Protesta

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Riscaldamento globale: la lunga strada per la riduzione delle emissioni di CO2

A pochi giorni dal G20 di Hangzhou, il presidente Obama torna a mettere l’ambiente al centro dell’agenda politica americana

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Non è trascorsa neanche una settimana dallo storico G 20 di Hangzhou, nella Cina orientale, che già il tema della difesa dell’ambiente torna alla ribalta dopo le parole del presidente Obama sulla necessità di combattere il riscaldamento globale, pronunciate durante un’intervista al New York Times.
Tenutosi tra il 4 ed il 5 settembre scorso, il summit di Hangzhou ha avuto un’enorme risonanza internazionale anche per la decisione di Stati Uniti e Cina di ratificare l’accordo sulla riduzione di emissioni di CO2, come previsto dall’accordo di Parigi (dato alla luce nella Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, svoltasi nella capitale francese dal 30 novembre al 12 dicembre 2015).
L’anno scorso all’evento di Parigi avevano partecipato 195 nazioni, raggiungendo l’immediata ratifica di 21 paesi, i quali rappresentano tuttavia appena l’1% delle emissioni di anidride carbonica a livello globale. L’adesione delle due potenze rivali, che da sole arrivano a produrre circa il 38% delle emissioni, darà così una spinta decisiva al processo in corso che, per diventare giuridicamente vincolante, prevede l’adesione di almeno 55 paesi e superare il 55% delle emissioni totali.
Il piano uscito da Parigi 2015 è ambizioso, e la svolta avvenuta questo mese in Cina si situa in questa direzione. L’obiettivo è quello di impedire che l’aumento della temperatura superi i 2° rispetto all’epoca preindustriale (secondo quanto stabilito nel 2009 nel summit sul clima di Copenaghen), possibilmente limitandolo ad un grado e mezzo. Ciò verrebbe monitorato da controlli quinquennali dal 2023, ma già nel 2018 gli Stati che avranno aderito all’accordo dovranno effettuare tagli alle emissioni.
Curioso come in questo caso l’Europa sia stata tra i promotori più tiepidi, contrariamente ad una lunga tradizione illuminata di tutela dell’ambiente e di lotta al riscaldamento globale (nella quale un posto di rilievo ha svolto il nostro paese). La stessa Italia, che ha firmato l’accordo di Parigi, non lo ha ancora ratificato, in buona compagnia con i propri partner europei.
Nonostante l’esito di Parigi sia stato bersaglio di varie critiche (basti pensare che i controlli sarebbero autocertificati dai governi stessi e che la partenza sia stata eccessivamente posposta) rappresenta comunque un momento fondamentale nella storia del pianeta, un impegno necessario per tentare di arrestare il declino.
A tale proposito Obama è tornato sull’argomento, spiegando la sfida epocale che gli uomini contemporanei devono affrontare: “Ciò che rende insidioso il cambiamento climatico è che non si tratta di un catastrofico evento singolo – ha affermato il presidente americano – Si tratta di un problema a rallentatore che, su basi quotidiane, le persone non vedono e di cui non fanno esperienza”.
Probabilmente la lotta ai cambiamenti climatici rappresenterà per la presidenza Obama, che sta per giungere al suo termine naturale, la sfida finale sulla quale la storia potrà giudicarlo. A tal proposito la firma al G20 costituisce un importante passo in avanti, specialmente se ad esso si accompagnerà l’adesione di altri paesi di rilievo, i quali avranno la possibilità di tenere un altro momento di confronto e discussione nella prossima Conferenza sul Clima di Marrakech, nel novembre 2016.
Più volte nel corso del proprio mandato l’inquilino della Casa Bianca ha ripetuto che “il cambiamento climatico è reale, ciò è fondamentale e dobbiamo affrontarlo”. La speranza è che dalle dichiarazioni si riesca finalmente a passare alle azioni.

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Marco Valerio Solia

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