CASALE MONFERRATO, sabato, 13 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione della concelebrazione eucaristica tenutasi il 4 gennaio scorso per il IX centenario della Cattedrale di Casale Monferrato.
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Cari fratelli e sorelle!
“Rendiamo grazie a Dio nella sua dimora”. Queste parole del ritornello al salmo responsoriale, che poco fa abbiamo ripetuto, sintetizzano molto bene il senso e il significato dell’odierna celebrazione. Ci siamo riuniti per lodare, per ringraziare Iddio nella sua casa, nel tempio cioè che per Lui è stato costruito e che, proprio perché a Lui consacrato, è anche la dimora di noi che formiamo la sua famiglia, il suo popolo redento dal sangue di Cristo. Qui ci sentiamo tutti a casa, uniti da un vincolo di amore che non conosce limiti di spazio né di tempo. Accogliendo l’invito del salmista, siamo venuti ad applaudire al Signore, “roccia della nostra salvezza”, “grande Dio, grande re sopra tutti gli dei”. Colui che ha nella sua mano gli abissi della terra, le vette dei monti ed il mare, Colui che con le sue mani ha plasmato la terra” è “il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce” (Sal 94). Il nostro ritrovarci insieme è pertanto innanzitutto un atto di fede nell’unico Dio, che in Gesù Cristo ci ha rivelato il suo volto di amore.
A Dio rendiamo lode e azione di grazie con questa Eucaristia in un giorno di singolare importanza per la vostra comunità diocesana, che celebra proprio quest’oggi il IX centenario della Cattedrale. Questo bel tempio, edificato in stile romanico lombardo, fu consacrato infatti il 4 gennaio del 1107 da Papa Pasquale II, quando il Borgo medievale apparteneva alla Diocesi di Vercelli. Da allora sono trascorsi nove secoli, ricchi di eventi religiosi e civili, che hanno contraddistinto il cammino della vostra città, eretta a Diocesi nel 1474 per volere di Papa Sisto IV. In questo momento il pensiero va ben oltre tale data, va alle radici della vostra comunità cristiana, che venera come suo fondatore il santo martire Evasio. Le sue reliquie furono raccolte insieme a quelle della regina dei Bavari Teodolinda nella chiesa primitiva a lui dedicata, che venne fatta costruire dal re longobardo Liutprando nel secolo VIII. Di sant’Evasio non abbiamo molte informazioni; sappiamo però con certezza che morì martire per difendere la fede in Cristo, sulla scia di san Eusebio di Vercelli; lottò contro l’eresia degli Ariani, a quel tempo assai diffusa, che negavano che Gesù fosse vero Dio e vero uomo. Narra la tradizione che con un colpo di spada gli fu tagliata la testa dal duca Attabulo, ed Evasio mescolò così il suo sangue a quello di Cristo. Da allora, giustamente, la vostra città lo venera come suo celeste protettore. E dovrei approfondire le ragioni per cui mio papà me lo ha dato come secondo nome: io mi chiamo infatti Tarcisio, Evasio, Pietro!
All’origine di questa chiesa c’è dunque il martirio di sant’Evasio. Nel clima natalizio di questi giorni più volte la liturgia ci fa meditare sul martirio, a cominciare da quello di Stefano, il protomartire. E ci si chiede talora – se l’è domandato anche il Santo Padre nell’Angelus del 26 dicembre scorso – se non ci sia contrasto tra la gioia luminosa del Natale di Cristo e il dolore straziante dell’uccisione violenta dei suoi discepoli. “In realtà l’apparente stridore – ha detto Benedetto XVI – viene superato se consideriamo in profondità il mistero del Natale”. Quel Bambino, che giace inerme nella grotta, “salverà l’umanità morendo in croce”. “Per i credenti – aggiunge il Papa – il giorno della morte, ed ancor più il giorno del martirio, non è la fine di tutto, bensì il “transito” verso la vita immortale, è il giorno della nascita definitiva, in latino dies natalis”. Dunque Natale di Cristo, natale dei martiri; gioia del Natale, gioia del martirio. Chi sono i martiri, se non coloro che, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, si sono stretti al Signore “pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio”, per essere impiegati anch’essi “come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”? (1 Pt 2, 4). Essi ci incoraggiano a seguire anche noi questo cammino. Se non a tutti è dato in dono il martirio di sangue, tutti però siamo chiamati ad una testimonianza, che potremmo chiamare un martirio di amore, che consiste nell’offerta quotidiana della propria esistenza al Signore nell’obbedienza fiduciosa alla sua volontà specialmente quando è dura da accettare, una testimonianza-martirio che ci spinge a fare della nostra vita un dono a Dio e ai fratelli. Solo in tal modo si costruisce quella Chiesa viva, di cui il tempio materiale è simbolo. Per usare le parole di san Pietro, che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, questo è infatti, “il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui” che ci ha “chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (ibid., 2, 4-9).
A che servirebbe in effetti costruire le chiese di cemento e di pietre se non ci fosse anzitutto la Chiesa viva, fatta di “pietre vive”, che sono i santi, i martiri e i credenti nel loro insieme, chiamati tutti alla santità? Ogni chiesa, specialmente la Cattedrale, è per eccellenza la casa dell’incontro di Dio con il popolo dei suoi “adoratori”. E “i veri adoratori”, come dice Gesù, sono coloro che adorano “il Padre in spirito e verità”. Ce lo ha ricordato poco fa san Giovanni nella stupenda pagina del suo vangelo, che narra l’incontro di Gesù con la Samaritana presso il pozzo di Sicar. Dell’intero brano, che costituisce una ricca catechesi battesimale, ci sono stati proposti quest’oggi solo alcuni versetti, che ci aiutano a riflettere sulla nostra “vocazione” di Chiesa e nella Chiesa. Ci ricordano che ognuno di noi deve adorare Dio in spirito e verità, con la testimonianza della sua vita essendo diventati, con il Battesimo, vivente tempio di Dio. Ogni famiglia cristiana è una “piccola chiesa domestica” che ha al suo centro Cristo, e la comunità nel suo insieme è il popolo che Cristo si è riscattato a prezzo del suo sangue. Evocheremo questa importante realtà teologica e spirituale tra poco, nel prefazio, con queste parole: “Questa chiesa, misticamente adombrata nel segno del tempio, tu la santifichi sempre come sposa di Cristo, madre lieta di una moltitudine di figli per collocarla accanto a te rivestita di gloria” (Pref. 2 del Com. Dedic.).
Ecco, cari fratelli e sorelle, a che cosa ci conduce la riflessione sull’evento che oggi commemoriamo. Siamo raccolti in questa vostra Cattedrale, dove sono evidenti i segni della fede delle molte generazioni di cristiani che vi hanno preceduto, in quest’ammirevole duomo, sottoposto a una vasta campagna di restauri promossi dal vostro Vescovo, Mons. Germano Zaccheo, che saluto con affetto e ringrazio per avermi invitato a presiedere l’odierna celebrazione. Con lui saluto tutti i presenti, le autorità religiose, civili e militari, i sacerdoti, le persone consacrate e l’intera comunità diocesana. Se oggi – dicevo – celebriamo nove secoli di meraviglie di fede e di amore è perché sant’Evasio ha seguito fedelmente Cristo non temendo la morte e sacrificando la vita per Lui. Hanno imitato sant’Evasio tanti altri uomini e donne, che ora dal cielo si uniscono misticamente al sacrificio eucaristico che celebriamo. Adesso tocca a noi, a tutti noi, proseguire su questo cammino; è nostro compito essere una Chiesa viva formata da pietre vive, saldamente unite a Cristo, che è la Pietra viva, anzi la “pietra angolare” del nostro edificio spirituale. Questa è la Chiesa che non conosce confini di tempo e di spazio; corpo ben compaginato, mistica famiglia formata da innumerevoli beati, santi, martiri, ma anche da peccatori bisognosi del costante sostegno della misericordia divina. In essa nessuno è str
aniero, ma tutti a pieno titolo figli di Dio e “concittadini dei santi”.
Tutto questo simboleggia la Cattedrale, segno nei secoli di una Chiesa che non muore perché fondata su Cristo risorto. Tutto questo ci ricorda questo tempio fatto di pietre, decorato con arte e talento, carico di storia e di molteplici segni di fede. Esso è ancora in restauro, ma offre già un volto rinnovato. A questo proposito, colgo volentieri l’occasione per complimentarmi con coloro che hanno eseguito con tanta cura questi lavori e quanti li hanno promossi e finanziati. Sono venuto qui tre anni fa circa, nel novembre del 2003, per inaugurare il deambulatorio dell’abside e dei mosaici; so pure che recentemente sono stati ultimati altri lavori di restauro della sacristia. Tutto questo è bello e doveroso, ma a nulla servirebbe se al tempo stesso non si accompagnasse un interiore restauro delle nostre anime, grazie ad una sincera e permanente conversione.
Ogni chiesa materiale, nota san Cesario di Arles, è simbolo permanente della Chiesa, edificio spirituale. Occorre costruirlo e restaurarlo continuamente questo edificio spirituale con l’apporto di tutti i cristiani, che camminano davanti al Signore con tutto il cuore e a Lui chiedono di tenere aperti i suoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui ha detto: “Lì sarà il mio nome” (1 Re, 8, 27-30). La liturgia bizantina raccomanda: “Uomo, rientra in te stesso; diventa l’uomo nuovo, smettendo l’antico, e celebra la dedicazione dell’anima”. E sant’Atanasio, in una delle sue lettere pasquali, parlando esattamente della funzione delle chiese come luogo di incontro dei cristiani in preghiera dice: “La celebrazione liturgica ci sostiene nelle afflizioni che incontriamo in questo mondo. Per mezzo di essa Dio ci accorda quella gioia della salvezza, che accresce la fraternità. Mediante l’azione sacramentale della festa, infatti, ci fonde in un’unica assemblea, ci unisce tutti spiritualmente e fa ritrovare vicini anche i lontani. La celebrazione della Chiesa ci offre il modo di pregare insieme e innalzare comunitariamente il nostro grazie a Dio. Questa anzi è un’esigenza propria di ogni festa liturgica. È un miracolo della bontà di Dio quello di fare sentire solidali nella celebrazione e fondere nell’unità della fede lontani e vicini, presenti e assenti” (Lett. 5, 1-2; PG 26, 1379-1380). Ci aiuti a mantenerci fedeli alla nostra vocazione, che è la chiamata universale alla santità, sant’Evasio e gli altri santi che voi venerate come protettori. Ci aiuti e ci accompagni soprattutto Maria, la Regina dei Santi, la Vergine Madre di Cristo e della Chiesa.