XIX Domenica del tempo ordinario

  1 Re 19, 9a.11-13a; Romani 9, 1-5; Matteo 14, 22-33

  La barca era sbattuta dalle onde 

  I fatti del Vangelo non sono stati scritti per essere solo raccontati, ma per essere rivissuti. Ogni volta, chi li ascolta è invitato a entrare dentro la pagina di Vangelo, a divenire da spettatore attore, parte in causa. La primitiva Chiesa ce ne dà l'esempio. Il modo con cui è narrato l'episodio della tempesta sedata mostra che la comunità cristiana l'ha applicato alla propria situazione. Quella sera, congedate le folle, Gesù era salito sul monte solo a pregare; ora, al momento in cui Matteo scrive il suo Vangelo, congedatosi dai suoi discepoli, è salito al cielo, dove vive, appunto, pregando e "intercedendo" per i suoi. Quella sera spinse al largo la barca; ora ha spinto la Chiesa nel vasto mare del mondo. Allora si era levato un forte vento contrario; ora la Chiesa fa le prime esperienze di persecuzione.

  In questa nuova situazione, cosa diceva ai cristiani il ricordo di quella notte? Che Gesù non era lontano e assente, che si poteva sempre contare su di lui. Che anche ora egli ordinava ai suoi di andare verso di lui "camminando sulle acque", cioè avanzando tra i flutti di questo mondo, appoggiati unicamente sulla fede.

  La stessa cosa siamo ora invitati a fare noi: applicare l'accaduto alla nostra personale vicenda umana. Quante volte la nostra vita somiglia a quella barca "agitata a causa del vento contrario". La barca in difficoltà può essere il proprio matrimonio, gli affari, la salute...Il "vento contrario" può essere l'ostilità e l'incomprensione delle persone, rovesci continui di fortuna, la difficoltà di trovare un lavoro o la casa. Forse, all'inizio, abbiamo affrontato con coraggio le difficoltà, decisi a non smarrire la fede, a confidare in Dio. Per un po' abbiamo anche noi camminato sulle acque, cioè fidando unicamente sull'aiuto di Dio. Ma poi, vedendo la prova sempre più lunga e più dura, c'è stato un momento in cui ci è sembrato di non farcela più, di affondare. Abbiamo perso il coraggio.

  Questo è il momento di raccogliere e sentire come rivolta personalmente a noi, la parola che Gesù rivolse in quella circostanza agli apostoli: "Coraggio, sono io, non abbiate paura". È nota la frase con cui don Abbondio, nei Promessi Sposi, giustifica le proprie paure e vigliaccherie: "Il coraggio, chi non ce l'ha non se lo può dare". È proprio questa convinzione che dobbiamo sfatare. Il coraggio, chi non ce l'ha, se lo può dare! Come? Con la fede in Dio, con la preghiera, facendo leva sulla promessa di Cristo.

  Qualcuno dice che questo coraggio basato sulla fede in Dio e sulla preghiera è un alibi, una fuga dalle proprie possibilità e responsabilità. Uno scaricare su Dio i nostri compiti. È la tesi sottintesa nella nota opera teatrale di B. Brecht ambientata in Germania al tempo della guerra dei Trent'anni, che ha come protagonista una donna del popolo chiamata, per la sua decisione e intraprendenza, "Madre Coraggio". Nel cuore della notte, le truppe imperiali, uccise le guardie, avanzano contro la città protestante di Halle per darla alle fiamme. Nei dintorni della città, una famiglia di contadini, che ospita Madre Coraggio con la figlia muta Kattrin, sa di non poter fare altro che pregare per salvare la città dalla rovina. Ma Kattrin invece di mettersi a pregare, si precipita sul tetto della casa, si mette a battere disperatamente su un tamburo, finché vede accendersi in città le prime luci e capisce che gli abitanti si sono svegliati e sono in piedi. Lei viene uccisa dai soldati, ma la città è salva.

  La critica qui sottintesa (che è la critica classica del marxismo) colpisce l'atteggiamento di chi pretendesse di starsene con le mani in mano, in attesa che Dio faccia tutto lui, non la vera fede e la vera preghiera che è tutt'altro che passiva rassegnazione. Gesù lasciò che gli apostoli remassero contro vento per tutta la notte e usassero tutte le loro risorse prima di intervenire lui.