Clemente Vismara incarna la missione di sempre

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, giovedì, 23 giugno 2011 (ZENIT.org).- In prossimità della beatificazione di Clemente Vismara (26 giugno in piazza Duomo a Milano), un amico sacerdote mi scrive: “Padre Vismara era certamente un santo missionario, ma non penso che sia un modello per i missionari del nostro tempo. E’ morto nel 1988 a 91 anni, appartiene ad un’epoca tramontata, un prete di stampo preconciliare. Oggi il mondo non cristiano è profondamente cambiato e la missione è radicalmente diversa, anche teologicamente, da quello che era ai tempi di padre Clemente. Sono convinto che per la missione del nostro tempo ci vogliono modelli del nostro tempo”.

Caro amico sacerdote, scusami ma non credo che il tuo ragionamento funzioni. E’ certamente vero che dai tempi di Clemente la missione è radicalmente cambiata, anche teologicamente. Ad esempio, padre Vismara era appassionato del fine della missione: “Salvare le anime”, perché pensava che, se non arrivava il missionario a salvarle, le anime si perdevano. Oggi diciamo, col Concilio, che le anime le salva Dio “attraverso vie che lui solo conosce”,ma “l’attività missionaria conserva appieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità” (“Ad Gentes”,  7).  Così ai tempi di Vismara si diceva che le religioni non cristiane erano “nemiche di Cristo” e il grande Matteo Ricci, che aveva una forte stima per la cultura cinese, scriveva però parole di fuoco contro le tre religioni “demoniache” della Cina, taoismo, confucianesimo e buddismo, scrivendo che erano opera del demonio per ostacolare la verità di Cristo. Anche Vismara  afferma che il buddhismo rovina il popolo birmano. Oggi invece sappiamo, ancora dal Concilio, che le religioni “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (“Nostra Aetate”, 2). Quindi, non diciamo più che sono nemiche di Cristo, ma preparazione a Cristo. Di qui il dialogo inter-religioso.

Padre Vismara è anche oggi un modello per ogni missionario, non certo perché andava a cavallo o abitava, all’inizio, in un capannone di fango e bambù, o perché raccoglieva gli orfani o per i metodi di catechesi che usava. Ma è modello per quello “spirito missionario” dei pionieri della missione, che era poi lo Spirito di Cristo, “senza del quale – dice la “Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI (n. 75) – i più elaborati schemi a base sociologica o psicologica, si rivelano vuoti e privi di valore” per l’evangelizzazione.

    In un’epoca di rapida transizione post-conciliare come la nostra, con situazioni sempre  nuove che richiedono prontezza di adattamento e cambiamenti di metodi, di linguaggio, di forme organizzative, vi è il pericolo di mettere talmente l’accento sulle novità della missione, da far dimenticare che è molto più quello che ci unisce al passato di quello che ci divide. Ricordo che quand’ero direttore di “Mondo e Missione” e pubblicavo spesso “servizi speciali” dedicati a missionari, diciamo, pre-conciliari (appunto come padre Clemente Vismara), c’era sempre chi mi diceva o scriveva che ero “un tradizionalista” o magari anche “un conservatore”. Io rispondevo che quella “tradizione missionaria del Pime”, che quegli anziani missionari incarnavano, io volevo conservarla tutta, senza perderne nemmeno una briciola. Anzi, dicevo che noi giovani di quel tempo, quando iniziava il post-Concilio, dovevamo pregare il Signore come Eliseo quando il profeta Elia era rapito in cielo su un carro di fuoco: “Due terzi del suo spirito diventino miei” II Re, 2, 9).

Padre Clemente Vismara non è solo un pioniere della missione in quella misteriosa e affascinante parte del mondo che è la Birmania orientale. E’ ormai una leggenda, un mito, una icona del missionario perché racchiude nella sua vita tutto quanto vi è di evangelico e di poetico nella missione alle genti. Secondo il comune sentire del nostro tempo, la missione agli estremi confini del mondo cristiano è assurda, gratuita, inutile. E’ assurdo infatti che un italiano di 91 anni rimanga in un villaggio di tribali akhà, lahu e shan, nel “triangolo dell’oppio”, a una giornata in jeep dal medico più vicino, fra guerriglieri, briganti, contrabbandieri di oppio e genti fra le più “primitive” della terra, che soffrono la fame e la lebbra, la dittatura e le prepotenze dei signori della guerra”.

Ma più assurdo ancora è che, nonostante tutto questo, questo italiano di 91 anni, Cavaliere di Vittorio Veneto e titolare di una medaglia al valor militare della prima guerra mondiale, insomma, che il Beato Clemente Vismara fosse sempre sorridente, sereno, ottimista e contento di vivere, proiettato verso il futuro e non rivolto, come sarebbe stato naturale, al suo passato. Giovane nonostante i suoi anni. Infatti – mi diceva quando l’ho visitato nel 1983 in Birmania (e di anni ne aveva 86): “Per me la vecchiaia non è ancora cominciata. Cominci a diventar vecchio quando ti accorgi che non sei più utile a nessuno. Ecco perché Clemente diventa  Beato ed ancor oggi è modello per tutti i missionari e le missionarie. Per questo suo “spirito missionario” che è lo spirito di fede degli Atti degli Apostoli, proprio là dove ancor oggi nasce la Chiesa.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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