Il commento della Glendon al discorso del Papa all'ONU

RIMINI, giovedì, 28 agosto 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo integrale, apparso su “Il Foglio”, dell’intervento che l’Ambasciatrice americana presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, ha tenuto al Meeting di Rimini, il 27 agosto, nell’incontro dal titolo “Giustizia e diritti umani”.

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E’ davvero un onore partecipare al famoso Meeting di Rimini, ed è una gioia straordinaria condividere il podio con Stefano Alberto, Marta Cartabia e Joseph Weiler. Ci è stato chiesto di discutere il tema “Giustizia e dei Diritti Umani” nel discorso tenuto da papa Benedetto XVI alle Nazioni Unite il 18 aprile 2008, e mi è stato affidato il gradito compito di cominciare proponendo alcune riflessioni sul modo in cui il Papa ha trattato questi argomenti.

Ho avuto per l’appunto la grande fortuna di essere presente alle Nazioni Unite quando il Santo Padre ha tenuto il discorso e di assistere all’entusiastica standing ovation che ha ricevuto. All’epoca, tuttavia, non ho potuto fare a meno di domandarmi se coloro che avevano applaudito il Papa con tale entusiasmo avessero realmente compreso appieno le implicazioni delle sue parole. Poiché, al pari di molti altri discorsi di papa Benedetto, si tratta di un discorso in cui esprime in modo piuttosto criptico alcune idee alquanto complesse. È un discorso ricco di stimoli; un discorso che ha bisogno, come si suol dire, di essere “spacchettato”. Aggiungerei che si tratta di un discorso rivolto a un pubblico assai più vasto di quello dei diplomatici riuniti nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I suoi contenuti sono rivolti a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che sperano in qualche modo di poter contribuire a cambiare il corso degli eventi in favore della libertà e dell’umana dignità. In altre parole, sono destinati a tutti coloro che sperano, usando l’espressione di don Luigi Giussani, di essere “protagonisti” piuttosto che “nessuno” nel nostro mondo sempre più interdipendente e tuttavia tormentato da conflitti. È quindi particolarmente appropriato esaminare attentamente questi contenuti qui al Meeting.

Permettetemi di iniziare con un’osservazione sul metodo retorico scelto dal Papa. Come in altri discorsi tenuti negli Stati Uniti, egli inizia l’allocuzione alle Nazioni Unite esprimendo il suo apprezzamento per ciò che di più nobile ed elevato vi è nella tradizione e nella prassi del gruppo riunito di fronte a lui. Successivamente, mentre esorta i suoi ascoltatori a intensificare il loro impegno per realizzare i nobili scopi che si sono prefissi, fa notare, in toni concilianti al massimo, alcune insidie da evitare lungo la strada. Talvolta il suo metodo è talmente conciliante, e la sua voce così dolce e gentile, che – al primo ascolto – è facile sottovalutare la gravità dei suoi ammonimenti. Ma se si studiano attentamente questi discorsi si resta colpiti dalla forza degli avvertimenti che accompagnano le sue affermazioni.

Il giudizio cautamente positivo espresso da papa Benedetto riguardo al moderno progetto internazionale per i diritti umani amplia, e si pone in continuità con quello dei suoi predecessori. Papa Giovanni XXIII ne fu uno strenuo sostenitore fin dai suoi primissimi esordi. In veste di Nunzio pontificio a Parigi, il cardinale Roncalli agì con discrezione dietro le quinte per aiutare coloro che stavano cercando di ottenere l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte dei membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In seguito, divenuto Papa, egli lodò la Dichiarazione nella sua enciclica Pacem in Terris – aggiungendo, tuttavia, che “su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve” (Pacem in Terris, 75)

Fu durante il pontificato di papa Giovanni Paolo II che il movimento internazionale per i diritti umani rivelò tutto il suo potenziale quale forza propulsiva per un cambiamento pacifico, specialmente nell’Europa dell’Est e in Sudafrica. Giovanni Paolo II parlò spesso con approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, riferendosi a essa come a “una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano” (discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2 ottobre 1979, 7) e “una delle più alte espressioni della coscienza umana nel nostro tempo” (messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la Celebrazione del 50° di Fondazione, 5 ottobre 1995, 2). Cionondimeno, nel 1989, proprio nell’anno in cui il movimento per i diritti umani stava conseguendo i suoi più grandi successi nell’Europa dell’Est, il papa-filosofo rilevava che “la dichiarazione del 1948 non presenta i fondamenti antropologici ed etnici dei diritti dell’uomo che essa proclama” (Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede, 9 gennaio 1989, 7). Due anni dopo, egli richiamò l’attenzione sulla minaccia ai suoi principi rappresentata dal diffondersi di atteggiamenti relativistici (Centesimus Annus, 29). E nel 1998, in occasione del 50° Anniversario della Dichiarazione, si disse preoccupato per il fatto che “su questo anniversario pesano, tuttavia, le ombre di alcune riserve manifestate circa due caratteristiche essenziali della nozione stessa di diritti dell’uomo: la loro universalità e la loro indivisibilità” (messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1998, 2). Da allora, tali riserve sono diventate particolarmente virulente, come è emerso chiaramente alle conferenze del Cairo e di Pechino.

Alla luce di questo precedente, c’era molta curiosità riguardo a cosa papa Benedetto avrebbe detto nel suo discorso alle Nazioni Unite in aprile. Prossima al suo sessantesimo anniversario, la dichiarazione era diventata l’unico e più importante punto di riferimento comune per il dibattito tra le nazioni sulla dignità della condizione umana, e quello dei diritti era divenuto il principale linguaggio per portare avanti tali discussioni. Papa Benedetto ha usato questi fatti come punto di partenza, osservando come “I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali”. Ma questo successo ha avuto il suo prezzo. Infatti, tanto più l’idea dei diritti umani internazionali ha mostrato la sua forza, quanto più intensa è diventata la lotta per sfruttare il suo potere per diversi scopi, dei quali non tutti rispettano la dignità umana.

E’ la discussione puntuale su queste sfide che distingue il modo in cui papa Benedetto ha trattato i diritti umani da quello dei suoi predecessori. Al pari di loro, egli elogia i nobili scopi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, descrivendola come l’esito di un processo volto a “porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società”. Le attribuisce il merito di aver permesso “a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno a un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti”. Ma ciò che colpisce è come queste espressioni di apprezzamento siano accompagnate dalla più approfondita ed esortativa discussione sui diritti umani mai comparsa in un documento pontificio. Il breve discorso di papa Benedetto indica almeno sette dilemmi che hanno assillato il progetto dei diritti umani sin dall’inizio, ma che, ironia della sorte, sono diventati più gravi man mano che il progetto dei diritti umani avanzava: i dilemmi derivano (1) dalle minacce messe in atto dalle diverse forme di relativismo, (2) dal distacco dal principio stabilito dal positivismo, (3) dalla diffusione di approcci selettivi ai diritti, (4) dalla proliferazione di rivendicazione di diritti nuovi e discutibili, (5) dalle interpretazioni iper-individualistiche o ultra-libertarie dei diritti, (6) dall’aver trascurato la relazione esistente fra diritti e responsabilità, (7) e dalla minaccia alla libertà di religione rappresentata da un laicismo aggressivo. Permetteteci di p
rendere brevemente in considerazione alcune delle immense sfide lanciate da questi sviluppi per gente che aspira a essere “protagonista” nella trasformazione della cultura.

1. Relativismo Culturale

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Innanzitutto (ed è del tutto normale da parte di un teologo celebre per la sua preoccupazione riguardo al relativismo dogmatico), il Papa mette in guardia sul pericolo derivante dal negare l’universalità dei diritti “in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti” e dall’uso dell’“argomento della specificità culturale per coprire violazioni dei diritti umani” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 1998, 2). L’ammonimento è più che giustificato. Nel corso degli anni, questa argomentazione è stata avanzata da alcuni dei peggiori violatori dei diritti umani, tra cui molto di recente la Birmania. Ma d’altra parte non è sempre facile distinguere fra il relativismo culturale che mina i diritti universali e un legittimo pluralismo che ammette differenti mezzi di espressione e protegge tali diritti. Il pensiero sociale cattolico, sulla base della lunga esperienza della Chiesa nella dialettica fra principi universali e culture differenti, riconosce come l’universalità non comporti necessariamente l’omogeneità, e come l’esistenza di diverse modalità di attuazione dei principi non implichi necessariamente un atteggiamento relativista riguardo ai principi stessi (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 3). Infatti, la storia dell’inculturazione della fede cattolica in società estremamente differenti mostra come la concezione comune delle verità fondamentali possa essere arricchita dalla varietà delle esperienze attraverso cui tali verità vengono vissute. Di conseguenza, non si deve pensare che il Papa intenda porre in netto contrasto i diritti universali e le particolarità culturali. Dopotutto, i diritti scaturiscono dalla cultura; i diritti non possono essere sostenuti senza fondamenti culturali; e i diritti, per essere effettivi, devono diventare parte del modo di vivere di ciascun popolo. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II, i diritti umani saranno garantiti solo “quando una cultura dei diritti umani, rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del patrimonio morale dell’umanità” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 12). Ignorare questa realtà significherebbe cadere nella mentalità che caratterizza la cultura professionale di molti avvocati internazionali, dipendenti di istituzioni internazionali e ONG internazionali – una sorta di “-ismo” internazionale, insensibile alle particolarità locali e che insiste sulle proprie interpretazioni dogmatiche dei diritti umani. Questo tipo di dogmatismo può risultare altrettanto dannoso per la causa della tutela della dignità umana quanto le pretese del relativismo culturale. Basti pensare solamente ai reiterati tentativi di usare le agenzie delle Nazioni Unite come siti di produzione off-shore, dove le problematiche delle lobby possono essere trasformate in nuovi “diritti”, esenti da qualsiasi controllo pubblico e responsabilità democratica.Promuovere la giustizia e i diritti umani senza cadere nel relativismo culturale da un lato e nell’imperialismo culturale dall’altro, è dunque un’ardua sfida. L’invocazione del Papa, nel suo discorso, al principio della sussidiarietà mostra come egli sia ben consapevole delle difficoltà che tale sfida comporta. Tali difficoltà si intensificano se considerate alla luce della critica mossa dal Papa al positivismo.

2. Positivismo
È difficile comprendere come forme distruttive di relativismo si possano distinguere da un legittimo pluralismo se i diritti sono considerati semplicemente come l’esito di provvedimenti legislativi o di altre decisioni ufficiali. Gli artefici della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sapevano bene che non tutto quanto all’interno di un determinato ordinamento giuridico è definito come “diritto” possa o debba essere universalizzato. Come sottolinea il Papa nel suo discorso alle Nazioni Unite, la giustizia è spesso negata quando i diritti vengono presentati “semplicemente in termini di legalità, […] deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo”. Il termine “razionale” è significativo in questo contesto poiché, secondo il pensiero cattolico, i diritti umani derivano da un ordine naturale, le cui leggi possono essere scoperte attraverso lo studio e l’esperienza. Esse sono accessibili mediante la ragione sia per chi crede sia per chi non crede. Rimuovere i diritti umani da questo contesto – sottolinea il Papa – distruggerebbe la loro universalità. Tuttavia, nel nostro mondo post-moderno – in cui la concezione di diritti, giustizia e legge naturale è violentemente contestata – non è semplice identificare gli strumenti per preservare il rapporto fra i diritti umani e i loro fondamenti etico-razionali. A un livello abbiamo a che fare con i relativisti filosofici, i quali non sono in grado di affermare perché un qualsiasi valore dovrebbe essere difeso o un comportamento condannato, salvo che ricorrendo alle preferenze individuali. A livello pratico, il problema di “chi decide” sarà sempre alquanto spinoso, un problema che le democrazie liberali hanno trovato opportuno affrontare mediante la separazione dei poteri e il sistema di checks-and-balances (Sistema istituzionale di “controlli e contrappesi” che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello stato negli ordinamenti democratici. ndt). L’osservazione del Papa, secondo cui l’applicazione di procedure corrette e lo stato di diritto non sono sufficienti per la difesa dell’umana dignità, è un implicito richiamo alla priorità della cultura. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II: “…la dignità della persona deve essere tutelata nei costumi, prima di esserlo nel diritto” (Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede, 9 gennaio 1989, 7). Tuttavia, sebbene lo stato di diritto e un processo equo non siano sufficienti in sé, essi sono estremamente importanti al fine di tutelare l’umana dignità (e sono riconosciuti come tali nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Al pari dei diritti fondamentali che difendono, essi rappresentano fragili conquiste culturali ottenute con fatica. Il Papa riconosce tutto ciò nel passo del suo discorso in cui insiste sul fatto che la comunità internazionale deve rispettare “i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali” quando essa esercita il suo compito di protezione.

3. Selettività
Un terzo problema citato dal Papa sorge dalla tendenza assai diffusa a trascurare l’interdipendenza fra i diritti fondamentali, un’abitudine consolidatasi durante gli anni della guerra fredda, quando i principali antagonisti diedero inizio alla pratica oggi comune di considerare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come una sorta di menu, da cui ognuno poteva scegliere a piacere i propri diritti preferiti ignorando il resto. Sebbene il principio secondo cui i diritti universali sono “interdipendenti e indivisibili” sia stato affermato in numerosi documenti delle Nazioni Unite, nella prassi esso è stato palesemente disprezzato tanto dalle nazioni quanto dalle lobby di potere. È interessante notare come, negli ultimi sessant’anni, il principale difensore istituzionale della Dichiarazione Universale nella sua integralità sia stata la Santa Sede. Oggi, laddove i provvedimenti della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per la tutela del matrimonio, della famiglia, dei diritti dei genitori e della libertà di religione sono costantemente presi d’assalto, il Papa alle Nazioni Unite ha auspicato con forza che vengano “raddoppiati” gli sforzi per preservare l’“unità intrinseca” della Dichiarazione. Co un monito contro le pressioni verso “un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”, il Papa ha insistito affinché la
dichiarazione non possa “essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive”.

4. Campagne per nuovi diritti
Strettamente legata al problema della selettività è la quarta fonte di preoccupazione citata dal Papa: la pressione affinché venga ampliato l’elenco dei diritti ritenuti fondamentali. Ovviamente, l’elenco non può rimanere chiuso, poiché – come egli stesso sottolineava – “mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni”. D’altro canto però, quanto i più beni materiali o i desideri vengono riconosciuti come diritti, tanto più si corre il rischio di banalizzare i valori umani fondamentali. Di conseguenza, il Papa pone l’accento (due volte!) sul fatto che bisognerà avere grande “discernimento” nell’affrontare i tentativi di introdurre nuovi diritti. Come ho accennato sopra, quanto più la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è stata accettata come una norma universale, tanto più lobby di ogni sorta hanno intensificato i loro sforzi per far riconoscere come diritti universali le loro problematiche particolari, come per esempio l’eutanasia, l’aborto, la procreazione assistita, il diritto a partner dello stesso sesso di sposarsi e di adottare figli, e così via. Non stupisce dunque che il Papa abbia richiamato alla prudenza nell’affrontare le richieste di nuovi diritti, sottolineando che esse “riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli”. Agire con discernimento significherebbe come minimo domandarsi quale bene intenda promuovere il diritto che viene proposto, e quale rapporto abbia con gli altri diritti e con le responsabilità. A questo proposito, gli ultimi tre punti che vorrei citare possono essere considerati dei validi aiuti per distinguere quali proposte rappresentino sviluppi sani e quali invece siano dannose per la dignità umana.

5. Iper-individualismo
Una buona domanda da porre riguardo qualsiasi nuovo diritto venga proposto è: Qual è la sua concezione intrinseca della persona umana e del rapporto fra individuo e società? Il Papa mette in guardia dalle proposte che ignorano la dimensione sociale propria della persona umana, così da “privileg[iare] indubbiamente un approccio individualistico e framment[are] l’unità della persona”. Dietro a ciò, naturalmente, sta una concezione di persona che ha un valore unico in sé ed è costituita in parte dal suo rapporto con gli altri e con Dio. Il Papa chiede ai suoi ascoltatori di considerare che “i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana […] essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società”. Come esempio primario cita la libertà religiosa, un diritto che ha dimensioni pubbliche e sociali, oltre che individuali.

6. Correlazione fra diritti e responsabilità
Un’altra domanda pertinente da porre è il nuovo diritto proposto riconosca le relative responsabilità, e i modi in cui i diritti di ciascuno sono limitati dai diritti degli altri. Come afferma il Papa: “Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri”.

7. Secolarismo aggressivo
Consideriamo infine l’allusione del Papa a una delle sue maggiori preoccupazioni: la minaccia alla libertà religiosa e alla dignità umana rappresentata da una forma aggressiva di secolarismo, che mira a sradicare totalmente la religione dalla vita pubblica. Pur essendo solo una breve allusione, è sufficiente a evocare il ricordo di altre lunghe disamine – di papa Benedetto, Marcello Pera e Joseph Weiler, fra gli altri – dei pericoli derivanti dall’ignorare le radici religiose delle grandi conquiste della modernità. Ma è importante ricordare che il Papa ha espresso ripetutamente il proprio apprezzamento per un’altra forma di secolarismo – il secolarismo “positivo” che ha permesso a molte religioni di co-esistere e fiorire negli Stati Uniti.

La reazione di alcuni a questa lunga sequela di ammonimenti potrebbe essere quella di chiedersi cosa papa Benedetto proponga di fare per aiutare il movimento internazionale per i diritti umani a evitare tali insidie e adempiere alla sua missione. Ma i papi moderni hanno spiegato molto chiaramente come, a loro avviso, spetti in primo luogo ai laici comprendere l’applicazione dei principi generali alle circostanze particolari. Perciò, quando papa Benedetto ha assicurato il suo pubblico alle Nazioni Unite che la Chiesa continuerà a “offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza”, stava anche lanciando un messaggio, un invito e una sfida a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Permettetemi di concludere, dunque, ritornando alla considerazione fatta all’inizio di queste riflessioni, ovvero che i principali destinatari delle osservazioni del Papa sui diritti umani non sono i diplomatici o i funzionari delle Nazioni Unite. Le sue parole intendevano invitare ciascuno di noi a considerare i modi in cui le nostre decisioni e le nostre azioni, negli ambienti in cui viviamo e lavoriamo, possono contribuire a mutare il corso degli eventi pro o contro un ordinamento sociale che rispetti la dignità e i diritti della persona.“La sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane” – come ha affermato papa Benedetto nell’enciclica Spe Salvi – “è compito di ogni generazione” (Spe Salvi, 25). La decisione fondamentale per ognuno di noi, come insegnava don Giussani, è la scelta di abbracciare questo compito e accettarne le sfide.

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ZENIT Staff

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