Omelia del Papa per la riapertura della Cappella Paolina del Palazzo Apostolico

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 5 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo sabato la celebrazione dei Vespri in occasione della riapertura della Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, dedicata ai Santi Pietro e Paolo.

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Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

Si realizza quest’oggi, a pochi giorni dalla solennità dei Santi Pietro e Paolo e dalla chiusura dell’Anno Paolino, il mio desiderio di poter riaprire al culto la Cappella Paolina. Nelle Basiliche Papali di San Paolo e di San Pietro abbiamo vissuto le celebrazioni solenni in onore dei due Apostoli; questa sera, quasi a completamento, ci raccogliamo nel cuore del Palazzo Apostolico, nella Cappella che è stata voluta dal Papa Paolo III e realizzata da Antonio da Sangallo il Giovane, proprio quale luogo riservato di preghiera per il Papa e per la Famiglia pontificia. Aiutano a meditare e a pregare in maniera quanto mai efficace i dipinti e le decorazioni che la abbelliscono, in particolare i due grandi affreschi di Michelangelo Buonarroti, che sono gli ultimi della sua lunga esistenza. Rappresentano la conversione di Paolo e la crocifissione di Pietro.

Lo sguardo è attratto innanzitutto dal volto dei due Apostoli. E’ evidente, già dalla loro posizione, che questi due volti giocano un ruolo centrale nel messaggio iconografico della Cappella. Ma, al di là della collocazione, essi ci attirano subito “oltre” l’immagine: ci interrogano e ci inducono a riflettere. Anzitutto, soffermiamoci su Paolo: perché è rappresentato con un volto così anziano? E’ il volto di un uomo vecchio, mentre sappiamo – e lo sapeva bene anche Michelangelo – che la chiamata di Saulo sulla via di Damasco avvenne quando egli era circa trentenne. La scelta dell’artista ci porta già fuori dal puro realismo, ci fa andare oltre la semplice narrazione degli eventi per introdurci ad un livello più profondo. Il volto di Saulo-Paolo – che è poi quello dello stesso artista ormai vecchio, inquieto e in cerca della luce della verità – rappresenta l’essere umano bisognoso di una luce superiore. E’ la luce della grazia divina, indispensabile per acquistare una vista nuova, con cui percepire la realtà orientata alla “speranza che vi attende nei cieli” – come scrive l’Apostolo nel saluto iniziale della Lettera ai Colossesi, che abbiamo appena ascoltato (1,5).

Il volto di Saulo caduto a terra è illuminato dall’alto, dalla luce del Risorto e, pur nella sua drammaticità, la raffigurazione ispira pace e infonde sicurezza. Esprime la maturità dell’uomo interiormente illuminato da Cristo Signore, mentre attorno ruota un turbinìo di eventi in cui tutte le figure si ritrovano come in un vortice. La grazia e la pace di Dio hanno avvolto Saulo, lo hanno conquistato e trasformato interiormente. Quella stessa “grazia” e quella stessa “pace” egli annuncerà a tutte le sue comunità nei suoi viaggi apostolici, con una maturità di anziano non anagrafica, ma spirituale, donatagli dal Signore stesso. Qui dunque, nel volto di Paolo, possiamo già percepire il cuore del messaggio spirituale di questa Cappella: il prodigio cioè della grazia di Cristo, che trasforma e rinnova l’uomo mediante la luce della sua verità e del suo amore. In questo consiste la novità della conversione, della chiamata alla fede, che trova il suo compimento nel mistero della Croce.

Dal volto di Paolo passiamo così a quello di Pietro, raffigurato nel momento in cui la sua croce rovesciata viene issata ed egli si volta a fissare chi lo sta osservando. Anche questo volto ci sorprende. L’età rappresentata qui è quella giusta, ma è l’espressione a meravigliarci e interrogarci. Perché questa espressione? Non è un’immagine di dolore, e la figura di Pietro comunica un sorprendente vigore fisico. Il viso, specialmente la fronte e gli occhi, sembrano esprimere lo stato d’animo dell’uomo di fronte alla morte e al male: c’è come uno smarrimento, uno sguardo acuto, proteso, quasi a cercare qualcosa o qualcuno, nell’ora finale. E anche nei volti delle persone che gli stanno intorno risaltano gli occhi: serpeggiano sguardi inquieti, alcuni addirittura spaventati o smarriti. Che significa tutto questo? E’ ciò che Gesù aveva predetto a questo suo Apostolo: “Quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi”; e il Signore aveva aggiunto: “Seguimi” (Gv 21,18.19). Ecco, si realizza proprio ora il culmine della sequela: il discepolo non è da più del Maestro, e adesso sperimenta tutta l’amarezza della croce, delle conseguenze del peccato che separa da Dio, tutta l’assurdità della violenza e della menzogna. Se in questa Cappella si viene a meditare, non si può sfuggire alla radicalità della domanda posta dalla croce: la croce di Cristo, Capo della Chiesa, e la croce di Pietro, suo Vicario sulla terra.

I due volti, su cui si è soffermato il nostro sguardo, stanno l’uno di fronte all’altro. Si potrebbe anzi pensare che quello di Pietro sia rivolto proprio al volto di Paolo, il quale, a sua volta, non vede, ma porta in sé la luce di Cristo risorto. E’ come se Pietro, nell’ora della prova suprema, cercasse quella luce che ha donato la vera fede a Paolo. Ecco allora che in questo senso le due icone possono diventare i due atti di un unico dramma: il dramma del Mistero pasquale: Croce e Risurrezione, morte e vita, peccato e grazia. L’ordine cronologico tra gli avvenimenti rappresentati è forse rovesciato, ma emerge il disegno della salvezza, quel disegno che lo stesso Cristo ha realizzato in se stesso portandolo a compimento, come abbiamo poc’anzi cantato nell’inno della Lettera ai Filippesi. Per chi viene a pregare in questa Cappella, e prima di tutto per il Papa, Pietro e Paolo diventano maestri di fede. Con la loro testimonianza invitano ad andare in profondità, a meditare in silenzio il mistero della Croce, che accompagna la Chiesa fino alla fine dei tempi, e ad accogliere la luce della fede, grazie alla quale la Comunità apostolica può estendere fino ai confini della terra l’azione missionaria ed evangelizzatrice che le ha affidato Cristo risorto. Qui non si fanno solenni celebrazioni con il popolo. Qui il Successore di Pietro e i suoi collaboratori meditano in silenzio e adorano il Cristo vivente, presente specialmente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

L’Eucaristia è il sacramento in cui si concentra tutta l’opera della Redenzione: in Gesù Eucaristia possiamo contemplare la trasformazione della morte in vita, della violenza in amore. Nascosta sotto i veli del pane e del vino, riconosciamo con gli occhi della fede la stessa gloria che si manifestò agli Apostoli dopo la Risurrezione, e che Pietro, Giacomo e Giovanni contemplarono in anticipo sul monte, quando Gesù si trasfigurò davanti a loro: evento misterioso, la Trasfigurazione, che il grande quadro di Simone Cantarini ripropone anche in questa Cappella con forza singolare. In realtà però tutta la Cappella – gli affreschi di Lorenzo Sabatini e Federico Zuccari, le decorazioni dei numerosi altri artisti convocati qui in un secondo momento dal Papa Gregorio XIII –, tutto, potremmo dire, qui confluisce in un medesimo unico inno alla vittoria della vita e della grazia sulla morte e sul peccato, in una sinfonia di lode e di amore a Cristo redentore che risulta altamente suggestiva.

Cari amici, al termine di questa breve meditazione, vorrei ringraziare quanti hanno cooperato affinché noi potessimo nuovamente godere di questo luogo sacro completamente restaurato: il Prof. Antonio Paolucci e il suo predecessore il Dott. Francesco Buranelli, che, quali Direttori dei Musei Vaticani, hanno sempre avuto a cuore questo importantissimo restauro; i vari operatori specialisti che, sotto la direzione artistica del Prof. Arnold Nesselrath, hanno lavorato sugli affreschi e sui decori della Cappella e, in particolare, il Maestro Ispettore Maurizio De Luca e la sua assistente Maria Pustka, che hanno diretto i lavori e sono intervenuti sui due murali di Michelangelo, avvalendosi della consulenza di una commissione internazionale formata da studiosi di chiara fama. La mia riconoscenza va altresì al Cardinale Giovanni Lajolo ed ai s
uoi collaboratori del Governatorato, che hanno prestato all’opera speciale attenzione. E naturalmente un caloroso e doveroso grazie rivolgo ai benemeriti mecenati cattolici, americani e non, ossia ai Patrons of the Arts, impegnati generosamente nella salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale in Vaticano, i quali hanno reso possibile il risultato che oggi ammiriamo. A tutti e a ciascuno giunga l’espressione della mia riconoscenza più cordiale.

Canteremo tra poco il Magnificat. Maria Santissima, Maestra di preghiera e di adorazione, insieme con i santi Pietro e Paolo, ottenga abbondanti grazie a quanti si raccoglieranno con fede in questa Cappella. E noi questa sera, grati a Dio per le sue meraviglie, e specialmente per la morte e risurrezione del suo Figlio, eleviamo a Lui la nostra lode anche per quest’opera giunta oggi al suo compimento. “A Colui, che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen” (Ef 3,20-21).

[© Copyright 2009 – Libreria Editrice Vaticana]

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ZENIT Staff

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