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</a> – S. E. R. Mons. George Cosmas Zumaire LUNGU, Vescovo di Chipata, Presidente della Conferenza Episcopale (ZAMBIA)
In quasi tutte le nostre parrocchie e perfino in alcune piccole comunità cristiane (SCC) sono state istituite commissioni di giustizia e pace. Queste commissioni stanno facendo una grande differenza nell’aiutare i cristiani a fare interventi informati riguardo alle questioni sociali. È in parte grazie a queste commissioni di giustizia e pace che sia i cattolici sia i non cattolici considerano la Chiesa in Zambia un’istituzione credibile e coerente nella promozione dei diritti umani.
Siamo stati benedetti anche nel campo delle comunicazioni sociali, avendo ora stazioni radio della comunità cattolica in nove delle dieci diocesi. Le stazioni radiofoniche svolgono un ruolo importante nella nostra missione evangelizzatrice, per esempio nella promozione del buon governo e dell’educazione civica. Le comunità rurali, dove il tasso di analfabetismo è molto elevato, ora trovano la loro voce, esprimendo liberamente la loro fede alla radio, parlando di problemi di giustizia nelle loro comunità. La maggior parte delle nostre stazioni radiofoniche di solito lascia spazio anche ai non cattolici.
Tuttavia non siamo ancora soddisfatti. Sappiamo di dover affrontare numerose sfide. Per esempio, come altri paesi benedetti da risorse minerarie, anche nel nostro paese esistono multinazionali che si sono dimostrate poco interessate a promuovere il benessere della nostra gente, specialmente nelle industrie estrattive come il settore minerario. Questo settore ha un impatto negativo sull’ambiente. Per questo, poco dopo la conclusione di questo sinodo, lo Zambia ospiterà un grande incontro internazionale sull’impatto delle industrie estrattive sui paesi poveri.
Inoltre un’altra grande sfida è rappresentata dall’impatto della povertà sull’ambiente. Per esempio, la povertà sta portando a una sfrenata distruzione delle foreste perché vengono impiegati il carbone di legna e metodi di coltivazione insostenibili. Come Chiesa, dobbiamo proporre dei modi per alleviare questa situazione. Vorrei quindi esortare questo sinodo a fare una dichiarazione chiara e forte sulle nostre preoccupazioni per i problemi di giustizia ambientale come contributo per la prossima conferenza sull’ambiente che si terrà a Copenaghen.
– S.Em.R. Card. Wilfrid Fox NAPIER, O.F.M., Arcivescovo di Durban (SUDAFRICA)
È vero che dall’ultima sessione del Sinodo per l’Africa del 1994 si sono verificati alcuni colpi di stato, ma il mostro che usurpa potere contrario alla democrazia non è affatto scomparso. Piuttosto ha cambiato aspetto e modus operandi.
Può darsi che non esistano più singoli capi che prendono il potere assoluto e si proclamano “presidenti a vita”. Ma vediamo sempre di più i partiti politici prendere il loro posto.
Per fare un esempio, i seguenti paesi dell’Africa meridionale – Botswana, Angola, Zimbabwe e Mozambico – da quando c’è stata la liberazione sono stati governati, o potremmo dire, dominati dallo stesso partito.
Naturalmente non vi è nulla di sbagliato in questo, se l’elettorato conferisce loro il mandato liberamente. Alcuni segni però stanno a indicare che non sia questo il quadro.
– quando un partito si prende tutto il merito per avere ottenuto la liberazione;
– quando afferma di essere l’unico a sapere ciò che la gente desidera o di cui ha bisogno, anche se si rifiuta di chiederlo a loro o di ascoltarli;
– quando obbliga con la legislazione e impone politiche che sono palesemente contro la volontà manifesta della gente;
– quando afferma che chiunque la pensi diversamente è ipso facto un controrivoluzionario o un razzista che si oppone alle riforme;
allora qualcosa va veramente male.
In effetti rivela che il partito ha già compiuto un colpo di stato a tutti gli effetti anche se non lo chiama così. Per aggiungere l’insulto all’ingiuria, il partito si dichiara pro-poveri, e quindi impegnato a mettere a punto politiche pro-poveri, perfino quando si arricchisce vergognosamente con tanta ingordigia, che il coefficiente Ginni del paese (il divario tra i ricchi e i poveri) lo mette in testa alla lista!
Il colpo di stato è certamente in atto quando un partito decide di ascoltare i proprio alleati ideologici, piuttosto che i poveri e i bisognosi che rappresentano la maggioranza dei suoi elettori.
Il colpo di stato è completo quando il partito si identifica talmente con lo stato, che il suo presidente può affermare tranquillamente: “(il nostro partito) governerà fino al ritorno di Gesù Cristo!”. Non implica forse che nulla, neppure il processo democratico, gli toglierà il potere?
Fratelli e sorelle, leaders sempre più numerosi stanno portando a questo il nostro continente. Nel processo voltano le spalle al loro retaggio religioso e culturale, in cui Dio è particolarmente presente. Abbracciano invece un’ideologia senza Dio e senza vita, che ha portato alla rovina i poveri ovunque si sia imposta.
È certamente necessario pregare e operare per un miracolo che porti a una liberazione autentica e sostenibile, non dai colonizzatori, ma stavolta dalla dittatura di tutti i potenti partiti che hanno preso il potere con un subdolo colpo di stato!
– S. E. R. Mons. Jean-Pierre TAFUNGA, S.D.B., Arcivescovo Coadiutore di Lubumbashi (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Nella maggior parte delle culture africane, il male è concepito come conseguenza di una trasgressione di ciò che è prescritto, che si tratti di precetti divini – che richiedono obbedienza e sottomissione incondizionate – o di una legge sociale dettata dalle autorità che governano o ancora di divieti e prescrizioni rituali. Ogni atto che diminuisce o distrugge la vita e ogni atto o comportamento che rompe l’unità, l’ordine e l’armonia delle cose sono classificati come male.
Secondo il genere di colpa commessa, la persona coinvolta è chiamata ad ammettere con franchezza il male compiuto. Questa confessione generalmente ha luogo davanti al capo, garante dell’ordine sociale, o davanti a un guaritore. In alcuni casi, la confessione avviene davanti alla comunità. La persona incriminata è chiamata a manifestare la sua ferma risoluzione di riparare inderogabilmente il torto causato.
È obbligato alla riparazione l’individuo che ha commesso il torto o, in mancanza di lui, la sua famiglia. La riparazione consiste nel pagamento delle spese prescritte, dei danni e degli interessi. A seconda delle culture, le spese equivalgono a una somma di denaro stabilita dalla tradizione in proporzione alla gravità della colpa. Gli interessi consistono nell’offerta di un animale vivo o di un prodotto della caccia.
Le persone lese possono allora concedere il perdono a coloro che li hanno offesi. La riparazione chiude il processo appena la persona è perdonata e la riparazione effettuata.
Il culmine della riparazione è il rito della riconciliazione. Per paura del castigo (morte improvvisa, brutale, inaspettata ecc) che verrebbe direttamente da Dio o da uno stregone, il trasgressore deve compiere il rito della riconciliazione per migliorarsi e ottenere il perdono. Questo rito si svolge in un luogo sacro, davanti alla comunità e all’officiante (mistagogo) che presiede la cerimonia.
Le formule della confessione, gli atteggiamenti del penitente, le sevizie corporali, i materiali e gli oggetti utilizzati, il loro simbolismo nonché i gesti e le formule che pronuncia l’officiante per purificare il penitente differiscono in base alla tribù.
La confessione è sempre seguita da consigli e da ammonizioni severe per favorire la conversione definitiva. Viene accompagnata da riti, tra i quali la cerimonia rituale della benedizione e del grande perdono, il pasto festoso e comunitario, sim
bolo della gioia della riscoperta della situazione positiva precedente alla colpa e della riconciliazione dei membri di una comunità, il pagamento dell’onorario all’officiante, il rito di placare i feticci vendicatori e gli spiriti quando c’è una maledizione da parte dell’offeso.
– S. E. R. Mons. Louis NZALA KIANZA, Vescovo di Popokabaka (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Riteniamo che sia indispensabile che la solidarietà così concepita non si limiti allo scambio di esperienze pastorali ma che prenda necessariamente in considerazione la questione vitale della condivisione del personale e dei beni.
Infatti i gravi problemi della povertà, della miseria, della tragedia della fame, della mancanza di accesso alle cure mediche e ad altri servizi essenziali che affliggono la maggior parte dei paesi africani, esigono dalle nostre Chiese di oggi un nuovo spirito di solidarietà, di comunione e di carità creativa. Le Chiesa d’Africa devono essere più audaci, fantasiose e feconde per sviluppare strutture capaci di includere nella prassi ecclesiale questa solidarietà organica.
Senza trascurare la dimensione importante della solidarietà a livello di Chiesa universale, è giunto il momento di sviluppare maggiormente i rapporti di solidarietà all’interno della stessa diocesi, tra le diverse diocesi, all’interno di una stessa conferenza episcopale e tra le diverse conferenze episcopali in Africa.
Riteniamo che nel momento in cui parliamo di giustizia e di pace, sia urgente concretizzare la costituzione dei fondi di solidarietà a livello diocesano, nazionale, regionale e continentale. Un tale fondo di solidarietà potrebbe aiutarci a livello africano a intervenire con i nostri mezzi senza aspettare tutto dall’Occidente. Le Caritas diocesane, nazionali, regionali e continentali possono essere gli strumenti adeguati per la costituzione di questo fondo.
Siamo convinti che la posta in gioco dell’attuazione effettiva di questa solidarietà pastorale nelle Chiese d’Africa sia un’esigenza allo stesso tempo etica e teologica. Ha un fondamento cristologico ed è radicata nel cuore della fede, non è semplicemente una responsabilità sociale e politico.
– S. E. R. Mons. Antonio Maria VEGLIÒ, Arcivescovo titolare di Eclano, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (CITTÀ DEL VATICANO)
La realtà della pastorale della mobilità umana è un fenomeno così importante, così esteso e così complesso soprattutto in Africa e dall’ Africa, che è sempre stato ed è un continente interessato a tale problema, soprattutto dai flussi di migranti, rifugiati e sfollati. Nelle ultime tre decadi, varie circostanze hanno alimentato tale fenomeno. Oltre alla crescente urbanizzazione, guerre e conflitti di diversa natura hanno trasformato vari Paesi in “esportatori” di profughi ed emigranti verso i Paesi vicini, verso altre regioni del continente o verso Paesi esteri. Vi sono poi fattori economici, sociali, culturali e politici, intrecciati tra loro, che costringono gli Africani ad abbandonare i propri Paesi d’origine.
I movimenti migratori in Africa sono, comunque, più “orizzontali” che “verticali”. In effetti, la migrazione intra-continentale è di gran lunga più importante di quella verso il resto del mondo, fino a stimare che la migrazione intera coinvolga attualmente almeno 40 milioni di persone, nella maggior parte Africani. E’ tutto indica·che questi flussi interni ed interregionali continueranno ad incrementarsi negli anni e nei decenni prossimi.
La crisi economica e i conflitti che colpiscono molti Paesi del continente africano hanno dato luogo a preoccupanti sentimenti xenofobi verso gli immigrati, trasformati in capri espiatori per i problemi politici ed economici interni. Spesso, perciò, le politiche migratorie degli Stati si sono irrigiditi per rendere difficile la permanenza e lo sviluppo di attività da parte degli immigrati. In tale contesto, il rispetto dei diritti umani, dei prinçipi democratici e dello stato di diritto, la good governance, l’approfondimento del dialogo politico e il rafforzamento della cooperazione internazionale, rappresentano le linee guida su cui si giocano il presente e il futuro dell’ Africa. La dimensione pastorale, in tale processo, non è di secondaria importanza. Soltanto un autentico rapporto di giustizia, infatti, produrrà la pace e, da qui, potrà attingere forza la Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione e dell’annuncio del Vangelo
[Testo originale: italiano]
– S. E. R. Mons. Luigi BRESSAN, Arcivescovo di Trento, Presidente della Commissione Episcopale per l’Evangelizzazione dei Popoli e la Cooperazione tra le chiese della Conferenza Episcopale Italiana (ITALIA)
Senso di scambio fraterno e ringraziamento per le testimonianze incontrate su una fede cristologica e quindi impegnata.
Informazioni circa i 3.601 missionari italiani in Africa, disponibili per progetti pastorali locali. Interrogativi circa la presenza di molti sacerdoti africani in Italia.
Sostegno alle Pontificie Opere Missionarie e fondo della CEI per lo sviluppo; coordinamento tramite le Conferenze Episcopali.
Doni che ci attendiamo: rafforzarci nella fede.
– S.Em.R. Card. John NJUE, Arcivescovo di Nairobi, Presidente della Conferenza Episcopale (KENYA)
L’Africa continua ad avere sete di buon governo. Molti paesi in Africa continuano a dibattersi sotto il malgoverno, dove una fame di potere incontrollata ha portato l’impunità, la corruzione, la manipolazione delle persone e altri mali sociali e politici simili, prodotti da cuori umani bisognosi di conversione. La Chiesa in Kenya e altrove in Africa ha continuato a impegnarsi per realizzare sistemi di governo con dei consigli che affrontino la giustizia attraverso il servizio al bene comune. Le lettere pastorali hanno continuamente affrontato il tema del malgoverno, che può essere definito il cancro dell’Africa. È questo ad avere impoverito la gente nel continente.
Molte persone sono oppresse e hanno urgente bisogno di sperimentare le assicurazioni di Cristo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; […] mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, […] per rimettere in libertà gli oppressi (Lc 4, 17-21).
Queste persone oppresse devono essere invitate a partecipare alla costruzione di sistemi di governo giusti attraverso la stesura di buone costituzioni. La costituzione del Kenya e di altri paesi dell’Africa deve essere rivista per trattare i temi del buon governo, dei diritti umani, della riconciliazione e del processo di pace, che può essere realizzato solo attraverso sistemi giusti.
Ciò che è evidente in Kenya e in Africa in generale è che alcuni leader preferirebbero mantenere delle costituzioni che danno loro un potere incontrollato, portando all’anarchia e alla dittatura. Le violenze post-elettorali in Kenya nel 2008 sono un valido esempio di impunità. L’Accordo Nazionale, raggiunto dando vita ad un governo di grande coalizione, ha portato grande sollievo ai keniani, i cui fratelli erano morti in massa o diventati rifugiati nel proprio paese. Tuttavia, le riforme proposte come soluzione permanente ai problemi sociopolitici devono ancora essere attuate. Il processo contro coloro che hanno perpetrato le violenze post-elettorali deve ancora iniziare.
La Chiesa in Kenya continua a ribadire l’urgenza di realizzare le riforme attraverso buoni sistemi di giustizia. Essa continua a intensificare l’educazione civica per far conoscere ai cittadini i loro diritti e doveri. Questa educazione è necessaria in tutta l’Africa, in base ai problemi di ogni paese. Pertanto, è urgente avere un programma di formazione per le persone al governo; formare politici validi e santi come agenti di buon governo; creare cappellanie per i politici; rafforzare i media cattolici per favorire la formazione morale di tutti; promuovere ovunque il ruolo profetico della Chiesa; provvedere in modo dec
iso alla formazione permanente di tutti gli agenti di evangelizzazione, compresi i politici, formazione basata su un solido catechismo e sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Questo sinodo ci offre un’opportunità speciale per riflettere sul cancro che sta divorando il nostro continente e per il quale occorre trovare una cura. Il buon governo non è una priorità, ma un obbligo. Potrei anche aggiungere che la politica in Africa è talmente importante che non può essere lasciata solo ai politici, visti i rischi che abbiamo già sperimentato. È giunto il momento di agire in modo costruttivo!
– S. E. R. Mons. Gianfranco RAVASI, Arcivescovo titolare di Villamagna di Proconsolare, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (CITTÀ DEL VATICANO)
La mia è la voce di un europeo che con ammirazione e rispetto si rivolge ai fratelli vescovi africani per proporre un intervento molto semplice e generale su un tema che ha attraversato molte pagine dell’ Instrumentum laboris e degli interventi già ascoltati in aula. Anche se il colore nero è il simbolo tradizionale del continente, l’Africa in verità si presenta come un arcobaleno cromatico multiculturale e multireligioso. Solo per proporre un esempio, l’UNESCO nel Camerun ha censito almeno 250 idiomi differenti, mentre le lingue bantù sono così ideologicamente sofisticate da usare ben 24 classificazioni grammaticali delle diverse qualità delle varie realtà.
Di fronte a un simile scrigno di tesori culturali e spirituali fatto di tradizioni popolari e familiari, di simboli e riti religiosi, di sapienza, memoria, folclore vorrei proporre solo tre osservazioni essenziali.
La prima contiene l’auspicio che il Sinodo stimoli in molte forme l’Africa a custodire la propria identità culturale e spirituale, impedendo che essa si dissolva sotto il vento della secolarizzazione e della globalizzazione che soffia con forza anche sulle 53 nazioni africane. L’Africa deve, però, respirare anche i valori positivi della moderna comunione universale e di conseguenza deve saper combattere i nazionalismi, gli integralismi etnici, i particolarismi tribali, i fondamentalismi religiosi.
La seconda considerazione propone, invece, che il Sinodo possa rivolgersi anche all’Occidente e al Nord del mondo perché si instauri quel dialogo che in modo suggestivo mons. Monsegwo Pasinya nella sua relazione ha chiamato il partenariato non solo delle materie prime ma anche delle materie grigie, ossia dei valori, creando spazi di comprensione e comunione e non di colonizzazione o al contrario di rigetto reciproco. È ciò che era accaduto nei primi secoli cristiani con l’inestimabile dono fatto alla Chiesa e alla cultura occidentale da Antonio, Pacomio, Tertulliano, Cipriano, Clemente Alessandrino, Origene, Atanasio e il grandioso Agostino.
La terza riflessione vorrebbe riproporre l’approfondimento metodologico e tematico della questione delicata ma sempre necessaria dell’inculturazione del messaggio cristiano. L’inculturazione – come Giovanni Paolo II suggeriva ai vescovi del Kenya nel 1980 – “sarà realmente un riflesso dell’Incarnazione del Verbo, quando una cultura, trasformata e rigenerata dal Vangelo, produce dalla sua propria tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione, di pensiero cristiano”. In questa linea una funzione significativa potrebbe essere espletata dalla rete dei Centri culturali cattolici che si distende per tutta l’Africa e che presenta delle tipologie molto varie talora di livello accademico-universitario, altre volte di natura popolare e parrocchiale.
– S. E. R. Mons. Joseph Edra UKPO, Arcivescovo di Calabar (NIGERIA)
Una riconciliazione sostenibile impedisce di guardare al passato, in quanto focolaio di nuovi conflitti. Essa consolida la pace, spezza il circolo della violenza e rafforza le istituzioni democratiche appena stabilite o reintrodotte. In quanto operazione che parte dal passato, la riconciliazione promuove la guarigione personale dei sopravvissuti, la riparazione di ingiustizie passate, la costruzione o ristabilimento di relazioni non violente tra persone e comunità, e la condivisione delle parti in conflitto di una visione e di una comprensione del passato. In pratica una riconciliazione così completa non è facile da raggiungere. L’esperienza di un brutale passato fa della ricerca della coesistenza pacifica un’operazione delicata e intricata.
La Chiesa in Africa deve continuare a promuovere il dialogo con le altre religioni coinvolgendo i media, le scuole e la società civile.
Partecipare attivamente alle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconciliation Missions). Quelle messe a punto dal Governo sedano le collere, ma non promuovono una riconciliazione sostenibile. Dobbiamo potenziare le T&R perché sanino anche le ferite spirituali e migliorino la vita delle comunità.
Dovrebbero essere organizzati seminari sulla dottrina sociale della Chiesa presso i municipi, nelle scuole, e per i politici, indipendentemente dai loro partiti.
Risanando i ricordi e usandoli come segnali di avvertimento, insegnando alle giovani generazioni come individuare i primi segni di una nuova sfiducia potenzialmente pericolosa; offrendo un’educazione che porti alla risoluzione dei conflitti e alla trasformazione, un’educazione e programmi di formazione alla pace e alla riconciliazione; intensificando l’apostolato ai carcerati e il reinserimento degli ex prigionieri; rendendo accessibili occasioni grazie alle quali le comunità che escono da conflitti possano condividere le loro esperienze e imparare da altri che hanno affrontato esperienze simili; incoraggiando e sostenendo i ministri dell’istruzione ad analizzare ed esaminare in che modo i sistemi educativi devono cambiare ed espandersi al fine di promuovere una pace sostenibile.
– S. E. R. Mons. Gervais BANSHIMIYUBUSA, Vescovo di Ngozi (BURUNDI)
Dopo quindici anni di una guerra civile che ha destabilizzato la società burundese (1993-2008), vorremmo ringraziarvi per la vostra vicinanza spirituale, morale e materiale, comunicandovi che la guerra nel paese si è conclusa senza vincitori né vinti, bensì attraverso il dialogo e le trattative tra i protagonisti. Il paese è attualmente impegnato in un processo di pace e di riconciliazione, ma continuate a pregare per questa pace precaria.
Dato che questa II Assemblea sinodale dei Vescovi per l’Africa parla di giustizia, di pace e di riconciliazione da parte della Chiesa, ci sembra utile condividere con voi uno degli aspetti del ruolo della nostra Chiesa in questo processo di pace sociale e politica che è in corso nel paese.
Sorvolando (senza ignorarne l’importanza) le numerose iniziative di mediazione, di insegnamento e di azione sociale promosse dalla Chiesa del Burundi per condurre il paese alla fase attuale del processo di pace, vorrei incentrare questo intervento sulla decisione della Chiesa del Burundi di unirsi in sinodo per offrire il proprio contributo specifico al processo di pace e di riconciliazione del popolo.
Dal 2004, di fronte alla situazione di una società che aveva perso quasi tutti i suoi punti di riferimento culturali e morali e che si abbandonava a crimini e peccati collettivi su larga scala, abbiamo deciso di impegnarci con dei sinodi diocesani incentrati sul seguente tema: “convertiamoci per promuovere una cultura della pace e della riconciliazione”.Vorrei concludere con un doppio appello a questa Assemblea sinodale per l’Africa:
– che includiamo nelle nostre risoluzioni la celebrazione dei sinodi diocesani per promuovere il tema della presente Assemblea, cioè: “Le nostre Chiese locali a servizio della costruzione di una cultura di pace e di riconciliazione”; dato che l’opera di costruzione di una cultura di pace e di riconciliazione non è un lavoro possibile per i cristiani presi individualmente, cerchiamo di coinvolgere tutta la famiglia ecclesiale e oltre, affinché la luce sia visibile.
– che le Chies
e dei paesi benestanti, nell’ambito della nostra Chiesa che è ovunque la stessa famiglia di Dio, ci aiutino con le loro risorse ad avere in Africa Istituti e Università con delle facoltà sulla prevenzione e sulla risoluzione dei conflitti, nonché delle facoltà per la pace e la riconciliazione.
– S. E. R. Mons. Menghisteab TESFAMARIAM, M.C.C.J., Eparca di Asmara (ERITREA)
I dolori e le tribolazioni che affliggono la maggior parte del continente africano, vale a dire il perdurare dei conflitti, le ingiustizie, le violazioni dei diritti umani, la mancanza di libertà religiosa, persecuzioni, sfruttamento delle risorse umane e naturali, diversi tipi di morbi, povertà disoccupazione, carestia, migrazioni, fuga dei cervelli e traffico di esseri umani sono ben noti e pubblicizzati. Essi, e ne parlo per esperienza, sono provocati da forze interne ed esterne di sete di potere e di una brama sfrenata di possesso.
La famiglia è il primo e il più piccolo nucleo di ogni società e la comunità cristiana è la prima e indispensabile scuola di riconciliazione, giustizia e pace. Perché è nella famiglia che si impara il senso di appartenenza e di identità, e i valori di solidarietà, condivisione, rispetto per gli altri, ospitalità, solidarietà.
È vero che in Africa troviamo il maggior numero di rifugiati e profughi. È anche vero che molti africani stanno ancora cercando di attraversare deserti e mari per raggiungere paesi in cui pensano di poter ricevere una migliore educazione, più denaro e soprattutto una maggiore libertà. Occorre una forte assistenza pastorale per questi deboli gruppi di persone. Il nostro Sinodo deve sollecitare le Chiese d’origine e le Chiese che li ospitano a collaborare maggiormente tra loro.
Tuttavia l’emigrazione degli Africani non è iniziata recentemente. Esistono oggi molti africani che si sono stabiliti con successo nel mondo sviluppato. Se offriamo loro una motivazione, sono pronti a offrire il loro contributo al miglioramento della vita nei loro paesi di origine. Non dobbiamo escluderli dall’ offrire il loro contributo allo sviluppo del potenziale dell’Africa. In stretta collaborazione con le nostre Chiese sorelle in Europa, America e Australia, dobbiamo coinvolgerli negli sforzi di promuovere l’Africa, sia dal punto di vista umano che spirituale.
Se la famiglia africana e gli africani in diaspora devono aiutare la Chiesa a diventare “sale della terra e luce del mondo”, dobbiamo essere sicuri che tutti i nostri i agenti di pastorale ricevano una formazione continua. Soprattutto in questo Anno del Sacerdozio è vitale che tutti i membri del presbiterato siano pienamente consapevoli della loro vocazione a diventare santi ministri di riconciliazione, credibili avvocati di giustizia e fedeli portatori della pace di Cristo.
– S. E. R. Mons. Martin Igwemezie UZOUKWU, Vescovo di Minna (NIGERIA)
Noi viviamo e lavoriamo in mezzo ai musulmani in uno stato retto dalla “Sharia”, il Niger, che confina con la Nigeria.
Nella nostra diocesi abbiamo un programma noto come “Family apostles of the Divine Mercy devotion” (apostoli familiari della devozione alla Divina misericordia), che si dedica alla più piccola comunità della famiglia di Dio, la “chiesa domestica”. Questi apostoli familiari della Divina misericordia, uomini e donne, vengono preparati come leaders della chiesa del villaggio, agenti di riconciliazione, promotori di giustizia e pace nelle comunità dei loro villaggi. Essi condividono quotidianamente la Parola di Dio nelle loro case, recitano il rosario e la coroncina della divina misericordia e conducono anche la preghiera comunitaria.
Anche lo “Zumunta Mata”, un gruppo di donne cattoliche, il cui motto è “Noi siamo il sale della terra e la luce del mondo” è composto da agenti di evangelizzazione, riconciliazione, promotrici di giustizia, pace e misericordia. Esse e i loro figli interagiscono con le donne musulmane e i loro bambini a livello popolare grazie a questo apostolato della famiglia e le incoraggiano a passare un’ora al giorno in preghiera durante la quale leggono il Corano, scoprono la misericordia di Dio e pregano con le loro coroncine, promuovendo così un dialogo con l’islam e la testimonianza di vita attraverso la preghiera. Infatti alcune famiglie musulmane hanno imparato ad aggiungere alle loro preghiere quotidiane una nuova versione della preghiera della Divina misericordia.
La catechesi e la preghiera di cui abbiamo parlato aiutano oggi i nostri giovani a sviluppare interesse e amore per il rosario e l’adorazione/benedizione eucaristica nelle cappelle delle nostre parrocchie.
Un appello ai padri sinodali: vi prego, incoraggiate i vostri sacerdoti, religiosi e laici a promuovere nelle loro parrocchie e centri di formazione la devozione della Divina misericordia, e ad amare l’adorazione eucaristica
– S. E. R. Mons. Timothée MODIBO-NZOCKENA, Vescovo di Franceville, Presidente della Conferenza Episcopale, Presidente dell’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (A.C.E.R.A.C.) (GABON)
La nostra regione dell’Africa Centrale continua a essere teatro di ingiustizie, di divisioni e di violenze insostenibili. Questo rende la vita attuale difficile e ipoteca il futuro del nostro paese. La miseria schiaccia la maggioranza della popolazione. I problemi sociali assumono dimensioni allarmanti. Gli omicidi, le violenze sessuali, i furti, le violenze di ogni tipo vengono banalizzate. Le ripercussioni di queste violenze segnano profondamente sia gli individui che la società, poiché i cuori sono più abitati dal peccato che rivolti alla conversione, la giustizia che deriva dalla pace è derisa, la verità, l’unica che può liberare, è calpestata. Per uscire da questa situazione, occorre reagire e costruire culture di giustizia e di verità.
L’esperienza biblica ci propone la via della riconciliazione. La riconciliazione trasforma le relazioni con Dio, con gli altri e con l’ambiente. La vera riconciliazione parte dal cuore. Soltanto una persona riconciliata con Dio e con se stessa può essere a sua volta fonte di riconciliazione. Questa riconciliazione si realizza in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che con la sua morte e risurrezione ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro.
Riconciliare tutti gli uomini facendone una sola famiglia, la famiglia di Dio, è e rimane la prima missione della Chiesa. Essa non è riservata ad alcuni. È un dovere per tutti: Vescovi, Sacerdoti, laici e tutte le istituzioni ecclesiali. I cristiani non devono avere paura di testimoniare la propria fede. Questo impegno presuppone azioni concrete di riconciliazione nella Chiesa. Per essere al servizio della riconciliazione, la Chiesa deve essere davvero una famiglia riconciliata.
Il Sinodo deve suscitare in tutto il popolo di Dio una dinamica di riconciliazione. Per questo, occorre:
1. Avere all’interno di ogni Diocesi un organismo di monitoraggio regolare dell’applicazione delle risoluzioni del Sinodo.
2. Elaborare una catechesi e una pastorale biblica che favoriscano l’educazione alla riconciliazione.
3. Imparare di nuovo il senso del rispetto dalle nostre tradizioni africane e dalla Bibbia.4. Promuovere una cultura del bene comune e del servizio disinteressato nella Chiesa e nella società.
– S. E. R. Mons. Augustine Obiora AKUBEZE, Vescovo di Uromi (NIGERIA)
In passato i nostri antenati credevano nell’esistenza degli stregoni e alle distruzioni che operavano sulle persone e la società. Quasi tutti in Nigeria sanno, o almeno hanno sentito parlare degli stregoni e di come si dicesse che condizionassero la vita delle persone.
Si dice che gli stregoni possiedano poteri soprannaturali che usano per compiere il male. Secondo alcune credenze uno stregone potrebbe nuocere a chiunque, compresi i membri della sua famiglia. Per questo motivo sono odiati moltissimo. Dicono che uccidano i loro figli, bevano sangue
umano e portino rovina e malattia ai loro amici e alle loro famiglie. Ciò significa che, diversamente dagli altri esseri umani, gli stregoni concepiscono e provocano le più orribili disgrazie alle loro famiglie e comunità.
Sospetti stregoni vengono abbandonati, isolati, discriminati e ostracizzati dalla comunità. Talvolta vengono portati nella foresta e massacrati, o svergognati pubblicamente e uccisi. Alcuni sospetti stregoni vengono immersi nell’acido o avvelenati a morte. Vi sono stati casi in cui sono stati avvelenati o sepolti vivi. Alcune Chiese non aiutano a superare i pregiudizi, in quanto si sono verificati casi di pentecostali che hanno incatenato e torturato sospetti stregoni perché confessassero.
– S. E. R. Mons. Jaime Pedro GONÇALVES, Arcivescovo di Beira (MOZAMBICO)
Mons. Jaime P. Gonçalves ha presentato il caso dell’impegno della Chiesa nella riconciliazione dei popoli dell’Africa Australe, soprattutto a partire dal 1988,quando il compianto Papa Giovanni Paolo II visitò la regione. Lo sforzo della Chiesa e delle altre chiese e religioni, unito allo sforzo dei responsabili politici che cercavano la riconciliazione, diede buoni frutti. La violenza cessò e tra le popolazioni della regione ritornò la pace.
Ha presentato anche il caso del Mozambico in cui la Chiesa fece da mediatrice nelle trattative di riconciliazione per porre fine ad una guerra civile di 16 anni. Fu firmato un buon accordo di pace e il paese è tranquillo.
Riguardo a questa e ad altre iniziative in Africa, Mons. Jaime conclude che esse devono essere approfondite e promosse. Sono una speranza nel futuro di pace per la società dell’Africa. Ha sostenuto che la Chiesa deve formare riconciliatori e pacificatori per la risoluzione dei conflitti. I giovani devono partecipare alle pratiche di riconciliazione.
Ha insistito sul fatto che queste iniziative devono essere intensificate e consolidate perché nel mondo politico dell’Africa vi sono regressi, riprese di violenza, ritorno a dittature e persecuzioni politiche.
Infine, ha previsto un giubileo di riconciliazione per tutto il continente africano quale frutto di impegno di tutti per la riconciliazione.
– S. E. R. Mons. Théophile KABOY RUBONEKA, Vescovo Coadiutore di Goma (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
I conflitti e le guerre hanno portato la donna, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, a diventare vittima e oggetto. Su migliaia di donne sono state perpetrate, da tutti i gruppi armati, violenze sessuali massicce, come arma da guerra, in aperta violazione delle disposizioni giuridiche internazionali.
Partendo dalla nostra esperienza attuale nella Repubblica Democratica del Congo, per alleviare, per quanto poco, le conseguenze e i traumatismi subiti dalle donne e dai bambini, proponiamo quanto segue:
1. Lottare contro le violenze sessuali risalendo alla loro causa ultima che è la crisi della leadership che si manifesta con le guerre, i saccheggi e lo sfruttamento sregolato delle risorse naturali, la circolazione delle armi, il mantenimento delle milizie, l’assenza di un esercito forte e repubblicano, ecc.
2. La creazione di case della donna e della giovane come centri di ascolto e di accompagnamento delle donne violentate e traumatizzate.
3. Il coinvolgimento diretto delle donne nelle Commissioni “Giustizia e Pace”, perché le donne promuovano la pace e lottino contro le idee che vogliono svilirle, veicolate dalle nuova etica mondiale e da certe tradizioni culturali.
4. La formazione mediante la catechesi e l’alfabetizzazione coscientizzante della donna per consentirle di svolgere adeguatamente il proprio ruolo. Essa si articola in tre moduli: dignità e vocazione della donna, la donna come operatrice di pace e la donna in quanto attrice del cambiamento sociale.
5. La messa in opera di strutture di promozione della donna. Potrebbero essere delle organizzazioni femminili che si occupano di diverse attività a livello parrocchiale e diocesano, centri di formazione delle donne per la pace.
– S. E. R. Mons. Evariste NGOYAGOYE, Arcivescovo di Bujumbura, Presidente della Conferenza Episcopale (BURUNDI)
Nei tre paesi dei Grandi Laghi, le Conferenze episcopali si sono adoperate per riavvicinare i giovani in conflitto. I giovani, durante i conflitti che hanno contrapposto i loro paesi, sono stati usati e strumentalizzati. Per questo, l’identità unica ed esclusiva è stata imposta a quanti erano diversi. Questi ultimi erano considerati nemici, poiché non avevano nulla in comune con “noi”. Non condividono nemmeno la stessa umanità, quindi devono essere eliminati. Tutto ciò che costituisce l’identità plurale (religiosa, etnica, civica, sociale, ecc.) veniva soffocato a vantaggio dell’identità unica ed esclusiva. Molti studi nella regione dei Grandi Laghi, nei Balcani e altrove, hanno mostrato come la manipolazione di questa identità può essere micidiale. L’ideologia costruita su questa logica sfocia in un peccato sociale, collettivo, strutturale. I giovani che nascono, crescono e sono educati in questa ideologia sono deformati nella loro coscienza morale e nelle loro percezioni culturali. Mi auguro che la presente Assemblea si occupi delle conseguenze di questo peccato dalle dimensioni sociali.
Le Conferenze episcopali dei Grandi Laghi hanno lottato contro questa mentalità decidendo di:
1) riavvicinare i giovani;
2) rendere più accessibile e diffondere la Dottrina Sociale della Chiesa.
Par riavvicinare i giovani è stato necessario procedere a piccoli passi, attraverso i movimenti di laici (Azione Cattolica e movimenti di nuove comunità): inizialmente tra giovani di diversi quartieri e di colline diverse, poi tra parrocchie diverse, organizzando poi dei forum diocesani.
Al centro di questi incontri è sempre stato posto il contenuto della Dottrina Sociale della Chiesa: i temi della pace, della giustizia e della riconciliazione sono stati sviluppati sotto forma di catechesi e hanno alimentato la preghiera e gli scambi. Nel frattempo, la Commissione episcopale regionale di Giustizia e Pace ha elaborati dei moduli per rendere più accessibile a tutti questa dottrina.
– S. E. R. Mons. Marcel Honorat Léon AGBOTON, Arcivescovo di Cotonou, Vice Presidente della Conferenza Episcopale (BENIN)
La Chiesa d’Africa deve dunque continuare a annunciare la buona novella della riconciliazione e proporsi sempre di realizzarla attraverso i sacramenti, soprattutto quello della penitenza. Questa riconciliazione tramite il sacramento della Riconciliazione è indispensabile: è la prima e da essa, per il cristiano, deriva ogni altro gesto o atto di riconciliazione.
Auspico quindi che questo Sinodo ripeta una parola forte per mettere in primo piano, nella missione di riconciliazione della Chiesa, il sacramento della riconciliazione,
– innanzitutto al nostro livello, quello di sacerdoti e vescovi, ministri ordinati. Si tratta di dare nuovamente all’esercizio del ministero della riconciliazione attraverso il sacramento, un posto più importante nel programma pastorale di ogni sacerdote, come una sorta di esigenza essenziale del suo ministero quotidiano: ore di ascolto e di confessione, sia individualmente che come celebrazione comunitaria. Che tale insistenza venga iscritta nella coscienza dei futuri sacerdoti durante la loro formazione al pari della centralità dell’Eucarestia nella vita del sacerdote.
– successivamente a livello di tutto il popolo cristiano. Infatti, vissuti pienamente, i ministeri della riconciliazione fanno di coloro che seguono Gesù Cristo veri costruttori e agenti di pace. L’uomo giusto, giustificato in Cristo attraverso il ministero della Chiesa, è dunque un agente efficace per un mondo giusto e riconciliato. E i fedeli laici dovrebbero essere maggiormente agenti di riconciliazione e di pace, nel mondo.
– S. E. R. Mons. Jean-Claude MAKAYA LOEMBA, Ve
scovo di Pointe-Noire (REPUBBLICA DEL CONGO)
Nella realizzazione della missione, ci troviamo spesso di fronte a interlocutori che agiscono anch’essi secondo concezioni di giustizia molto diverse dalle nostre.
Infatti, nelle crisi sociali che attraversano le nostre società, ogni attore agisce pensando che la giustizia è dalla sua parte. È anche in grado di trovare argomentazioni, paladini e difensori per sostenere la sua azione. Questa realtà quando coinvolge leader politici e/o economici diviene più complessa nei nostri paesi.
Inoltre, spesso, dietro ogni leader politico e/o economico nelle nostre società africane, vi è un insieme di decisori o intimidatori (famiglie, clan, etnie, guru, politici stranieri, organizzazioni governative o non governative, per citarne solo alcuni). Spesso non sono conosciuti pubblicamente. Allora, la nostra parola profetica di Pastori non raggiunge il suo scopo perché si rivolge solo alla parte visibile della montagna cioè ai leader politici e/o economici dei nostri paesi. Come possono, la nostra parola e il nostro agire profetici, arrivare a coloro che muovono le fila nell’ombra e pretendono di non sapere niente di ciò che si trama?
Davanti a situazioni quali il moltiplicarsi delle milizie armate, i bambini soldato, la miseria che costringe i giovani ad arrangiarsi, le aziende che sfruttano le numerose ricchezze del sottosuolo africano, le nuove religiosità, la denuncia non è più sufficiente. Occorre andare oltre aprendo prospettive nuove, vie di speranza. Noi pastori non dobbiamo prendere il posto degli economisti o dei politici ma aiutare ogni cristiano, di qualsiasi condizione, a condurre una vita profondamente e autenticamente cristiana che apre nei cuori, nelle famiglie e nella società strade di riconciliazione, di giustizia e di pace.
– S. E. R. Mons. George BIGUZZI, S.X., Vescovo di Makeni, Presidente della Conferenza Episcopale (SIERRA LEONE)
Vorrei rivolgermi ai padri sinodali affinché facciano un appello inequivocabile per l’abolizione totale e universale della pena di morte.
Va detto inoltre che il trattamento disumano dei prigionieri di guerra, il sacrificio dei civili durante i conflitti e l’arruolamento di bambini-soldati sono crimini contro l’umanità, chiaramente espressi nella Convenzione di Ginevra e protocolli allegati. Il cammino verso la pace e la riconciliazione passa attraverso il riconoscimento, il rifiuto e la riparazione di questi crimini. La guerra non giustifica crimini contro l’umanità. La voce profetica della Chiesa si rende necessaria nonostante il fatto che non sono molti ad ascoltarla.
La Chiesa in Africa ha fatto passi da gigante verso l’autonomia economica, ma in molti casi abbiamo ancora bisogno del sostegno di altre Chiese. Sono certo di parlare a nome di altri vescovi quando esprimo la mia sincera gratitudine per l’aiuto incommensurabile ricevuto dalla Chiesa in Europa, nell’America del nord e in altre parti del mondo. La Chiesa, in molte parti dell’Africa sub-sahariana deve la sua prima evangelizzazione e la sua crescita all’impegno missionario della Chiesa del mondo occidentale.
Spesso la Chiesa del mondo occidentale convoglia il suo aiuto servendosi delle proprie strutture ecclesiali per lo sviluppo e la cooperazione oltremare. I nomi di tali organismi variano da paese a paese, ma si tratta di uffici cattolici nazionali. Abbastanza spesso, con nostra sorpresa, i dirigenti e i rappresentanti di tali uffici offrono sostegno o inaugurano progetti paralleli a – o addirittura fuori da – i nostri programmi pastorali, senza consultarsi con il vescovo locale o la Conferenza episcopale nazionale. Talvolta vengono prese decisioni su quali progetti finanziare, dove eseguirli e quale debba essere l’agenzia che li applichi, senza consultarsi con noi. Questo sistema umilia la Chiesa locale, rappresenta uno spreco di risorse, non garantisce la continuità e ignora il potenziale effetto evangelizzatore dell’opera della Chiesa nella società.
L’umile appello che rivolgo ai nostri fratelli vescovi della Chiesa occidentale è quello di stabilire chiare direttive per il personale che gestisce i loro uffici di sviluppo, affinché operino consultandoci e attingendo ai piani e alle priorità pastorali dei vescovi africani.
– S. E. R. Mons. Egidio NKAIJANABWO, Vescovo di Kasese (UGANDA)
Nella corso del dibattito è stato più volte osservato che noi, leader religiosi, dovremmo affrontare i nostri governi e protestare contro il loro malgoverno. Lo abbiamo fatto molte volte, ma non sembra che abbiamo molto successo. Quando protestiamo, talvolta ci rimproverano che stiamo interferendo nella politica e che dovremmo limitarci solo alle questioni religiose. Ritengono che stiamo sostenendo uno o l’altro partito dell’opposizione. Dovremmo far capire loro che le questioni religiose comprendono anche la difesa dei diritti delle persone.
La Madre Chiesa, nella sua saggezza, ci ha dato un modo per dimostrare che non stiamo facendo politica quando critichiamo il malgoverno. Nel Codice di Diritto Canonico, la Chiesa proibisce al clero di impegnarsi in una politica di parte e di assumere incarichi politici. Ciò comprometterebbe la nostra indipendenza e la nostra libertà (can. 285 e 287). Il governo e i suoi organi allora capiranno che state parlando come uomini di Dio che difendono i diritti del popolo di Dio.
Come il profeta Geremia, anche noi siamo inviati a pronunciarci contro gli abusi. Dio disse a Geremia: “va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti” (Ger 1, 7-8).
Un altro modo per portare un cambiamento consiste, come è stato detto, nel dare ai nostri cristiani un’istruzione più profonda nella fede e nella Dottrina Sociale della Chiesa, affinché seguano gli insegnamenti del Vangelo.
Quando diventeranno cristiani convinti e avranno imparato a conoscere i loro diritti umani, allora li mobiliteremo a tutti i livelli; il nostro sforzo deve esser volto specialmente ai consiglieri (rappresentanti politici) a livello locale e ai membri del parlamento a livello nazionale, affinché insieme possiamo eliminare la corruzione dai nostri paesi.
Ciò non dovrebbe essere impossibile, specialmente in un paese che ha una popolazione cristiana numerosa. Dopotutto, molti dei funzionari corrotti sono nostri cristiani.
Nella Undicesima Congregazione sono intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:
– Rev.da Suora Bernadette GUISSOU, S.I.C.O., Superiora Generale Suore dell’Immacolata Concezione, Ouagadougou (BURKINA FASO)
– Sig.ra Marguerite BARANKITSE, Fondatrice della Maison Shalom, Ruyigi (BURUNDI)
– Rev. P. Speratus KAMANZI, A.J., Superiore Generale degli Apostoli di Gesù, Nairobi (KENYA)
– Dott. Elard ALUMANDO, Direttore Nazionale del Programma DREAM (MALAWI)
– Prof. Alöyse Raymond NDIAYE, Presidente del Comitato Nazionale dei Cavalieri dell’Ordine di Malta in Senegal, Dakar (SENEGAL)
– Sig. Assandé Martial EBA, Membro della “Fondation Internationale Notre Dame de la Paix”, Yamoussoukro (COSTA D’AVORIO)
– Fr. André SENE, O.H., Responsabile della Pastorale della Salute nella diocesi di Thies (SENEGAL)
– Rev.da Suora Bernadette GUISSOU, S.I.C.O., Superiora Generale Suore dell’Immacolata Concezione, Ouagadougou (BURKINA FASO)
La Chiesa Famiglia di Dio fa parte ormai della categoria delle immagini più espressive e più positive per tutta la Chiesa. Dio ha creato la famiglia affinché essa sia il luogo in cui l’essere umano, dal momento del concepimento a quello della partenza da questo mondo, trovi un contesto adeguato al suo sviluppo naturale e al suo orientamento verso le realtà eterne.
Malgrado la dignità di cui Cristo l’ha rivestita, la famiglia è minacciata da controvalori: l’amore coniugale è troppo spesso profanato dall’egoismo, dall’edonismo e da pratiche illec
ite contro la fecondità (GS 47). Così, per esempio, vengono messe sullo stesso piano famiglie tradizionali, famiglie ricostituite, famiglie composte da genitori dello stesso sesso (cfr. Marguerite Peeters, La nouvelle éthique mondiale: Défis pour l’Eglise). L’impresa dello smantellamento della famiglia annovera successi. I sostenitori hanno raggiunto il loro scopo: i concetti ideologici hanno sostituito quelli che seguivano la natura delle cose; in diversi modi, un’etica mondiale veicolata da questi nuovi concetti ha preso il posto della morale e si impone sempre più come autorità normativa mondiale.
Di fronte al pericolo, il ritorno ai valori naturali della famiglia, l’auto comprensione dei cristiani come Famiglia di Dio e l’impegno ad assumere questa immagine della Chiesa, costituiscono un baluardo sicuro per fermare l’opera di smantellamento e distruzione. La famiglia è la prima cellula della società e della Chiesa. Tutto ciò che la danneggia colpisce allo stesso tempo la società e la Chiesa. A tutti i livelli della Chiesa di Cristo, casa della Famiglia di Dio, occorre analizzare e spiegare ai fedeli gli intrighi sovversivi dello smantellamento della famiglia e fare in modo che, sia nell’insegnamento magisteriale e catechetico che nella predicazione, i fedeli siano formati a una vita familiare radicata sui valori evangelici. Allo stesso tempo, la creazione effettiva delle comunità cristiane di base, veri luoghi di vita e di espressione concreta della Chiesa Famiglia di Dio, aiuterà a guarire le ferite delle famiglie per farne autentiche chiese domestiche secondo il piano di Dio.
– Sig.ra Marguerite BARANKITSE, Fondatrice della Maison Shalom, Ruyigi (BURUNDI)
Esattamente 16 anni fa, il Burundi piombava ancora una volta in una guerra civile che è durata 12 anni.
La mia testimonianza di oggi vuole sottolineare in che misura chi si dice cristiano possa rinnegare il battesimo quando intende difendere la propria appartenenza etnica.
Era il 24 ottobre 1993. Ci eravamo rifugiati nel Vescovado di Ruvigi; quando giunsero gli assassini, dato che erano della mia stessa etnia, sono uscita per prima per bloccarli. Il primo assassino mi ha risposto che prima di tutto era un Tutsi e che doveva vendicare i suoi fratelli e le sue sorelle di sangue. Gli ho risposto: “Non ho scelto di essere una Tsutsi ma il battesimo sì, l’ho scelto”.
Sebbene fossero cristiani, non hanno provato vergogna a uccidere davanti ai miei occhi. Oggi, senza chiedere perdono agli orfani che hanno lasciato, né al vescovo (poiché hanno bruciato il suo vescovado), continuano ad andare a messa senza mostrare sul volto alcuna vergogna.
Abbiamo imparato a tacere. I pastori tacciono, il gregge tace e continuiamo a celebrare la messa domenicale come un rito, non come una comunione fraterna.
È nelle regioni a maggioranza cristiana che troviamo molti bambini di strada, bambini soldato, bambini “stregoni”ecc. Non lasciamoli in mano solo alle ONG!
Si, cari pastori, cari religiosi e care religiose, i bambini hanno soltanto noi come famiglia e infatti ci chiamano “papà” e “mamma”. Abbiate il coraggio di aprire loro le porte dei vostri vescovadi, conventi, case, per offrire loro l’identità, l’affetto della famiglia.
Imitiamo quel vescovo de I Miserabili di Victor Hugo che aprì la sua cattedrale di notte per offrire ospitalità a tutti i poveri. Sì, dobbiamo avere il coraggio di fare della nostra Africa un luogo dove si può “vivere” bene.
– Rev. P. Speratus KAMANZI, A.J., Superiore Generale degli Apostoli di Gesù, Nairobi (KENYA)
L’Instrumentum laboris (113-114; 126-127) ci parla del ruolo delle persone consacrate come testimoni che aprono nuove prospettive a esperienze di riconciliazione, giustizia e pace. In effetti, i religiosi dell’Africa, uomini e donne, clericali e non clericali, che, secondo le statistiche del 2007, sono circa 85.040 (nel 2007 c’erano in Africa 23.154 sacerdoti, 7921 religiosi non clericali e 61.886 persone consacrate – cfr Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiae, Annuarium statisticum Ecclesiae 2007, Città del Vaticano 2009) hanno dato sapore alla Chiesa in Africa come sale della fede africana. Questi uomini e donne sono ora in cima alla collina come luce del mondo. Sono un’espressione dell’odierno sforzo missionario della Chiesa africana, non solo da una diocesi all’altra o da un paese africano all’altro, ma anche dall’Africa ad altri continenti.
Questa nuova espressione della Chiesa africana come luce del mondo si manifesta nella vita di molti sacerdoti e persone consacrate che sono missionari in altri continenti. Oggi, per esempio, 65 dei 400 membri, sacerdoti e fratelli, dell’Istituto religioso missionario degli Apostoli di Gesù, di cui sono Superiore generale, lavorano in America, Italia, Germania, Belgio e Australia. Sì, l’Africa, che ha ricevuto missionari dall’Europa e dall’America, invia ora i suoi figli e le sue figlie proprio nei continenti che ci hanno evangelizzati. Si sta compiendo anche oltre i confini del continente africano la profezia di Papa Paolo VI del 1969 a Kampala, quando disse che era giunto il momento per l’Africa di avere missionari propri.
Questa nuova impresa africana nel campo dell’evangelizzazione, come ogni altra esperienza pionieristica, comporta le sue sfide. Richiede incoraggiamento e sostegno. Io faccio cortesemente appello a voi, Padri sinodali e ad altri livelli delle autorità ecclesiali, di contribuire a mantenere accesa questa torcia, così che questi missionari africani oltremare diventino autentico sale africano della terra e luce del mondo. Questo impegno missionario, se ben guidato e diretto, certamente è a beneficio della Chiesa universale. Esige la nostra collaborazione a tutti i livelli, soprattutto individuando quanti emigrano in Europa o in America spacciandosi per missionari, mentre in effetti non hanno ricevuto alcun mandato dall’autorità ecclesiale.
– Dott. Elard ALUMANDO, Direttore Nazionale del Programma DREAM (MALAWI)
Il programma DREAM si occupa delle persone affette da Hiv/Aids. Dal 2001 si è preso cura di oltre ottantamila persone in Mozambico, in Malawi e in un totale di dieci paesi africani. Curare l’Aids è una risposta autentica alla ricerca di vita e di guarigione manifestata da questa gente. Ritengo che curare i malati sia il vero modo per prevenire la diffusione dell’Aids in Africa, come ha detto il Santo Padre con autorevolezza durante la sua visita in Camerun.
Sono testimone di molte storie di risurrezione di persone che erano malate, specialmente di donne e bambini: donne considerate morte, che hanno ripreso a lavorare; donne uscite dagli abissi profondi della condanna a causa dell’Aids, dalla prigione dello stigma sociale, e che hanno riconquistato il loro posto nella vita della loro città. Ho visto donne guarite che aiutano altre donne ad affrontare le cure, che convincono perfino i loro mariti a non aver paura, che aiutano tutti a seguire con attenzione il trattamento. Ho visto bambini nati sani, liberi dal virus, e ce ne sono già diverse migliaia.
Questi atti di guarigione sono altrettante storie di risurrezione e di amicizia; sono frutto del gioioso, intenso e duro lavoro svolto da noi di Sant’Egidio in Africa, insieme con i nostri fratelli e le nostre sorelle europei della Comunità.
La comunione tra Europa e Africa è stata efficace anche dal punto di vista scientifico. Il trattamento somministrato dal programma DREAM in Africa è lo stesso utilizzato in Occidente. I centri DREAM offrono la triterapia più recente. Grazie a questa collaborazione, i medici e il personale sanitario sono stati formati in Africa e i risultati sono eccellenti.
Tutti i trattamenti e il sostegno alimentare offerti ai pazienti sono gratuiti. Nel nostro mondo governato dal denaro e dalla corruzione, la gratuità è importante.
Ritengo che attraverso il programma DREAM possiamo guardare alla malattia e alla guarigion
e nella prospettiva del Vangelo e della Chiesa, sottraendole alla stregoneria e alla mistificazione delle sette, purtroppo tanto diffuse nel nostro caro continente africano.
Questi atti di guarigione non sono miracoli misteriosi e incomprensibili, bensì frutto del lavoro, della comunione, della preghiera e dell’amore del Vangelo, ed è questo il vero miracolo.
– Prof. Alöyse Raymond NDIAYE, Presidente del Comitato Nazionale dei Cavalieri dell’Ordine di Malta in Senegal, Dakar (SENEGAL)
Nel documento di lavoro si dice chiaramente “che i politici, uomini e donne, dimostrano una grave mancanza di cultura in materia politica”. Ciò dunque spiega il loro disprezzo per i diritti umani che essi violano con leggerezza, senza rimorsi, con un sentimento di totale impunità. Quanto al loro rapporto con la religione e le istituzioni religiose, essi non sembrano comprenderle e non se ne interessano se non per strumentalizzarle a fini tutt’altro che spirituali. Sono incapaci peraltro di concepire che si possa risolvere una controversia altrimenti che con la forza, con la violenza.Léopold Sédar Senghor, poeta e umanista cristiano, quando era in vita, aveva già espresso la stessa opinione, attribuendo alla mancanza di cultura dei suoi pari i colpi di stato, i regimi dittatoriali e sanguinari, la sottrazione di denaro pubblico, le violazioni dei diritti umani in Africa. L’incultura dei dirigenti genera la loro intolleranza, il loro dispotismo. Se i conflitti in Africa durano tanto a lungo, è sicuramente perché sono gestiti da politici, senza cultura e senza cuore, preoccupati di salvaguardare i propri interessi personali piuttosto che di promuovere la pace. Ciò che si mette qui in evidenza è il problema della formazione dei nostri governanti che può essere, in effetti, un ostacolo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Da qui deriva il ruolo dell’Educazione.
L’Educazione è il settore in cui le Chiese africane si adoperano da molto tempo. Il loro impegno, apprezzato dai fedeli e dalla popolazione, malgrado qualche difficoltà, li ha condotti oggi a dotarsi di una rete notevole di università cattoliche chiamate a svilupparsi. Occorre definire prima che cosa sia la cultura e il suo rapporto con l’università. Poiché l’università è il luogo in cui si preparano i futuri dirigenti, è di essa che dobbiamo occuparci.
In genere l’università viene definita come il luogo di produzione e di trasmissione del sapere e del saper fare. Per rispondere alla sua vocazione di universitas, essa non deve limitare il suo insegnamento e i suoi studi a ciò che è utile. Non deve limitarsi a sviluppare solo le attitudini intellettuali, escludendo quelle che danno risalto alla sensibilità. Come dice Pascal, “c’è la ragione, c’è il cuore”. Essa non deve esaminare le scienze separatamente, senza preoccuparsi di ciò che le unisce. L’universitas è l’esigenza di totalità o di universalità, l’esigenza di unità. Tener conto di questa esigenza fa dell’università un luogo di cultura.
Ogni forma di arte – dice Senghor – è poesia.. La poesia è musica. La poesia è amore. Quindi, da parte delle università cattoliche, tener conto dell’arte, delle Belle Arti, del patrimonio culturale e artistico dell’Africa, al tempo stesso patrimonio dell’umanità, nella sua diversità e ricchezza, contribuisce alla promozione della cultura e al riconoscimento dell’uomo, incentiva gli scambi e il dialogo, fonte di arricchimento e riconoscimento mutui. Sono, infatti, la non conoscenza dell’altro e la mancanza di cultura, la causa, per lo più, dei nostri conflitti.
– Sig. Assandé Martial EBA, Membro della “Fondation Internationale Notre Dame de la Paix”, Yamoussoukro (COSTA D’AVORIO)
In questi anni abbiamo dovuto procedere a delle riconciliazioni per mantenere la pace sociale nelle diverse situazioni.
Siamo stati chiamati diverse volte per portare avanti delle riconciliazioni nei gruppi e movimenti della parrocchia.
Per mantenere la pace sociale nel nostro villaggio e soprattutto perché vi regni la giustizia, abbiamo istituito un Consiglio dei Saggi, di cui facciamo parte, che opera al fianco della circoscrizione territoriale, per la riconciliazione nelle famiglie che vivono dei conflitti.
Al fine di mantenere la coesione tra i lavoratori e soprattutto di far regnare la giustizia e la pace sociale, abbiamo sempre consigliato e sollecitato i datori di lavoro a mettere in atto strumenti di buongoverno in grado di assicurare all’impresa una buona cultura di giustizia, garante della pace sociale.
Al fine di favorire l’emergere di un nuovo genere di laici, dei laici leader, capaci di mantenere alta la fiamma della fede nel loro ambiente, per farvi regnare la giustizia e la pace e, soprattutto, dimostrarsi veri agenti di riconciliazione, per il progresso della Chiesa in Africa e per un futuro migliore del nostro continente, auspichiamo che questo Sinodo approfondisca le seguenti soluzioni:
– Realizzare un nuovo metodo di catechesi adeguata, che tenga conto dell’aspetto della conversione dei cuori.
– Favorire la formazione spirituale, civica, morale e politica dei laici riguardo alla Dottrina Sociale della Chiesa.
– Introdurre nel programma di formazione dei seminaristi la gestione contabile e finanziaria delle parrocchie e delle altre strutture diocesane.
– Favorire la realizzazione di Associazioni in diversi settori di attività e assegnare loro dei cappellani.
– Favorire la realizzazione di una struttura di laici che operi in stretta collaborazione con le Conferenze episcopali per studiare, analizzare e dare pareri su tutte le questioni importanti della vita delle Chiese.
– Favorire l’istituzione del diaconato permanente e il servizio degli ordini minori.
– Fr. André SENE, O.H., Responsabile della Pastorale della Salute nella diocesi di Thies (SENEGAL)
La mancanza d’interesse della comunità internazionale e dei nostri paesi in particolare per la sorte, particolarmente dolorosa, di questi malati non può nascondere le prove evidenti che, secondo alcune grandi ricerche a livello mondiale sulla salute mentale, la prevalenza delle malattie mentali è molto elevata in numerosi paesi in via di sviluppo.
Fino a questo momento, per quanto mi è noto, non c’è nessun programma di finanziamento da parte delle organizzazioni internazionali o nazionali per la salute mentale.
Secondo l’OMS, le malattie mentali sono al terzo posto tra le malattie in termini di prevalenza e sono responsabili di un quarto delle invalidità.
Dove sono i malati mentali?
– Per le strade della maggior parte delle nostre città; è difficile percorrere le strade delle nostre città senza trovare un malato mentale.
– In qualche raro ospedale psichiatrico.
– Le culture africane, in generale, hanno ancora qualche difficoltà a eliminare la confusione: malato mentale uguale a posseduto. Spesso questi malati non vengono riconosciuti, sono motivo di vergogna per la famiglia e, nella maggior parte dei casi, vengono tenuti nascosti. Bisogna guarire le nostre culture da questa ignoranza.
Le gravi debolezze dell’Africa in questo ambito, certamente accentuate dalla povertà e dai conflitti, sfidano la Chiesa- Famiglia di Dio in Africa a inscrivere la dimensione socio-sanitaria nel suo programma di pratica della fede, per continuare a denunciare l’indifferenza dei nostri governi verso il rispetto e le cure da prestare ai malati mentali e alle persone tossicodipendenti.
Bisogna guarire i malati e curare le ferite di coloro che credono di aver perso tutto, ferite che purtroppo avranno bisogno di molto tempo per rimarginarsi. Ma serve soprattutto la prevenzione.