"Amare Dio in modo totale ed esclusivo è la nostra vocazione"

Parla Marta Rodriguez, direttrice dell’Istituto di Studi Superiori sulla Donna e consacrata del Regnum Christi

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di Luca Marcolivio

ROMA, mercoledì, 4 aprile 2012 (ZENIT.org) – La vocazione alla vita consacrata è molto diversa a seconda dei carismi e delle congregazioni. Nel movimento Regnum Christi, i consacrati sono uomini e donne laici che vivono la loro vocazione come totale dedizione a Dio, occupandosi, in particolare, di formazione a tutti i livelli.

Per conoscere questa realtà, in particolar modo nel suo ramo femminile, Zenit ha intervistato Marta Rodriguez, 32 anni, spagnola, da molti anni residente a Roma, dove è direttrice dell’Istituto di Studi Superiori sulla Donna (ISSD) e laureanda in Bioetica. Si occupa inoltre di discernimento vocazionale per le ragazze e collabora con le Pastorale Universitaria e la Pastorale Familiare.

Chi sono le consacrate del Regnum Christi e qual è il loro carisma?

Marta Rodriguez: Come consacrate facciamo parte della grande famiglia del Regnum Christi, al cui interno troviamo la congregazione sacerdotale dei Legionari di Cristo, i membri laici che, come tali vivono la loro vocazione cristiana, e i membri consacrati che hanno la vocazione ad una dedizione totale a Dio. Consacrati e consacrate fanno promesse di castità, povertà ed obbedienza, vivendo in comunità. Quello che ci differenzia dagli altri membri non è tanto in ciò che facciamo, quanto la dedizione all’amore esclusivo che è il cuore della nostra vocazione. I consacrati e le consacrate, sono denominati anche “membri del terzo grado” del Regnum Christi. Il nostro carisma non è diverso rispetto a quello dei laici del nostro movimento, molto dinamico apostolicamente e caratterizzato da una spiritualità cristocentrica, con una forte vocazione all’evangelizzazione e alla carità.

Il magistero della Chiesa, specie in tempi recenti, ha dato molto spazio al concetto di “genio femminile” e al ruolo della donna nella società. Le consacrate del Regnum Christi come vivono questo insegnamento?

Marta Rodriguez: La nostra vocazione è chiara dal momento in cui siamo nate. Le consacrate fanno la loro apparizione nel Regnum Christi alla fine degli anni ’60, in un contesto post-conciliare che metteva fortemente in risalto il ruolo dei laici, nell’evangelizzazione e nella costruzione della Chiesa. Contemporaneamente sono gli anni del ’68 e del femminismo, con una grande confusione sul ruolo della donna: se da un lato molti dei diritti rivendicati in quegli anni erano giusti, dall’altro ci siamo un po’ “persi per strada”. C’era, quindi, un’esigenza di chiarimento sul ruolo della donna ed è proprio alla formazione della donna, dai 5 anni all’età adulta, che noi siamo chiamate, attraverso mezzi come la scuola, la pastorale familiare, il lavoro giovanile. Come donne abbiamo un contributo da dare alla Chiesa, visto che Dio ci ha fatto uomini e donne: di questa complementarità non ha bisogno soltanto la Chiesa, ma anche il mondo aziendale, politico, ecc. C’è molto da sviluppare, non certo come una lotta di potere ma in chiave di servizio, come il magistero ci chiama a fare. Attualmente mi sto occupando di un apostolato di carattere più spiccatamente culturale, attraverso l’ISSD che a ottobre ha tenuto due convegni: Donna linfa della Chiesa e Donna e nuova evangelizzazione. Il primo rifletteva, soprattutto sul piano più dottrinale e storico, sul ruolo della donna, il secondo ha fatto conoscere volti donne impegnate nell’evangelizzazione.

Come vive la propria femminilità, una donna consacrata?

Marta Rodriguez: Ogni donna ha tre vocazioni o “desideri del cuore”: essere figlia, ovvero sentirsi amata gratuitamente ed incondizionatamente; essere sposa, nella sua chiamata ad un amore esclusivo ed unico; essere madre, nella donazione e dedizione totale. Ogni donna è chiamata a rispondere a ognuna di queste tre chiamate, indipendentemente dallo status. Quando sentii in me la vocazione alla vita consacrata, avevo sempre percepito la vocazione al matrimonio. Poi ho capito che Dio mi chiedeva di essere l’“amore della mia vita” e che non mi chiedeva di rinunciare a niente ma di realizzare questo amore in modo speciale e diverso, senza reprimere l’aspirazione del cuore all’amore totale ed esclusivo. Non è una rinuncia alla femminilità ma un modo specifico per realizzarla. Quindi mi sento chiamata ad insegnare anche quello, cerco di essere una “professionista dell’amore” e di insegnare alle donne, fidanzate o sposate, come si ama, non perché io sia più brava di loro, ma perché è una forma di allenamento permanente per formare un cuore che sappia amare. Una vocazione all’amore e a una femminilità piena a cui noi non rinunciamo e che dobbiamo vivere in pieno per insegnarla e trasmetterlo. Io stessa parlo, insegno, evangelizzo e mi rapporto alle persone come donna. L’essere casta non mi fa essere meno donna.

Il vostro apostolato più sviluppato è quello educativo, con la gestione di molti istituti scolastici. Come vi rapportate, in modo particolare, con le famiglie divise e con i bambini con i genitori separati?

Marta Rodriguez: Cerchiamo di accompagnarli e di far parte della loro famiglia. Il nostro atteggiamento non è quello del maestro che sale in cattedra o del giudice che giudica, ma quello di stare accanto alle persone. Cerchiamo capire queste famiglie ed accompagnarle, di essere per loro – come diceva Giovanni Paolo II – il “riflesso della tenerezza di Dio”. La gente, alla fine, capisce che da parte nostra c’è un’amicizia incondizionata e reale, che non giudica e che accoglie: ciò li induce a porsi delle domande e a cambiare. Dobbiamo essere come delle “buone samaritane” che accompagnano le persone per poi indicare loro la strada. Nelle nostre scuole non mancano allieve con famiglie “disfunzionali”, tuttavia, anche in questi contesti è possibile un cammino cristiano: abbiamo fatto battesimi di adulti, matrimoni, funerali, ecc. Non tutti arrivano alla grazia sacramentale, tuttavia, speriamo possano comprendere che c’è un Dio e una Chiesa che li accompagna e che, costantemente, tende loro la mano. In tanti casi, in cui i figli patiscono il divorzio dei genitori, il nostro ruolo diviene importante, specie durante l’adolescenza: se si riesce a fare lavoro di squadra, diventiamo un punto di riferimento per queste ragazze che comprendono che è possibile amare ed essere fedeli perché stiamo loro accanto.

Di fronte alla crisi di vocazioni alla vita consacrata, come rispondete?

Marta Rodriguez: Tutto quello che noi facciamo è formare le persone perché possano arrivare alla pienezza vocazionale, sia nel matrimonio, che nella vita consacrata (se c’è la vocazione). Oggi la crisi della vita consacrata va di pari passo con la crisi del matrimonio e di qualunque cosa implichi impegno per la vita. Tutto il nostro lavoro educativo cerca di dare fondamenta salde a questo tipo di lavoro, a livello umano e a livello cristiano. A livello umano molte di queste difficoltà risiedono nell’emergenza educativa, nella fragilità affettiva, nel relativismo, nella paura di sbagliare. Poi c’è un forte “analfabetismo cristiano”: alcuni non sanno cosa siano i sacramenti, né sanno pregare. Le scuole, le parrocchie, i club sono una risposta a queste carenze. Quando si prepara la terra, Dio può seminare: preparare la terra significa formare umanamente e cristianamente, aprire orizzonti, educare alla generosità. La ragazza che avverte una vocazione, trascorre due mesi estivi di “discernimento”, dopodiché c’è un anno di discernimento ulteriore in un centro di formazione o in una delle nostre case, durante il quale lei vive la nostra vita e il nostro apostolato, senza alcun impegno, prima di essere avviata al centro di formazione che è un po’ l’equivalente del noviziato.

Le consacrate del Regnum Christi hanno vissuto recentemente una crisi, con l’uscita di molti loro membri. Cosa rappresenta tutto questo per voi, anche in un’ottica sovrannaturale?

Marta Rodriguez: È iniziato tutto con le vicende del fondatore, Marcial Maciel, ed è stata una prova molto dura, attraverso la quale Dio ci chiede di fondare la nostra vita esclusivamente in Lui e nella Chiesa. Adesso facciamo meno affidamento sull’“umano”, nel senso che mettiamo tutta la nostra fiducia in Dio, certe che il Signore agisce anche attraverso mezzi insufficienti. È stato come un momento di distacco, di sofferenza e di rinnovamento. È stata molto dura vedere tante sorelle, persone splendide e sante, intraprendere un’altra strada. Le rispettiamo con tutto il cuore ma ciò non toglie che sia triste vederle andar via e che ci manchino. Dall’altro lato, sentiamo una chiamata forte a costruire l’opera in cui crediamo e a rinnovarla. Sentiamo più voglia di donare il nostro carisma specifico, perché non è una cosa che ci appartiene ma un dono che ci è stato dato e che dobbiamo mettere al servizio della Chiesa. Recentemente ho visto rinascere lo zelo apostolico e la voglia di evangelizzare con il nostro carisma. Non dobbiamo mai disconoscere il dono che Dio ci ha fatto ed essere consapevoli che la nostra vocazione è per noi. È un momento di tristezza ma, al tempo stesso, di tantissima pace: ci sentiamo prese per mano dalla Chiesa e ci dà molta fiducia avere accanto il cardinale De Paolis come delegato apostolico: chi cammina con la Chiesa, cammina sicuro, senza la paura di sbagliare.

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ZENIT Staff

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