Il racconto segreto della stimmatizzazione di padre Pio

«Ti associo alla mia Passione»: un dono di grazia per la «salute» dei fratelli

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di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 12 settembre 2008 (ZENIT.org).- Padre Pio da Pietrelcina ricevette le stimmate nel 1918 da Gesù Crocifisso che in una apparizione lo invitò a unirsi alla sua Passione per partecipare alla salvezza dei fratelli, e in particolare dei consacrati.

E’ quanto apprendiamo ora con certezza grazie alla recente apertura, per volontà di Papa Benedetto XVI, degli archivi dell’ex Santo Uffizio fino al 1939 che custodiscono le rivelazioni segrete del cappuccino su fatti e fenomeni mai raccontati a nessuno.

A renderle note è un libro dal titolo Padre Pio sotto inchiesta. L’«autobiografia segreta», con prefazione di Vittorio Messori, introdotto e curato da don Francesco Castelli, storico della postulazione per la causa di beatificazione di Karol Wojtyla e docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea all’ISSR “R. Guardini” di Taranto.

Sino a oggi sembrava, infatti, che padre Pio, per pudore o forse ritenendosi indegno degli straordinari carismi ricevuti, non avesse svelato mai a nessuno cosa avvenne il giorno della sua stimmatizzazione.

Un solo accenno al riguardo si trova in una lettera inviata al suo direttore spirituale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, quando parla dell’apparizione di un «misterioso personaggio» senza però lasciar trapelare ulteriori dettagli.

Il volume, che riporta per la prima volta integralmente la relazione vergata da monsignor Raffaello Carlo Rossi, Vescovo di Volterra e Visitatore Apostolico inviato dal Sant’Uffizio per «inquisire» in segreto padre Pio chiarisce finalmente che in occasione della stimmatizzazione il Santo del Gargano ebbe un colloquio con il Gesù Crocifisso.

Una seconda fonte autobiografica di Padre Pio, prestata sotto giuramento, si va quindi ad affiancare al suo epistolario, fornendo le giuste chiavi di lettura per conoscere la personalità e la missione di «sacerdote associato alla Passione di Cristo» del frate cappuccino.

Chiamato a rispondere sul Vangelo, a brevissima distanza dall’avvenimento dei fenomeni mistici, padre Pio rivela per la prima volta l’identità di colui che lo ha stimmatizzato.

È il 15 giugno 1921, sono passate da poco le 17, e interrogato dal Vescovo padre Pio risponde così: «Il 20 Settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutt’ad un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi N. S. [Nostro Signore] in atteggiamento di chi sta in croce».

«Non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti».

«Di qui – continua il suo racconto – si manifestava che lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare».

«Udii questa voce: “Ti associo alla mia Passione”. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo».

Padre Pio rivela dunque che la stimmmatizzazione non fu il risultato di una sua richiesta personale ma di un invito del Signore, che lamentandosi dell’ingratitudine degli uomini, in particolar modo dei consacrati, lo faceva destinatario di una missione, come culmine di un cammino di preparazione interiore e mistica.

Tra l’altro, spiega l’autore del libro, «il tema della cattiva corrispondenza degli uomini, in particolare di coloro che erano più favoriti da Dio, non è nuovo nelle rivelazioni private del cappuccino».

Intervistato da ZENIT, don Francesco Castelli ha detto che «un aspetto decisivo va rintracciato nella mancata richiesta delle stimmate da parte di padre Pio. Questo ci fa capire la libertà e l’umiltà del cappuccino che si rivela totalmente disinterrato a fare mostra delle ferite».

«L’umiltà di padre Pio traspare anche dalla sua reazione nel vedere, una volta tornato in sé, i segni della Passione impressi nella carne – ha sottolineato lo storico –. Infatti, nel colloquio con il Vescovo, una volta conclusasi la scena mistica, non ci ricama sopra».

Dai colloqui con padre Pio, dall’epistolario, dai testimoni interrogati da monsignor Rossi e persino dalla sua relazione traspare il fatto che padre Pio provasse dispiacere per i segni della Passione, che cercasse di nasconderli e che soffrisse nel doverli mostrare sotto l’incalzare delle richieste del Visitatore apostolico.

La ferita al costato e la sesta piaga del patibulum crucis

Il libro riporta poi le conclusioni di monsignor Rossi alla ricognizione sulle stimmate di padre Pio da lui effettuata personalmente, e di cui si aveva notizia solo in parte, che risulta apportatrice di grandi novità, specialmente per quanto concerne la morfologia della ferita sul costato e la presunta sesta piaga della spalla.

Nella sua relazione il Visitatore apostolico rivela che le ferite di padre Pio non andavano in suppurazione, non si chiudevano né si cicatrizzavano. Restavano inspiegabilmente aperte e sanguinati, nonostante il frate avesse smesso di spennellarle con la tintura di iodio per cercare di arrestare il sangue.

«La descrizione di monsignor Rossi riguardo la stimmata al costato – ha detto ancora don Castelli a ZENIT – è decisamente differente da quelle di chi lo ha preceduto e da coloro che lo hanno seguito. A lui non si presenta sotto forma di una croce capovolta oppure obliqua, ma come una “chiazza triangolare” e quindi dai contorni netti».

Nel verbale dell’esame, il Vescovo di Volterra, contrariamente a quanto rilevato dagli altri medici, sostiene che «non vi sono aperture, tagli e ferite» e che in tal caso «si può legittimamente supporre che il sangue esca per essudazione», cioè – spiega don Castelli – che si trattasse di «materiale sanguigno fuoriuscito per una forma di iper-permeabilità delle pareti vasali».

«Questo depone a favore della sua autenticità – ha spiegato lo storico –, perché l’acido fenico, che secondo alcuni sarebbe stato utilizzato da padre Pio per procurarsi le piaghe, una volta applicato finisce per consumare i tessuti infiammando le zone circostanti».

«Impossibile pensare che padre Pio fosse stato in grado di prodursi queste “ferite” dai margini netti per 60 anni e in modo costante», ha commentato don Castelli.

«Inoltre, dalle piaghe si sprigionava un profumo intenso di viola al posto dell’odore fetido causato il più delle volte dai processi degenerativi o dalla necrosi dei tessuti, oppure ancora dalla presenza di infezioni».

Altro elemento degno di rilievo, il fatto che padre Pio confessi apertamente di non portare altri segni visibili della Passione al di fuori di quelli alle mani, ai piedi e al costato, escludendo così l’esistenza di una piaga all’altezza della spalla dove Gesù portava la croce, di cui parla una preghiera attribuita a San Bernardo.

Prima d’ora, invece, ne era stata ipotizzata l’esistenza, specialmente sulla base della rilevazioni in proposito fatte dal Cardinale Andrzej Maria Deskur che in una intervista aveva raccontato di un incontro a San Giovanni Rotondo, nell’aprile del 1948, tra l’allora don Karol Wojtyla e il frate stimmatizzato.

Secondo don Castelli, «questa rivelazione fissa ora nel 1921 il termine prima del quale non si puo’ risalire per attribuire a padre Pio l’esistenza di qualsiasi altro segno della Passione».

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ZENIT Staff

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