Nella concattedrale di Gerusalemme gli applausi hanno sovrastato le note del Te Deum, ieri pomeriggio, quando mons. Pierbattista Pizzaballa è entrato in processione, per celebrare i vespri che hanno segnato l’inizio del suo incarico. Con le autorità civili locali erano presenti i consoli di Francia, Italia, Belgio e Spagna, e nel presbiterio, il cardinale O’Brien, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, e mons. Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina.
Il francescano, che Papa Francesco ha nominato in giugno Amministratore Apostolico del Patriarcato Latino sede vacante, ha fatto dunque il suo ingresso solenne a Porta di Giaffa, come previsto dal cerimoniale di Gerusalemme. Tra saluti e strette di mano dei capi delle diverse chiese, di religiosi e cristiani locali, anche le missionarie della carità, che gli hanno messo al collo una ghirlanda di fiori gialli e bianchi.
Poco prima, si era svolta la conferenza stampa di inizio incarico del neo-vescovo, ordinato a Bergamo sabato 10 settembre. Chi è un amministratore apostolico e cosa fa. Ha voluto innanzitutto chiarire alla stampa perché questo incarico ecclesiastico, mons. Pizzaballa: “Non è la prima volta per il Patriarcato Latino di Gerusalemme, l’ultimo amministratore apostolico fu Gustavo Testa nel ‘48-49 e questa figura si trova in molti altri luoghi nella chiesa, ha spiegato ai numerosi giornalisti, ribadendo che “si tratta di una soluzione temporanea, che ha l’obiettivo primario di “preparare il terreno al futuro patriarca e dare tempo per trovare il candidato più appropriato, per un migliore discernimento”. In merito, “non c’è un cambio di regole: gli ultimi due candidati erano locali, e speriamo sarà lo stesso”. Quanto alla durata del suo mandato, il periodo non può essere troppo lungo, né breve. Dipenderà anche dalla situazione locale e dal lavoro che sarà fatto, ma “non c’è una scadenza definita: quando sarà stato scelto il candidato, allora l’incarico si concluderà”.
Il vescovo bergamasco espone con semplicità le priorità che lo impegneranno : “non è un segreto, c’è da riorganizzare l’amministrazione del patriarcato, che va aggiornata seguendo le nuove norme”. Il primo focus è interno, dunque, cioè conti e bilanci, “cose non molto importanti, ma che devono essere fatte”. Ci sono poi altre questioni urgenti da affrontare in questa regione, “unica e molto differente, come tutte le realtà in Medio Oriente. Rispetto ad altri paesi, abbiamo una relativa calma, ma anche qui gli equilibri stanno cambiando, e i cristiani ne pagano il prezzo, per primi”.
La diocesi del Patriarcato Latino comprende Giordania, Israele, Palestina e Cipro, e ogni paese presenta sfide pastorali differenti. “E’ quindi importante prima ascoltare, per organizzare le risposte a seconda delle necessità che emergeranno dai diversi contesti”, ha proseguito il vescovo, che ricorda la crisi dei rifugiati, le sfide dell’unità delle famiglie e dei giovani, l’emigrazione, i progetti di alloggi, la vita spirituale da animare. C’è il problema enorme dei rifugiati: “in Giordania come Chiesa, attraverso Caritas e altre organizzazioni, siamo molto coinvolti nell’accoglienza di migliaia di profughi, da Iraq e Siria, non solo cristiani; una situazione critica che chiederà anni per riprendersi”.
Non ho un programma specifico e sistematico, ribadisce mons. Pizzaballa che si dice “appena arrivato”: “Devo imparare, ero a Gerusalemme, ma in un contesto diverso, quindi vengo umilmente per capire e conoscere innanzitutto i vescovi e i sacerdoti, per ascoltare”.
Nel corso della conferenza stampa sottolinea più volte l’importanza di lavorare uniti, cercando l’armonia tra le chiese. “Non posso presumere di lavorare solo – osserva – uno dei problemi principali, in tutto il Medio Oriente, sono le divisioni; ognuno vuole trovare soluzioni da solo – e certo sarebbe più facile – ma la strada non è questa. Come chiesa dobbiamo contribuire al dialogo prima di tutto tra noi, quindi invitare le autorità politiche a lavorare per trovare le soluzioni migliori; questo è il programma di una vita, ma da sempre, è il progetto della chiesa, e sempre lo sarà”.
Con i suoi 26 anni trascorsi in Terra Santa, di cui dodici come Custode – e quindi con molta esperienza nelle relazioni ecumeniche a motivo dello status quo– il nuovo pastore conosce bene le difficoltà del dialogo (“ci lavoriamo continuamente ma vediamo pochi risultati…”). Ricorda però i passi fatti nelle relazioni con le chiese greco-ortodossa e armena ortodossa, che hanno portato all’accordo per il restauro della Basilica di Betlemme e dell’edicola del Santo Sepolcro, “risultato di una reciproca fiducia, che non c’era in passato”. Il suo messaggio è chiaro: “Come Chiesa non possiamo dare lezioni di dialogo al mondo se non dialoghiamo tra di noi”.
In questo contesto lacerato e diviso, “che non permette di farsi illusioni”, afferma poi l’Amministratore Apostolico, “il primo annuncio da dare è l’unità, che comincia da noi, all’interno della nostra casa”.
Il pensiero del francescano va immediato alla presenza del Papa martedì, ad Assisi. “E’ evidente oggi che uno degli aspetti principali della missione della Chiesa è il dialogo. In Terra Santa, purtroppo, le religioni sono viste come fonti di conflitto… Non possiamo cambiare la situazione in modo decisivo, ma come il Papa possiamo fare gesti che creano una mentalità. Il fondamentalismo vuole boicottare ogni tipo di dialogo: per combatterlo dobbiamo lavorare in ogni contesto – scuole, comunità, famiglie- per costruire possibilità di dialogo e incontro.”
Dopo le varie cerimonie di inizio incarico, informa Pizzaballa, tra i primi impegni ci saranno le visite a tutti i capi delle chiese, e poi ai leaders delle comunità religiose ebraiche e islamiche, “per presentarmi; è importante condividere opinioni e visioni – sottolinea – e spero che potremo farlo in modo meno formale. Incontrerò anche i capi di stato, il presidente dello Stato di Palestina e il presidente di Israele, e vedremo… umilmente e testardamente vogliamo presentare la nostra visione”.
Quanto ai negoziati tra Santa Sede e Israele, puntualizza: “Anche mio predecessore ha spinto per arrivare a una conclusione; presto, a metà novembre, ci sarà il prossimo appuntamento dei negoziati tra Israele e Santa Sede; sulla maggior parte delle questioni c’è già accordo, restano solo due o tre punti aperti, penso che se da entrambe le parte ci sarà buona volontà, si potrebbe concludere”.
Alla domanda su cosa si auguri, risponde: “La mia esperienza in Gerusalemme è stata quella di un dialogo fruttuoso con le altre chiese: spero di poter continuare questo dialogo e approfondirlo, per dare non solo un’apparenza, ma la vera immagine di chiese che, malgrado differenze, hanno un solo volto, un unico approccio, perché questo è ciò che chiedono i fedeli, i cristiani locali”.
Nella cerimonia della presa di possesso della cattedrale, ricorda che la nomina è avvenuta il 24 giugno, giorno della festa di san Giovanni Battista, di cui porta il nome: “Ispirandomi alla sua figura – dice il vescovo – ho pensato l’inizio del mio ministero come un “Preparare la Via. Vie aperte, spianate, libere da tutto ciò che ostacola l’incontro con Lui e tra di noi”. E ribadisce: “vorrei che ripartisse da Gerusalemme, per noi e per tutta la Chiesa, la capacità di incontrarci e di accoglierci gli uni gli altri, costruendo strade e ponti e non muri. Accogliere, ascoltare, discernere e, insieme, orientare il cammino della Chiesa per i prossimi anni.”