di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 29 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Dopo aver resistito alla violenza dei comunisti sovietici, il monachesimo russo sta dando segni di risveglio, preparandosi a resistere alla secolarizzazione della modernità.
Questo è quanto sostiene Pëtr Meščerinov, Igumeno del Monastero San Daniil di Mosca e Vicedirettore del Centro per la formazione spirituale dell’infanzia e dell’adolescenza del Patriarcato di Mosca.
ZENIT lo ha intervistato in occasione della sua venuta in Italia per il convegno internazionale sul tema “Cercatori dell’eterno, creatori di civiltà. Il Monachesimo tra Oriente e Occidente” organizzato dalla Fondazione Russia Cristiana (www.russiacristiana.org).
Quanto conta la contemplazione e quanto l’azione nel monachesimo orientale?
Meščerinov: Posso parlare del monachesimo russo. Già dai tempi antichi, per tradizione, abbiamo due diverse vie monastiche legate a due santi russi: San Nilo di Sora e San Giuseppe di Volokolamsk. Erano contemporanei e hanno discusso piuttosto fortemente tra di loro.
Erano diatribe molto profonde, dispute piuttosto complesse e potrei riassumere così in breve le correnti che i due santi propugnavano: Nilo di Sora difendeva la dimensione contemplativa, mentre San Giuseppe di Volokolamsk difendeva la dimensione attiva.
Non si può dire che questi due aspetti siano in contraddizione l’uno con l’altro, perché nella dimensione contemplativa troviamo anche l’incidenza nella vita culturale russa, nella letteratura, nella riscoperta dei Padri della Chiesa; d’altra parte se prendiamo la corrente più attiva, più impegnata nel sociale di San Giuseppe di Volokolamsk, possiamo notare che con la sua azione non intendeva sostituirsi allo Stato, ma manteneva saldo l’attaccamento alle proprie radici contemplative.
Per concludere possiamo dire che non esiste una reale contraddizione tra le due dimensioni.
Già San Macario il Grande diceva che ogni monaco ha la sua specifica vocazione, la sua attività specifica e quindi quelli che contemplano non giudichino coloro che servono e viceversa coloro che servono non giudichino quelli che si danno alla vita contemplativa, perché sono intimamente connessi l’uno con l’altro e costruiscono insieme la vera comunità monastica cristiana.
Quanti e quali sono i martiri del monachesimo russo?
Meščerinov: Per quanto riguarda il monachesimo russo possiamo parlare soprattutto dei nuovi martiri del XX secolo. Molti sono stati canonizzati e molti altri ancora non sono stati canonizzati, ma la chiusura in massa dei monasteri in epoca sovietica testimonia che i monaci hanno dato la vita per difendere l’ideale monastico.
Di fronte a una rapida e selvaggia corsa della modernità, come stanno reagendo le comunità monastiche russe?
Meščerinov: Le comunità monastiche reagiscono in due modi diversi. Per rispondere a questa domanda bisogna tener conto che la tradizione monastica russa è stata interrotta violentemente durante il periodo sovietico, perciò il monachesimo russo oggi è proprio alla ricerca di una risposta a questa domanda.
Per ora la risposta non è stata trovata, e quindi ci sono due varianti: o una radicale separazione e autoesclusione dal mondo, che non è il sano “uscire dal mondo” che si intendeva un tempo quando si pensava al monachesimo, ma è come una forma maniacale per proteggersi dall’aggressione del mondo. La seconda variante è legata alla secolarizzazione, esteriormente si dichiara di essere monaci, poi di fatto ci si inserisce nel corso della vita secolare di tutti.
Tuttavia questo momento di prova non trova una risposta nella vita della Chiesa. Secondo la mia personale opinione penso che la comunità monastica debba sicuramente proteggersi da certi fenomeni del mondo moderno, ma questa protezione deve avvenire in modo sobrio, adeguato, sano ed ecclesiale e non in modo asociale.
Qual è la realtà di queste comunità oggi?
Meščerinov: La principale tragedia della nostra vita ecclesiale di oggi sta nella mancanza assoluta di comunità. Ci sono delle comunità che nascono in contrapposizione alla posizione della Chiesa in senso generale, ma di comunità in quanto tali come norma di vita comunitaria non ce ne sono.
Questo è legato sicuramente all’eredità sovietica, perché in quel periodo ogni aggregazione era guardata con sospetto ed era suscettibile di repressioni, e di fatto nella coscienza stessa di molte generazioni di persone si è creato un istinto antisolidale.
Quando persone educate secondo questa mentalità entrano oggi nella Chiesa è molto difficile sentire e anche capire che si tratta di una comunità cristiana, perché qualsiasi forma di aggregazione subisce l’influsso del collettivismo sovietico, mentre la comunità cristiana e il collettivismo sovietico sono due cose che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.
Perciò i russi di oggi non hanno predisposizione alla vita comunitaria, e questo si riflette anche sulla vita monastica. Noi non abbiamo comunità monastiche vere e proprie, abbiamo dei monasteri formalmente organizzati, ci sono alcuni singoli monaci, alcuni singoli individui con una vocazione retta e sincera, però non riescono ad inserirsi bene nella comunità.
Questo è sicuramente un compito per il futuro, o forse la nostra vita ecclesiale e sociale è arrivata al punto di non ritorno in cui è praticamente impossibile ritornare alla solidarietà autentica. Ma questo lo mostrerà il futuro.