francesco (Messaggio alla Plenaria CCEE 2014). E la storia insegna che il disorientamento, se diffuso e prolungato, può portare lontano!
Ciò nonostante, noi Pastori conosciamo anche un’altra realtà, che potremmo chiamare “cultura popolare” non nel senso che sia solo del popolo o di tutto il popolo, ma nel senso che sembra ritrovarsi prevalentemente nel sentire popolare, quello di base, quello più semplice ma per questo forse più aderente alla realtà e all’umano. Se, infatti, da una parte vediamo che una certa rappresentazione delle cose tende a far credere che tutto va male, che non c’è più speranza, dall’altra vediamo che la cronaca dolorosa non esaurisce il vissuto concreto. Infatti, se solleviamo il velo della narrazione inquietante, troviamo che la vita brulica, la vita vera, quella di tanta gente semplice che tira avanti i giorni con dignità, che cura la famiglia con amore e sacrificio, che si dedica all’educazione dei figli con coscienza, che si prende cura dei propri malati o dei vicini in modo ammirevole… Insomma, sotto la superficie schiumante, vi è un eroismo normale e quotidiano, e noi Pastori onoriamo questo patrimonio di nobiltà che non fa notizia, ma fa storia.
3. Ridare Speranza
Che cosa possiamo fare noi, Pastori delle Chiese che sono in Europa? I Papi con parole diverse hanno indicato la strada: hanno parlato di “nuova evangelizzazione”. Ora, Papa Francesco parla di “Chiesa in uscita”. La passione, l’ardore e l’urgenza costituiscono l’humus da cui salgono i continui, accorati inviti alla Chiesa presente nel mondo.
Se guardiamo il nostro Continente, forse possiamo dire che la missione evangelizzatrice oggi deve assumere la nota dominante della speranza. L’Europa non può essere depressa, incerta sulla sua anima, appesantita da memorie tragiche, tanto da voler cancellare il suo passato per una impossibile e triste rinascita, dove si pretende di ripensare e di riscrivere tutto, anche l’alfabeto umano. Il cristianesimo, come l’anima per il corpo, ha il compito di vivificare le radici europee, radici antiche ma sempre capaci di germogliare nell’oggi. Deve ridare speranza!
L’illuminante riferimento alla Lettera a Diogneto è usato dal Papa quasi per declinare l’immagine evangelica del lievito nella pasta, e si rivela denso di suggestioni e di orientamenti. La nostra speranza non è una sapienza umana, è Gesù Cristo, il Verbo eterno di Dio fatto uomo, il Salvatore del mondo.  La speranza, nei millenni, ha sprigionato le migliori energie, la forza degli ideali, la capacità di sacrificio, l’intraprendenza nell’indagare la natura, la conquista tecnologica, il gusto della filosofia, delle lettere e delle scienze; ha fatto lievitare la coscienza collettiva, ha ispirato il modo di vivere insieme ponendo i germi della democrazia ed esprimendo capolavori di bellezza e di arte. Tutto questo non ha impedito, tuttavia, ombre e lentezze che nessuno nega.                 
Ora, tutto sembra dietro le spalle di un Continente che sembra smemorato, che pare diventato sterile, incapace di generare figli capaci di riconoscersi fratelli in una “famiglia di popoli” (Papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo cit).
4. Dire Gesù
“Non è la fine. Credo che l’Europa ha tante risorse per andare avanti. (…) E la risorsa più grande è la persona di Gesù. Europa, torna a Gesù! Torna a quel Gesù che tu hai detto che non era nelle tue radici. E questo è il lavoro dei pastori: predicare Gesù” (Papa Francesco, Discorso alla Plenaria CCEE, 3.10.2014, cit).
Il secolarismo rende ancora possibile annunciare che Gesù è il Signore? Oppure ha oscurato e addormentato la coscienza dei singoli e dei popoli così che non sono più in grado di udire e di vedere? La sana laicità, affermata dal Magistero, si è forse trasformata in un laicismo ideologico? Siamo di fronte a qualcosa di fatale e irreversibile? Forse una certa cultura lo ritiene un fenomeno irreversibile, ma certamente il processo non é fatale nel senso di casuale e inarrestabile. Allora, come fare perché risuoni il nome di Gesù nel cuore dei contemporanei? E cosa fare perché sia chiaro che Dio è Qualcuno e che la fede non va confusa con i buoni sentimenti? Che ancora esistono cose per cui vale la pena di soffrire? Sarà fecondo il confronto che avremo tra noi, a partire dalla parola di Gesù all’Apostolo Paolo: “Non avere paura, ma continua a parlare e a non tacere, perché io sono con te (…), perché io ha un popolo numeroso in questa città!”(Atti 18, 9-10).
Sì, cari Confratelli, queste parole sono rivolte anche a noi, perché lo scoraggiamento non vinca di fronte alle difficoltà della missione, sapendo che quando la nostra debolezza grida verso Dio, allora diventa il luogo del Dio forte. Coscienti che la questione non è essere dei conquistatori, ma dei conquistati; che siamo mandati nel mondo ma che non siamo del mondo; che ci vuole amore per vedere il mondo, e libertà per non esserne posseduti. E consapevoli che lo sguardo risolutivo sull’umanità è solo lo sguardo di Cristo. E’ questo sguardo che ci permette di stare nel mondo e di non essere assimilati alla mondanità.
5. L’ora del risveglio
Il migliore alleato del Vangelo non sono le nostre organizzazioni, le risorse, i programmi, ma l’uomo: l’uomo in ogni tempo, in qualunque situazione, civiltà, cultura. La cultura odierna non ama ascoltare idee diverse da quelle che pensa, convinta che la civiltà sia tutta da ripensare, e le verità più elementari – come la vita e la morte, l’amore e la libertà – siano da ridefinire. Tuttavia, gli uomini hanno un desiderio segreto: sperano di incontrare qualcuno che aiuti la loro coscienza a risvegliarsi, a risvegliare le questioni decisive dell’esistenza, del destino, del futuro oltre la morte, del male che ferisce l’umano e dei mali che violentano la vita e il cosmo: “Un faccia alla morte, l’enigma della condizione umana diventa sommo (…) Il germe dell’eternità che porta l’uomo in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte” (Conc. Vat. II, GS 18).
Nelle cose più belle della vita, nelle esperienze più liete e gli affetti più cari, l’uomo sente che gli sfuggono sempre due cose: il “tutto” e il “per sempre”. Vorrebbe una gioia piena che non finisce mai. Per questo, in fondo, avverte di essere una sinfonia meravigliosa ma incompiuta, una creatura di confine fra il tempo e l’eterno, segnato da una sottile nostalgia di “un di più”, che non sempre riesce e decifrare e che vede non essere nelle sue mani. Una nostalgia che non è condanna, ma grazia!
Possiamo dire che l’uomo occidentale appare confuso sulla propria identità e sul senso del suo esistere, ma dentro a questo groviglio si fa avanti un’opportunità, è presente uno spazio forse ancora piccolo, ma che esiste e indica il risveglio, spesso lento e incerto, a volte improvviso come un lampo. Il processo è ormai iniziato e nessuno potrà fermarlo, perché l’uomo non può vivere senza verità e in radicale solitudine. E’il risveglio dell’anima! Non è forse questo il kairòs dell’ora? Su questo tornante noi non vogliamo mancare, come sentinelle del mattino, vigili e pronte per indicare il nuovo giorno.
Forse, però, possiamo registrare anche un altro segnale che indica la presenza dello Spirito: la gente, specialmente il popolo dei piccoli, comincia a interrogarsi circa fenomeni talmente inediti da destare interrogativi sul versante spirituale, etico, culturale e sociale. Sul futuro dell’umanità. Anche questo è un indice e un appello per noi Pastori. Il Santo Padre ricorda che l’uomo, ricevuto il creato da Dio per dominarlo, per farlo diventare “cultura”, ad un certo momento “comincia a fare lui il creatore” di una cultura sua propria, tanto che “occupa il posto di Dio. L’uomo autosufficiente”; e si arriva così ad un laicismo “come quello che ci ha lasciato in eredità l’illuminismo” (cfr. Papa Francesco, Conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Svezia, 1.11.2016). Il Papa, alla radice dell’attuale situazione, mette in evidenza questi due fattori: “L’autosufficienza dell’uomo creatore di cultura, ma che va oltre i limiti e si sente Dio, e un po’ la debolezza dell’evangelizzazione che diventa tiepida e i cristiani sono tiepidi” (id). Egli, di conseguenza, insiste sulla necessità di chiarire il senso della “sana autonomia” di cui parla l’ultimo Concilio, e la bellezza della “dipendenza, dell’essere creatura e non Dio” (id).  
In conclusione si tratta di risvegliare le domande che sonnecchiano in fondo all’anima: esse possono essere anche anestetizzate, ma non possono morire, perché il Creatore le ha scritte nella coscienza come un benefico tormento, affinché l’uomo non possa accontentarsi di nulla che sia meno di Dio. Appartiene, dunque, all’evangelizzazione sia risvegliare le domande decisive, e sia annunciare il Signore della vita e della speranza.
I nostri lavori prevedono anche un significativo focus sui giovani. Ne parleremo nei gruppi di lavoro e insieme. Ora diciamo solo che le giovani generazioni sono nell’orizzonte del Continente europeo: la Chiesa guarda a loro con particolare simpatia non per interessi propri, ma per il bene della loro vita e della civiltà europea. Avremo occasione per introdurci brevemente all’affascinate età che è in gioco e che ha nelle mani il futuro.
6. L’Unione Europea
Anche l’Unione Europea sta a cuore a noi tutti, Pastori del Continente. E a tutti i cittadini di questa grande terra – qualunque sia il ruolo di ciascuno – ci rivolgiamo con rispetto e convinzione. Il sogno di questa unione come “famiglia di popoli” e “casa di nazioni” è sempre attuale, tanto più se guardiamo il mondo e i “giganti vecchi e nuovi”. Non spetta a noi fare dei calcoli di tipo economico e commerciale, ma è nostro dovere ricordare a tutti che l’Europa non è un complesso puramente geografico, né soltanto un gruppo di popoli, ma è un compito spirituale ed etico; non è un organigramma, ma è un corpo vivente, una comunità di vita e di destino.
L’immagine europea di persona è determinata nel modo più profondo dal cristianesimo: il Vangelo è stato l’alveo che ha dato sintesi a diversi contributi che la storia del continente ha conosciuto. Il Signore Gesù – rendendo l’uomo figlio di Dio – gli ha conferito una dignità unica, gli ha dato come criterio della libertà la verità, tanto che – tagliando la radice trasformante di Cristo – la dignità umana rischia di non avere fondamento. Per questo il Santo Padre ha insistito sulla “dignità trascendente” dell’uomo (cfr Papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo cit), dove quel “trascendente” esprime la sorgente e la migliore garanzia del valore irripetibile di ogni persona, nonché la sua stessa relazionalità che si oppone ad ogni cultura esclusivista.
All’origine dell’Europa, dunque, non troviamo solo una dimensione genericamente spirituale, ma specificamente cristiana. Per questa ragione Novalis – già nel 1799 – scriveva che “Se l’Europa si staccasse totalmente da Cristo, allora essa cesserebbe di essere” (La Cristianità, ossia l’Europa). E il filosofo ebreo Karl Löwith affermava con lucidità: “Il mondo storico in cui si è potuto formare il ‘pregiudizio’ che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la ‘dignità’ e il ‘destino’ di essere uomo, non è originariamente il mondo (…) del Rinascimento, ma il mondo del cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo (…) Con l’affievolirsi del cristianesimo è diventata problematica anche l’umanità” (Von Hegel zu Nietzsche, 1941).
Potrà il Davide europeo essere se stesso? Noi crediamo di sì, se verrà ricuperato il sogno dei veri Padri Fondatori, uomini liberi nella verità e quindi realisti senza pregiudizi di alcun tipo, neppure verso la religione. Noi crediamo di sì non perché L’Europa possa sopraffare gli altri, ma perché nel consesso dei popoli ha qualcosa di decisivo da offrire grazie alla sua storia ancora feconda.
Cari Amici, le nostre povere voci portano l’eco dei secoli: proprio per questo possono parlare all’uomo moderno che, pur in mezzo a cambiamenti epocali, resta l’uomo di sempre.
Grazie per il vostro fraterno ascolto. Ci mettiamo ora al lavoro con fiducia e convinzione, sotto lo sguardo di Maria Madre della Chiesa e dei Santi Protettori di questo amato continente.
(Fonte: CCEE)

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ZENIT Staff

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