di Mirko Testa

RIMINI, sabato, 30 agosto 2008 (ZENIT.org).- Suor Elvira Petrozzi, “quella che salva i drogati con il rosario”, porta i suoi 70 anni con la vitalità di una ventenne. Tutti coloro che la incontrano le consegnano lettere, la ringraziano e lei ricambia con calore gli abbracci.

A 19 anni capisce che un amore in esclusiva per un ragazzo non le bastava: la sua vocazione era condividere la tenerezza del suo “Innamorato” - come lo chiama lei con tono familiare -, e la gioia di una vita ridonata.

Fino ai 46 anni è una suora “normale” e una maestra d’asilo. Nel 1983 fonda la comunità “Cenacolo” in una ex villa settecentesca sulla collina sopra Saluzzo, in Piemonte, a cui in seguito si sono affiancare in tutto 56 case sparse in Italia e nel mondo (Croazia, Bosnia Erzegovina, Slovenia, Austria, Polonia, Russia, Irlanda, Francia, Stati Uniti, Messico, Repubblica Dominicana, Brasile).

Il 25 agosto, in occasione di un incontro del ciclo “Si può vivere così”, nella cornice del Meeting di Rimini, la religiosa racconta di essere stata contagiata dall'amore di Cristo, che offre come unica cura nella sua comunità: “Mi sentirei una ladra se non dessi loro quello che ha curato me”.

“Ma non vogliamo contare i successi – dice in modo sbrigativo –. La prima cosa da scrivere, qui, è che l’amore salva”.

La suora racconta di quando, ancora bambina, fu costretta a trasferirsi da Sora ad Alessandria. “La mia famiglia era più povera delle altre”, con sette bocche da sfamare, una madre assente per lavoro e un papà dedito all’alcolismo.

“Per molto tempo mi sono vergognata di parlare della mia famiglia – ha proseguito – ma proprio questa condizione drammatica mi ha fatta diventare una donna capace di amare”.

“Mio padre, nonostante tutto, mi ha insegnato l’umiltà e la povertà, insomma mi ha insegnato a vivere”.

“Lui questa cosa non la sapeva, ma, attraverso la sua condizione, ha formato me al sacrificio e all’obbedienza, e oggi dico grazie alla divina Provvidenza di aver avuto un padre così, che posso definire il primo drogato che mi è stato donato”.

“Tutto quello che ho vissuto da piccola – aggiunge – è stato trasformato: dalle tenebre alla luce”.

Suor Elvira passa poi a descrivere come si svolge la vita nella comunità da lei fondata e che si occupa di tossicodipendenti. Tutte persone spesso emarginate non solo dalla società ma anche dalle loro famiglie.

“Il nome della comunità Cenacolo deriva dalla memoria di un ricordo evangelico: quando gli apostoli hanno visto Gesù in croce hanno avuto paura, erano pieni di rabbia, e si sono rifugiati con la Madonna nel Cenacolo”, spiega.

Contagiati dall’incontro con lei, i “suoi ragazzi” accettano diligentemente le sue regole: sveglia alle 6 per pregare, lavorare e condividere la vita, perché i centri da lei fondati non sono “comunità terapeutiche” ma “scuole di vita”.

A ciascuno viene affidato un compito dalla cucina alle pulizie, ai lavori di muratura, al fine di riscoprire il valore della fatica vissuta con onestà e senso di responsabilità.

Una volta la settimana poi c'è la “revisione di vita”: ci si raduna in piccoli gruppetti per condividere i trionfi e le sconfitte dei giorni precedenti.

Grazie all'aiuto di alcuni amici sacerdoti, in ogni fraternità, generalmente tre volte la settimana, si celebra l’Eucarestia. La preghiera è infatti il centro e il cuore della giornata comunitaria.

E il Rosario tre volte al giorno come sola medicina da assumere: “La medicina aiuta, ma se la malattia riguarda l’anima è solo il suo Creatore che la può guarire. È una violenza nasconderlo, non proporlo, perchè è Lui l’unico in grado di riempire il cuore”.

“Noi orientiamo senza mezzi termini e anzi precediamo i giovani verso la costruzione della persona in quanto tale e in quanto figlio di Dio, voluto a sua immagine – spiega –. E anzi la ricostruzione fa l’uomo migliore di prima”.

Per i ragazzi che escono dalla comunità si organizza una festa in cui suor Elvira consegna a tutti il crocifisso e il rosario, perché “a noi non basta la guarigione, vogliamo la salvezza”, afferma.

“I giovani – osserva infine – hanno bisogno dell’amore vero”, e rivolgendosi a tutti i genitori aggiunge: “Non potete pensare di amare perché lasciate scegliere ai figli il gusto del gelato che preferiscono”.

“Stiamo attenti ai bambini – avverte poi –, perché si chiedono tante cose senza ricevere risposta”.