CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 19 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole consegnate per iscritto ai padri sinodali dal vescovo della diocesi di Ogoja, in Nigeria, monsignor John Ebebe Ayah.
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Sono felice di condividere con voi le recenti gioie e ansie della Chiesa nigeriana, che si impegna a testimoniare Cristo di fronte al terrorismo noto popolarmente come Boko Haram. Questa situazione spinge i cristiani nigeriani verso una riflessione e un apprezzamento più profondi del valore del martirio, tenuto in alta stima dalla Chiesa. In opposizione al messaggio della prosperità, i cattolici nigeriani, in particolare, sono giunti a comprendere l’autentico significato della Croce come partecipazione alla passione di Cristo. E la vita stessa si trasforma in un pellegrinaggio di fede assieme al Signore Gesù verso il Calvario. L’essere cristiani, nel contesto nigeriano, va quindi molto oltre la semplice partecipazione alla messa domenicale.
Una prospettiva abbozzata del fenomeno Boko Haram in Nigeria:
– Vale la pena di notare che i cristiani non sono gli unici che hanno perso la vita a causa delle bombe e delle pallottole dei Boko Haram, ma, come mostrano alcune statistiche, anche parecchi musulmani.
– Non tutti i musulmani propugnano ciò che Boko Haram cerca di perpetuare in Nigeria. Molti ammirano le virtù cristiane dell’amore e della pace, che secondo loro sono parimenti promosse dal Corano.
– Molti dei nostri fratelli e sorelle musulmani desiderano convertirsi al cristianesimo ma non possono farlo per timore di perdere la vita. Mentre la Chiesa universale celebra l’anno della Fede, i vescovi nigeriani esortano il loro gregge a osservare quanto segue:
– Noi cattolici dobbiamo esercitare la pazienza nei nostri contatti con coloro che si oppongono e lottano contro i nostri interessi, senza ricorrere alla violenza e meno ancora alla vendetta;
– Dobbiamo continuare a parlare di pace con i nostri detrattori, cercando vie significative e mature di dialogo che, nel tempo, possano condurre a una pace e concordia durevoli;
– I nostri sforzi per operare a favore del dialogo e della pace non devono essere interpretati come segni di debolezza, bensì come segni di quella forza che viene dal Signore Gesù, che è la nostra risurrezione e vita;
– Dobbiamo promuovere una solida catechesi nelle famiglie, nelle scuole e nelle piccole comunità cristiane.
Infine rimettiamo ogni nostro sforzo a favore di una pace duratura nelle mani della nostra madre benedetta, la Mediatrice di tutte le grazie.