Interventi per la dodicesima Congregazione generale del 12 ottobre (pomeriggio)

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 13 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo lunedì pomeriggio nell’undicesima Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi sull’Africa.

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– S. E. R. Mons. Robert MUHIIRWA, Vescovo di Fort Portal (UGANDA)

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Parlo della grande sfida della povertà alla quale assisto nel mio paese, l’Uganda, e in particolare nella mia diocesi di Fort Portal, che ha una popolazione di circa un milione di cattolici, con pressappoco 2000 catechisti. Ritengo che la mia diocesi, come molte altre in Africa, abbia un grande potenziale. Per esempio, della buona terra nelle aree rurali, città piccole e grandi. Ma nella situazione finanziaria attuale, non siamo capaci di sviluppare questa terra e di sostenerci economicamente. È per questo che continuiamo a chiedere aiuti finanziari alle nostre Chiese sorelle in Europa, in America e in altri paesi sviluppati, al fine di poter costruire chiese, rettorie per le nostre parrocchie e conventi, per avere mezzi di trasporto così da poter svolgere i nostri impegni pastorali, ecc. Siamo certamente grati per tutto l’aiuto che riceviamo.
Tuttavia, se vogliamo essere una Chiesa matura, una Chiesa viva che sia autosufficiente e si diffonda, dobbiamo diventare anche più autonomi e dipendere dalle risorse che noi stessi riusciamo a raccogliere, ponendoci in una posizione tale da poter sostenere i programmi della Chiesa e offrire una giusta retribuzione ai nostri catechisti, ai religiosi e anche ai sacerdoti, poiché ciò potrebbe aiutarli a non abbandonare volontariamente le nostre diocesi per cercare pascoli più ricchi altrove. Oltre a tutto ciò, dobbiamo realizzare programmi per i giovani, affinché non vengano circuiti dai musulmani e dalle chiese pentecostali, che stanno riversando milioni di dollari nei nostri paesi per attirarli verso la loro religione.
Potremmo avere un dialogo maggiore sul modo in cui le nostre Chiese o diocesi sorelle nel mondo sviluppato ci assistono? Per esempio, aiutando le diocesi sorelle e le conferenze riguardo alle possibilità di fare investimenti per essere autonome, così da essere in grado di pagare uno stipendio ai nostri agenti di pastorale, specialmente i catechisti e altri? Riusciamo a ideare da soli dei programmi pastorali, superando la sindrome di dipendenza che fa sì che alcuni donatori si siano stancati? Lasciate che la saggezza del seguente motto riassuma il mio intervento: “Date a un uomo un pesce ed egli verrà da voi tutti i giorni, ma dategli un amo ed egli pescherà da solo ogni giorno”.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Kyrillos WILLIAM, Vescovo di Assiut dei Copti (EGITTO)

Su una popolazione totale di 80 milioni di persone, in Egitto i cristiani sono circa 10 milioni, di cui circa trecento mila cattolici, suddivisi tra copti cattolici, che formano la maggioranza, melkiti, maroniti, siri, armeni, caldei e qualche latino.La Chiesa cattolica in Egitto è una piccola comunità che mantiene la propria caratteristica di Chiesa universale; ha anche le stesse preoccupazioni di tutte le Chiese in Africa, pur avendo la sua specificità poiché vive in un contesto arabo-musulmano diverso da quello degli altri paesi africani.
Essa è anche una Chiesa locale ricca di tradizioni, di culture, di riti e con una liturgia propria.
La Chiesa in Egitto è presente attraverso le attività socio-pastorali svolte dalle diocesi, dalle congregazioni religiose e dagli organismi laici.
Questa presenza di manifesta in diversi modi:
Diamo la priorità all’educazione. Attraverso la scuola, formiamo il bambino alla tolleranza, al rispetto dell’altro e ai valori umani. Questa formazione crea dei ponti tra i diversi ambiti religiosi e sociali.
Lo sviluppo socio-economico, come la promozione della donna, l’animazione rurale (alfabetizzazione, salute, microprogetti, ecc.).
Alcune sfide della Chiesa cattolica in Egitto: il fondamentalismo religioso, l’emigrazione dei quadri cristiani, i rifugiati, il lavoro ecumenico che lascia a desiderare, la formazione adeguata dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose per far fronte ai cambiamenti della società egiziana con le sue nuove esigenze. Promuovere la comunione tra i diversi riti e i nuovi movimenti in seno alla Chiesa.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Philippe RANAIVOMANANA, Vescovo di Ihosy (MADAGASCAR)

Non si può fare altro che ringraziare gli organismi europei, cattolici e non, che hanno aiutato finanziariamente e materialmente le Chiese dell’emisfero sud e alcune diocesi a dotarsi di questi mezzi. La Chiesa in Africa è riconoscente al Nord per i diversi aiuti.
Tuttavia, spesso agli aiuti sono legate delle condizioni da parte dei donatori. Molti programmi della Chiesa in Africa dipendono ancora largamente dalle condizioni poste dai donatori. Questa situazione rischia da una parte di mettere un’ipoteca sull’autonomia e la proprietà dei programmi e dall’altra di portare alla realizzazione di progetti o strutture non adatti alla Chiesa locale e a chi ne deve beneficiare. Per questo sono necessari fiducia e comprensione reciproca delle due parti, al fine di evitare regali avvelenati.
L’investimento nei mezzi di comunicazione sociale deve servire a raggiungere i villaggi isolati e tagliati fuori dal mondo; i contadini, che costituiscono l’85% della popolazione, non hanno accesso all’informazione e alla formazione, venendo così privati dei diritti e dei doveri elementari di cittadini e di cristiani, mentre sono chiamati a essere artefici di riconciliazione, di pace e di giustizia.
La formazione di personale per gestire questi mezzi altamente tecnologici in continua evoluzione è costosa! La formazione, che spesso deve essere svolta in Europa, è una necessità, ma rimane al di fuori delle possibilità economiche della diocesi. D’altra parte, per ben evangelizzare i media, occorre che gli animatori abbiano una solida formazione cristiana. È questa la condizione per la riuscita…
La realizzazione di radio diocesane è volta anzitutto alla comunione in ciascuna diocesi. Ma la realizzazione di una rete satellitare contribuirà fortemente agli scambi e alla condivisione a livello interdiocesano e nazionale, attraverso un programma comune. Ha la missione di favorire la comunione nell’impegno di evangelizzazione nelle diocesi.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kinshasa (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

La pace va di pari passo con la giustizia, la giustizia con il diritto e il diritto con la verità.
Senza la giustizia, la pace sociale è messa male. Occorre dunque a ogni costo promuovere gli stati di diritto, in cui vi sia il primato del diritto, soprattutto il diritto costituzionale; stati di diritto in cui l’arbitrarietà e la soggettività non creino la legge della giungla; stati di diritto in cui la sovranità nazionale sia riconosciuta e rispettata; stati di diritto in cui a ciascuno venga dato in modo equo ciò che gli è dovuto.
Senza la verità è difficile assicurare la giustizia e proclamare il diritto. La concseguenza sarebbe che diritto e non diritto avrebbero pari diritto di cittadinanza; ciò renderebbe impossibile un ordine armonioso delle cose, ossia la “tranquillitas ordinis”. “Nella verità, la pace” (Benedetto XVI).
Ecco perché nel ricercare soluzioni di pace, tutti i cammini, specialmente quelli diplomatici e politici, dovranno essere orientati a ristabilire la verità, la giustizia e il diritto.
Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto la pace, ha proclamato la pace, poiché ha fatto, di ebrei e pagani, un solo popolo. E ciò non lasciando agli uni o agli altri i loro privilegi e i loro diritti, ma abolendo l’esclusione, abbattendo il muro di separazione culturale e sociale, distruggendo l’odio che lo ha crocifisso nel corpo sulla croce. Ebrei e gentili non sono più estranei, persone distanti, bensì persone vicine, concittadini dei santi, gli uni e gli altri partecipano alla stessa eredità (Ef 3, 6), appartenendo da allora a un solo Israele. Egli ha fatto così un uomo nuovo, per riconciliarli entrambi a Dio e per dare loro accesso al Padre per mezzo dello Spirito.
È eliminando tutte le barriere, l’esclusione, le leggi discriminatorie nel culto e nella società, e soprattutto sopprimendo l’odio, che si ricon
ciliano gli uomini e si fa la pace.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Raymond Leo BURKE, Arcivescovo emerito di Saint Louis, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)

La Chiesa, come Sposa di Cristo, è lo specchio della giustizia. Deve annunciare e salvaguardare la verità che, citando le parole di papa Benedetto XVI, “sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale” (Caritas in veritate, n. 9). Il suo insegnamento e la sua disciplina riguardo al santo matrimonio, per mezzo del quale la famiglia, cellula primaria della vita della Chiesa e della società, viene formata e alimentata, è fondamentale per la sua fedeltà coma specchio della giustizia nel mondo.
Il tribunale ecclesiastico, dove il vescovo diocesano esercita la sua funzione di giudice a favore dei fedeli che accusano di nullità il proprio matrimonio, è una parte essenziale del ministero di giustizia della Chiesa. Ogni vescovo deve aver cura, pertanto, a istituire e far funzionare in modo giusto il tribunale ecclesiastico, responsabilità alla quale può adempiere anche congiuntamente, attraverso un tribunale interdiocesano.
Nella cultura contemporanea è fondamentale che la Chiesa annunci la verità sull’unione coniugale tra un uomo e una donna, che è per sua stessa natura esclusiva, indissolubile e ordinata alla procreazione. L’osservanza, da parte dei fedeli, della disciplina della Chiesa riguardo al matrimonio è uno degli strumenti collaudati per “assistere le coppie e guidare le famiglie nelle sfide che incontrano” e per purificare la cultura secolare da pratiche come i “matrimoni forzati” e la poligamia.
Le decisioni del tribunale ecclesiastico rispecchiano, per i fedeli e per la società in generale, la verità sul matrimonio e sulla famiglia. I ministri del tribunale, pertanto, devono essere ben preparati attraverso lo studio del diritto canonico e l’esperienza.
Con la celebrazione di questa Assemblea speciale, possa la Chiesa, attingendo allo spirito peculiare della cultura africana, essere in modo sempre più perfetto lo specchio della giustizia relativa al matrimonio e alla famiglia per il bene dei popoli dell’Africa e del mondo intero!

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Tesfaselassie MEDHIN, Vescovo di Adigrat (ETIOPIA)

Ritengo che non sia stata dedicata sufficiente attenzione alla formazione, che è un tema centrale per la Chiesa in Africa mentre svolge il suo servizio per la riconciliazione, la giustizia e la pace come “… sale della terra … e luce del mondo”.
La Chiesa svolge la sua missione attraverso le sue strutture e istituzioni, e più concretamente attraverso i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti e i fedeli laici che, al loro rispettivo livello, devono essere guida e modello nelle comunità cristiane, come “riconciliatori”, “persone giuste”, “artefici di pace”.
La formazione dei sacerdoti è fondamentale se si vuole realizzare questo obiettivo.
Dobbiamo pertanto assicurare che la formazione che impartiamo ai nostri futuri sacerdoti e agenti di evangelizzazione li aiuti a essere consapevoli delle sfide, ad essere ministri sicuri di sé, equilibrati e maturi, in grado di resistere e di superare le gravi turbolenze del tempo.
Raccomandazioni:
– Vi è la forte esigenza di comprendere le pressioni distruttive e le sfide con cui si confrontano le nostre società in Africa oggi, con una particolare attenzione per le famiglie e i giovani. Ciò esige dalla Chiesa la realizzazione di programmi di formazione più specifici.
– I programmi di formazione nei Seminari maggiori e nelle Case di formazione religiose richiedono grande attenzione e una intensa valutazione, al fine di determinarne la qualità e l’efficacia nel formare membri della Chiesa che possano essere testimoni autentici della riconciliazione, della giustizia e della pace.
– Utilizzare i nostri istituti di studi superiori istituendo una facoltà che sviluppi e integri nei propri programmi, per quanto riguarda i meccanismi di riconciliazione, le pratiche migliori e i modi culturali africani più efficaci, per provvedere alla formazione di personale al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, che potrebbe svolgere il proprio servizio a livello nazionale, regionale e continentale secondo le esigenze.
– L’apprezzamento delle diversità nelle nostre società africane è una realtà da non sottovalutare.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Norbert Wendelin MTEGA, Arcivescovo di Songea (TANZANIA)

Molta nostra gente viene torturata, perseguitata e assassinata solo a causa di sospetti maligni infondati, fomentati dalla magia e dagli stregoni. Non ci sono leggi per difendere le persone, i governi condonano, alcuni leader cospirano con gli stregoni, qualche governo legalizza. Molti leader credono alla stregoneria, alla superstizione e all’occulto. Occorrono un’evangelizzazione più profonda, sostegno e una voce profetica rivolta ai nostri governi.
La sopravvivenza degli agricoltori è difficile. Spesso la loro sofferenza non è contemplata nei bilanci dei nostri governi, e ancora più spesso vengono ingannati. La Chiesa in Africa deve lottare per gli agricoltori e i pastoralisti: essi devono ricevere la giusta considerazione nel bilancio; occorre garantire loro infrastrutture di base e le necessità fondamentali per il loro lavoro e i loro prodotti; devono essere prese delle misure per mercati stabili e validi, devono essere protetti i mercati interni e devono essere introdotti al risparmio e ai prestiti attraverso le cooperative di microfinanza.
Per i nostri politici, pace significa “un clima tranquillo che consenta loro di rubare e godersi i soldi del loro paese”. Per loro, libere e giuste elezioni significa “successo nel portare le persone alle urne nella totale ignoranza dei loro diritti e delle manovre subdole dei candidati”. I politici ritengono che essere eletti significhi avere il lasciapassare per rapinare il paese.
Amiamo i musulmani. Vivere con loro fa parte della nostra storia e cultura. Ma il pericolo che minaccia la libertà dell’Africa, la sovranità, la democrazia e i diritti umani è in primo luogo il fattore politico islamico, ossia il progetto voluto e il processo chiaro di “identificare l’islam con la politica e viceversa” in ciascuno dei nostri paesi africani. In secondo luogo c’è il fattore monetario islamico, mediante il quale grandi somme di denaro provenienti da paesi esteri vengono riversate nei nostri paesi per destabilizzare la pace e sradicare il cristianesimo.
L’etnicità è un cancro che tormenta l’Africa. Dobbiamo subito inculcare la riconciliazione come nostra spiritualità e vita oltre che come nostra azione immediata.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Iskanderiya degli Armeni (EGITTO)

Vorrei rendervi partecipi della testimonianza data dalla Chiesa armena, che dal genocidio del 1915 è presente in tutto il mondo nella sua diaspora.
Nel 1915 gli ottomani, spinti da gelosia, hanno massacrato il popolo armeno presente nella grande Armenia e nella piccola Armenia (Turchia). Un milione e mezzo di persone sono morte in questo genocidio.
Gli armeni sono partiti disperdendosi prima in Medio Oriente, poi nel mondo intero. Ovunque si sia stabilita, la Chiesa armena è stata accolta e ha portato con sé la sua lingua, la sua fede, le sue tradizioni e la sua cultura.
Nel 2001 abbiamo celebrato i 1700 anni del battesimo dell’Armenia e papa Giovanni Paolo II ha beatificato l’arcivescovo di Mardine, Ignazio Maloyan, il quale, alla testa del suo popolo, ha dato la vita per non rinnegare la fede in Cristo.
In questo momento in cui si svolge il sinodo, vale a dire 94 anni dopo quel massacro, in seguito all’appello di Cristo di perdonare i propri nemici, i dirigenti dello stat
o armeno e i capi delle Chiese in Armenia (cattolica, ortodossa ed evangelica) compiono un atto pubblico di perdono nei confronti dei turchi. Lo compiamo domandando ai turchi di riconoscere il genocidio, di rendere omaggio ai martiri e di concedere agli armeni i loro diritti civili, politici e religiosi.
Il cammino di riconciliazione tra i due stati è già stato intrapreso.
Per questo, faccio appello ai dirigenti politici, affinché sostengano il nostro andare verso i turchi, con la Chiesa universale e la Chiesa africana nel bisogno.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Denis WIEHE, C.S.Sp., Vescovo di Port Victoria, Presidente della Conferenza Episcopale (C.E.D.O.I.) (SEYCHELLES)

Le piccole isole dell’Oceano Indiano (Comore, Réunion, Mauritius, Rodrigues e Seychelles), per la loro situazione geografica, la loro storia e, in particolare la loro popolazione, sono molto diverse dai grandi paesi del continente africano, poiché sono tributarie non solo dell’Africa, ma anche dell’Asia e dell’Europa. Tuttavia, a livello pastorale abbiamo in comune diverse questioni, per esempio alcuni problemi riguardanti la famiglia.
I cristiani che si uniscono al Cammino Neocatecumenale vengono profondamente trasformati. Nel corso delle mie visite pastorali presso l’una o l’altra famiglia sono stato testimone dell’armonia nei rapporti della coppia e nei rapporti genitori-figli, e anche della preghiera regolare e profonda in famiglia.
Le “sessioni CANA” organizzate dalla Comunità del Nuovo Cammino: ogni volta vi partecipano una ventina di coppie, che trascorrono insieme una settimana; viene proposto loro questo tempo per riscoprire il significato vero della loro vita di coppia e di famiglia. Allo stesso tempo, in un altro luogo, i figli di queste famiglie seguono un tempo di formazione simile, con una pedagogia adattata alla loro età. Durante l’ultimo giorno della sessione, i genitori e i figli si ritrovano per una festa in famiglia con tutti i partecipanti. Successivamente, dopo la sessione, alle coppie vengono proposte diverse attività, tra cui la partecipazione alle “Fraternità CANA”.
“Couples for Christ” (“Le coppie per Cristo”), comunità laica giunta dalle Filippine, propone programmi di formazione non soltanto per le coppie, ma anche per i giovani che si preparano al matrimonio, per gli adolescenti e per i bambini. I diversi programmi proposti sono animati da canti che piacciono molto ai giovani… e anche ai meno giovani.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Ludwig SCHICK, Arcivescovo di Bamberg, Presidente della Commissione “Weltkirche” della Conferenza Episcopale Tedesca (GERMANIA)

Molta nostra gente viene torturata, perseguitata e assassinata solo a causa di sospetti maligni infondati, fomentati dalla magia e dagli stregoni. Non ci sono leggi per difendere le persone, i governi condonano, alcuni leader cospirano con gli stregoni, qualche governo legalizza. Molti leader credono alla stregoneria, alla superstizione e all’occulto. Occorrono un’evangelizzazione più profonda, sostegno e una voce profetica rivolta ai nostri governi.
La sopravvivenza degli agricoltori è difficile. Spesso la loro sofferenza non è contemplata nei bilanci dei nostri governi, e ancora più spesso vengono ingannati. La Chiesa in Africa deve lottare per gli agricoltori e i pastoralisti: essi devono ricevere la giusta considerazione nel bilancio; occorre garantire loro infrastrutture di base e le necessità fondamentali per il loro lavoro e i loro prodotti; devono essere prese delle misure per mercati stabili e validi, devono essere protetti i mercati interni e devono essere introdotti al risparmio e ai prestiti attraverso le cooperative di microfinanza.
Per i nostri politici, pace significa “un clima tranquillo che consenta loro di rubare e godersi i soldi del loro paese”. Per loro, libere e giuste elezioni significa “successo nel portare le persone alle urne nella totale ignoranza dei loro diritti e delle manovre subdole dei candidati”. I politici ritengono che essere eletti significhi avere il lasciapassare per rapinare il paese.
Amiamo i musulmani. Vivere con loro fa parte della nostra storia e cultura. Ma il pericolo che minaccia la libertà dell’Africa, la sovranità, la democrazia e i diritti umani è in primo luogo il fattore politico islamico, ossia il progetto voluto e il processo chiaro di “identificare l’islam con la politica e viceversa” in ciascuno dei nostri paesi africani. In secondo luogo c’è il fattore monetario islamico, mediante il quale grandi somme di denaro provenienti da paesi esteri vengono riversate nei nostri paesi per destabilizzare la pace e sradicare il cristianesimo.
L’etnicità è un cancro che tormenta l’Africa. Dobbiamo subito inculcare la riconciliazione come nostra spiritualità e vita oltre che come nostra azione immediata.

[Testo originale: inglese]

Quindi, sono intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:

– Dott. Alberto PIATTI, Segretario Generale Fondazione AVSI, Milano (ITALIA)

Il più grande tesoro dell’Africa è la sete di Significato, di spiritualità di Dio – che nella sazia Europa non c’è più. La rivelazione che Cristo è la risposta a questo desiderio dell’essere umano fatto per il suo compimento dal suo creatore, compimento qui ed ora nella Santa Chiesa.
Questo è il fascino della Fede che incontra e si propone alla libertà dell’uomo. Questo attira i giovani. Dico fascino perché vivo con mia moglie l’avventura di crescere ed educare 5 figli (quasi una famiglia africana).
Ciò che muove è il fascino della fede come conoscenza della realtà nella sua verità profonda, non certo delle regole e delle conseguenze etiche o ambientali.
Mi permetto di porre alla vostra riflessione se questa tensione molte volte non sembra essere una premessa, ma poi nell’azione questa tensione non tiene, si introduce un dualismo e un relativismo nelle conseguenze operative, nelle nostre opere. Così la nostra agenda troppe volte sembra coincidere con l’agenda degli organismi internazionali e in particolare delle Nazioni Unite, il palazzo di vetro sembra sempre più il tempio dove si celebra il rito della nuova religione umanitaria e relativista con il Segretario Generale di turno che assume le vesti di un papa laico.
Mi riferisco per sinteticità a due aspetti fondamentali della nostra espressione caritativa educazione e salute.
Per questo riteniamo che l’educazione permanente sia fattore determinante della coscienza dei fedeli tesa al rapporto tra Creatore e creato anche nell’azione. Non solo istruzione formale quindi. Ma qui sorge la domanda: quali sono i contenuti educativi trasmessi nella scuole cattoliche? Non possiamo accontentarci di quanto prevedono gli obiettivi del millennio.
Richiamo anche l’urgenza che si prenda coscienza del valore della dignità civile e sociale delle opere della Chiesa come contributo al bene comune secondo il principio di sussidiarietà. La Chiesa offre educazione primaria al 50% della popolazione scolastica e il 50% per cento dei servizi sanitari di base in molti Paesi del continente africano e questo non viene riconosciuto adeguatamente.
A fronte di queste dimensioni del servizio offerto ai fratelli dalla Chiesa, il fondo globale per le tre grandi malattie destina solo il 3,6% di tutte le risorse che gestisce alle Faith Based Organization complessivamente.
La conferenza episcopale ugandese ha, in questo senso, operato mirabilmente ma molto si può fare ancora.

[Testo originale: italiano]

– Sig. Ermelindo Rosário MONTEIRO, Segretario Generale della Commissione Episcopale Giustizia e Pace, Maputo (MOZAMBICO)

La Chiesa in Africa deve affrontare molte sfide. In Mozambico, per esempio, durante e dopo la guerra civile, la Chiesa cattolica ha collaborato in modi diversi per formare la coscienza delle persone al perdono e alla riconciliazione nazionale e così recuperare il tessuto umano e sociale del popolo, in vista della pace. Ha organizzato l’unione di tutte le sue forze vive (laici, religiosi, sacerdoti) per mobilitare l’opinione pubblica sul perdono
e la riconciliazione. Ha promosso l’educazione del popolo alla pace, mediante dichiarazioni pubbliche dei suoi Vescovi in lettere, comunicati ed esortazioni pastorali. Gli stessi vescovi hanno tenuto incontri sistematici di dialogo con le autorità governative e con i responsabili del movimento di Resistenza Nazionale per sottolineare che non erano le armi, ma il dialogo, la via più giusta per raggiungere la pace. La Chiesa inoltre ha formato più di 2000 operatori sociali di integrazione (animatori della riconciliazione) che hanno portato in tutto il paese il messaggio di perdono e riconciliazione per la pace. Il venerdì era dedicato alle preghiere per la pace. In altre occasioni si teneva una preghiera ecumenica e inter-religiosa per la pace.
Di fronte alle nuove realtà e alle nuove sfide attuali occorre considerare anche aspetti interni della Chiesa che possono costituire una contro testimonianza di riconciliazione e di giustizia, rendendo così difficile la costruzione della pace.
Per tutte queste cose e altro ancora, vorrei suggerire ai nostri pastori che continuino a insistere sull’annuncio della verità e sulla denuncia di tutto quanto possa ferire la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, perché il vostro impegno pieno disinteressato, Signori Vescovi, è un esempio che si moltiplicherà in ciascuno dei fedeli che vi sono stati affidati. Suggerisco inoltre ai nostri pastori che potenzino sempre di più e sempre meglio le commissioni di Giustizia e Pace, affinché contribuiscano in modo più efficace, come sale della terra e luce del mondo, al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.

[Testo originale: portoghese]

– Sig.ra Barbara PANDOLFI, Presidente generale dell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo (ITALIA)

Quella dei membri degli Istituti Secolari è una presenza nascosta, accettando la precarietà della vita quotidiana, fianco a fianco con gli altri, senza protezione e privilegi, alla ricerca di strade e soluzioni talvolta solo probabili, vissuta col desiderio di una fraternità universale.
Per questo la vocazione degli Istituti secolari evidenzia l’esigenza della promozione di un laicato maturo, che possa contribuire all’edificazione di una società civile basata sui valori umani del cristianesimo.Nella ricerca della giustizia e della pace, in particolare, l’esperienza dei laici consacrati, inseriti nei diversi ambiti della vita sociale, può favorire micro-processi di riconciliazione, contribuire a una coscienza critica, individuando alla luce del Vangelo, vie alternative di giustizia e condivisione.
La nostra vita ed esperienza ci porta a guardare al mondo e alla storia con discernimento e senso critico, ma anche con una visione positiva che parte dalla certezza che, dovunque, si possono trovare i segni e i germi della presenza di Dio, che chiedono di essere riconosciuti, promossi e accompagnati, facendo proprio lo stile del dialogo e della testimonianza.
Se la donna è un asse portante della società africana, spesso lo è in modo “nascosto”, non ufficiale e riconosciuto, tra difficoltà e pregiudizi.
Essendo la maggioranza degli Istituti secolari in Africa Istituti femminili, si pone urgente l’esigenza di favorire e promuovere la valorizzazione della donna, non solo perché sposa e madre, ma in quanto persona capace di responsabilità e autonomia nei diversi ambiti della vita sociale, e l’urgenza di una sua presenza peculiare e non solo subordinata nella Chiesa.
Se la prima frattura nel genere umano, causata dal peccato, è stata quella tra uomo e donna, uno dei segni della pace e della riconciliazione, forse, può essere proprio dato dalla promozione di una reale corresponsabilità e di un effettivo riconoscimento di pari dignità tra uomini e donne, oltre ogni dominio e discriminazione.
Forse è giunto il momento che la donna, spesso, tradizionalmente, soggetta all’uomo, possa stare davvero, in tutti i campi della vita sociale ed ecclesiale, di fronte all’uomo, in dialogo con lui. In questo senso il Vangelo può diventare una reale forza di cambiamento.

[Testo originale: italiano]

– Rev.da Suora Maria Ifechukwu UDORAH, D.D.L., Superiora Generale delle Figlie del Divino Amore, Enugu (NIGERIA)

Appoggio il progetto proposto da Sua Eccellenza Monsignor Adewale Martins della Nigeria per i giovani. Vorrei però aggiungere va dedicata attenzione anche ai bambini. La Holy Childhood Association sta già svolgendo un lavoro importante in alcuni dei nostri paesi, ma si potrebbe dare un orientamento più preciso ai loro programmi, affinché possano essere meglio concosciuti la cultura cristiana e i valori cattolici. Le diocesi potrebbero preparare un programma da utilizzare per l’istruzione religiosa nelle scuole cattoliche. Ciò significherebbe dedicare una maggiore attenzione alla formazione spirituale dei bambini nelle scuole elementari e secondarie. Un programma definito per le attività dei giovani nelle università rappresenterebbe quindi il proseguimento dell’opera iniziata nelle scuole elementari e secondarie. Così, quando nel prossimo decennio i candidati alla vita religiosa e al sacerdozio verranno presi dalla società, la formazione sarà molto più semplice.
Riguardo alle persone consacrate, così come indicato nell’Instrumentum laboris ai numeri 113 e 114, concordo con quanto detto da Sua Eminenza il Cardinale Francis. Vorrei però aggiungere che tutti noi agenti di evangelizzazione dobbiamo considerarci un’unica squadra che gioca per la Chiesa-Famiglia di Dio al fine di rendere una testimonianza efficace e non in competizione tra noi. Suor Felicity Harry ha fatto il punto sulle persone consacrate, ma in aggiunta vorrei proporre l’organizzazione di incontri regolari per i sacerdoti diocesani e le persone consacrate che operano nelle diocesi, perché possano dialogare e scambiarsi le idee. Si potrebbe inoltre approfittare di tali occasioni per tenere seminari sullo spirito e il lavoro di squadra per tutti gli agenti di evangelizzazione.Molte congregazioni religiose locali si dedicano ora a opere missionarie ad intra e ad extra e devono affrontare la sfida della mancanza di un sostegno adeguato da parte della Chiesa-Famiglia di Dio alle loro iniziative. Propongo che i padri sinodali dedichino a questo aspetto un po’ della loro attenzione.

[Testo originale: inglese]

– Sig.ra Marguerite A. PEETERS (BELGIO)

Il periodo intercorso fra la prima Assemblea sinodale e la seconda corrisponde storicamente a una fase di accelerazione senza precedenti della globalizzazione culturale ed etica. L’applicazione, effettiva fin da ora, sul continente africano delle conferenze dell’Onu del Cairo sulla popolazione (1994) e di Pechino sulle donne (1995) rappresenta un aspetto politico critico di questa globalizzazione. Esse hanno trasformato in norme cosiddette mondiali i valori, la lingua, gli stili di vita di una civiltà occidentale in piena decadenza. La governance mondiale impone de facto agli stati africani e agli operatori di sviluppo nuove condizioni di aiuto finanziario e tecnico, tra cui l’applicazione prioritaria dei concetti di genere e di salute riproduttiva e l’accettazione di una nuova etica postmoderna e laicista che si esprimono mediante un nuovo linguaggio. Essa cerca di guadagnare anche la Chiesa a questa nuova etica.
La Chiesa è ancora molto ignorante per quanto riguarda le sfide di questa etica. L’ignoranza espone i cristiani ai pericoli dell’amalgama tra i paradigmi della rivoluzione culturale mondiale e la dottrina sociale della Chiesa. Quest’amalgama rischia a sua volta di condurre i cristiani in Africa allo svuotamento della fede così come è stato responsabile della secolarizzazione dell’Occidente. Occorre urgentemente uno sforzo di discernimento e di vigilanza.

[Testo originale: francese]
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ZENIT Staff

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