Le “buone notizie” nella Rete per un’azione educativa

Chiara Giaccardi illustra una ricerca sui giovani nello scenario digitale

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di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le “buone notizie” che emergono dall’esplorazione del continente digitale sui quali innestare un’azione educativa o a partire dai quali facilitare pratiche di comunicazione autentica: ne ha parlato questo venerdì al convegno in corso a Roma dal titolo “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale”, la prof.ssa Chiara Giaccardi.

La docente di sociologia della comunicazione di massa dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano ha presentato una ricerca commissionata dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) sui giovani nello scenario digitale alla quale hanno collaborato vari istituti di ricerca della Cattolica.

“Uno studio-pilota – lo ha definito la Giaccardi – basato su 50 interviste telefoniche semistrutturate, della durata di 60-75 minuti, somministrate a un campione di 50 ragazzi, 25 maschi e 25 femmine, tra i 18 i 24 anni, su tutto il territorio nazionale, equamente ripartiti tra studenti e lavoratori, abitanti i piccoli centri e grandi città”.

“Il numero di 50 interviste – ha avvertito – cui si è aggiunto un questionario distribuito a 300 ragazzi di due università milanesi, non consente delle generalizzazioni, ma suggerisce delle tendenze da verificare e delle questioni da approfondire”.

Un aspetto importante che emerge dalla ricerca, è “una ‘bassa discontinuità’ tra offline e online, che si configurano come due livelli di un’esperienza unitaria, unificata dal soggetto in relazione, e non come due mondi paralleli, alternativi, in relazione problematica tra loro cioè uno il surrogato dell’altro, uno ostacolo all’altro”.

Gli spazi della Rete non come “luoghi ‘utopici’, dove proiettare il desiderio di un mondo totalmente altro, ma neppure, luoghi totalmente discontinui e autonomi dalla dimensione esistenziale concreta”. Più che di “contrapposizione tra reale e virtuale come due dimensioni quasi incommensurabili, dell’esperienza, si può forse parlare di online e offline come di due articolazioni dello spazio di esperienza e relazione, unificato dalla soggettività”.

Dalla ricerca emerge, inoltre, “una gestione consapevole della risorsa temporale che si configura come consapevole, organizzata, gerarchizzata, orientata alla relazione”.

“L’uso dei new media – ha sottolineato la Giaccardi – pur nelle diverse forme che assume, è tendenzialmente relazionale”. Essi aiutano a gestire “una complessità crescente e al mantenimento delle relazioni in un regime di attività molteplici e frenetiche sovrapposizioni che renderebbero altrimenti molto difficile coltivare i rapporti”.

La docente ha quindi introdotto l’idea di “cronotopo”, già utilizzata per il romanzo, per indicare “la stretta intersezione tra dimensione spaziale e temporale evidenziata dai soggetti intervistati”.

“Il continente digiltale – ha spiegato – con le possibilità di mantenere una pluralità di livelli in relazione tra loro, consente, più che altri ‘habitat’ che lo hanno preceduto, il superamento dell’astrazione spaziotemporale e anche dell’astrazione del tempo frammentato”. Il cronotopo “usato come chiave interpretativa della nostra analisi, non rappresenta solo una sintesi di spazio e tempo, ma di diversi spazi e diversi tempi: biografici, relazionali e sociali”.

“Rimettere insieme il tempo, lo spazio e le relazioni – ha proseguito – per un kronos che è anche un kairos, pieno di attese e speranze. Il cronotopo è un’immagine letteraria ma anche fisica che consente di rimettere insieme queste dimensioni che segnano la nostra intensità esistenziale”.

Usando la Rete in modo relazionale “i ragazzi fanno tante cose: parlare per stare in contatto; un uso monitorante che consente di vedere cosa fanno gli altri; un usi organizzativo che utilizza la Rete per implementare le attività fuori dalla Rete”.

La buona notizia del mondo digitale è che “il modo di porsi dei ragazzi in Rete non è individualista e la relazione è centrale: essere in Rete non è esserci e basta ma essere ‘con’”.

In questo c’è un aspetto positivo e uno negativo: “si costruisce attraverso il parlare insieme, dal basso, un luogo comune e il messaggio è la relazione” ma c’è il rischio “della banalità che non costruisce davvero l’incontro”.

Si tratta per lo più di “uno spazio cronistico, solo fàtico, cioè si chiacchiera ma non si parla del privato importante; per non provocare divisioni, l’accesso è subordinato alla somiglianza, entrano solo i pari, non l’alterità e nemmeno l’Alterità, cioè Dio e il religioso”.

La Rete viene costruita “per essere una casa ma può finire per assomigliare una tana”. Per passare dal semplice essere “con”, all’essere “per” occorrono altre condizioni.

Innanzitutto, secondo Giaccardi “la fedeltà che richiede l’aiuto degli altri per mantenere promesse e scelte, però è l’unico modo per entrare in una autentica relazione e permanervi”.

E, insieme, ha concluso la docente della Cattolica, “la responsabilità: si può passare a un dialogo costruttivo solo se si ci fa carico di situazioni e persone per un ambiente umano in cui abitare insieme”.

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ZENIT Staff

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