di Roberta Sciamplicotti
ROMA, mercoledì, 28 ottobre 2009 (ZENIT.org).- E’ stato presentato questo mercoledì a Roma il XIX Dossier statistico della Caritas e della Fondazione Migrantes, basato sul tema “Conoscenza e solidarietà” e che chiede un “pacchetto integrazione” per gli immigrati in Italia.
Secondo il rapporto, gli immigrati regolari sono ormai 4.329.000, il 7,2% della popolazione nazionale.
Padre Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, ha affermato intervenendo alla presentazione che “l’impressione è quella di trovarci di fronte ad una grande povertà culturale incapace di cogliere che gli immigrati per noi sono sì una ‘scomodità’. Ma una scomodità che fa crescere”.
A suo avviso, “sicurezza e immigrazione rimangono due problemi distinti”, e ciò che oggi ostacola “un autentico clima di pace e sicurezza sociale” è “l’eccessiva disuguaglianza nei diritti e doveri delle persone che vivono e lavorano insieme, piuttosto che il mancato riconoscimento delle relative identità culturali”.
“C’è bisogno di organizzarci in tanti a favore di tutti, a favore di una convivenza corresponsabile, partecipata, costruttiva, giusta, fraterna e solidale”, ha aggiunto.
Franco Pittau, coordinatore del Dossier, ha affermato dal canto suo che sono necessarie tre azioni: “inquadrare gli immigrati come regolari e non come clandestini; inquadrarli come lavoratori e non come delinquenti; inquadrarli come cittadini e non come stranieri”.
Se è vero che gli immigrati regolarmente residenti in Italia sono circa quattro milioni, ha spiegato, “è fuorviante continuare a inquadrare il fenomeno nell’ottica degli sbarchi irregolari, prendendo una parte per il tutto e dipingendo negativamente la situazione”.
In questo contesto, bisogna passare anche “dall’immagine dell’’immigrato criminale’ a quella dell’’immigrato lavoratore’”.
A questo riguardo, Pittau ha sottolineato che gli stranieri hanno “un tasso di attività di 12 punti più elevato degli italiani”, “una maggiore esposizione al rischio” e “un maggior bisogno di tutela” “sia quando sono regolarmente assunti, sia ancor di più quando sono costretti a lavorare nel sommerso”.
Il coordinatore del Dossier ha quindi ricordato che la riflessione sull’immigrazione “resta incompleta se limitata all’utilità dei lavoratori immigrati e va estesa alla sua considerazione come nuovi cittadini”.
Contro questa realtà, ha osservato, ci si scontra spesso con due riserve, una di natura finanziaria e l’altra di natura culturale.
La prima consiste “nell’eccepire che accoglienza, inserimento, integrazione sono prospettive finanziariamente costose e gli immigrati non devono pesare ulteriormente sul bilancio dello Stato e degli Enti Locali”.
In realtà, secondo i dati gli immigrati incidono per il 7% sulla popolazione residente e per il 10% sulla creazione della ricchezza nazionale, e pagano almeno 4 miliardi di euro di tasse ma secondo la Banca d’Italia incidono solo per il 2,5% sulle spese per istruzione, pensione, sanità e sostegno al reddito.
La riserva di natura socio-culturale-religiosa “è più insidiosa”, e porta ad aver paura degli immigrati “perché si ritiene che essi inquinino la società con le diverse tradizioni culturali di cui sono portatori e contrastino l’attaccamento alla nostra religione”.
Le indagini sul campo attestano in realtà che “la maggior parte degli immigrati mostra apprezzamento per l’Italia” ed esprime “lo stesso apprezzamento anche per la comunità cattolica, che è stata fin dall’inizio al loro fianco per aiutarli a far valere le loro aspettative”.
Monsignor Bruno Schettino, Presidente della Commissione Episcopale Migrazioni e Migrantes, ha invece applicato nel suo discorso il classico metodo pastorale del discernimento, strutturato nelle tre fasi “Vedere – Giudicare – Agire”, intendendole come “prendere atto dell’immigrazione come nuovo segno della società”, “capire le ragioni della crescita dell’immigrazione” e promuovere un “pacchetto integrazione”, senza il quale “non c’è una vera politica migratoria”.
Per il presule, la presenza immigrata è “funzionale allo sviluppo del Paese”, essendo “un puntello al nostro malandato andamento demografico e alle carenze del mercato occupazionale”.
Per questo, esorta alla creazione di un “pacchetto integrazione”, di “un’impostazione più equilibrata che non trascura gli aspetti relativi alla sicurezza ma li contempera con la necessità di considerare gli immigrati come nuovi cittadini portandoli a e essere soggetti attivi e partecipi nella società che li ha accolti”.
Allo stesso modo, ha proposto “a tutte le persone di buona volontà” sei “piste di impegno”: “riconsiderare il fenomeno migratoria in una visione storico-antropologica sul futuro prossimo della nostra società italiana, sempre più multiculturale”, “rivedere i flussi migratori, superando, senza essere superficiali, i rallentamenti della burocrazia”, “dare maggiore risalto alla conoscenza della lingua italiana e delle tradizioni”, “pervenire al riconoscimento del diritto di cittadinanza”, “considerare maggiormente i motivi umanitari per concedere i permessi di soggiorno”, “ricreare una coscienza collettiva, nell’ambito di un processo educativo integrale, per superare le paure nei confronti delle nuove generazioni”.