L’arte sacra ha il compito di servire con la bellezza la sacra liturgia. Nella Sacrosanctum Concilium è scritto: “La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari Riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura” (n. 123).
La Chiesa, dunque, non sceglie uno stile; ciò vuol dire che non privilegia il barocco o il neoclassico o il gotico, ma tutti gli stili capaci di servire il rito. Questo non significa, evidentemente, che ogni forma d’arte possa o debba essere accettata acriticamente, infatti nel medesimo documento, viene affermato con chiarezza: « la Chiesa si è sempre ritenuta, a buon diritto, come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate, e risultavano adatte all’uso sacro» (n. 122). Risulta utile, allora, domandarsi “quale” forma artistica possa meglio rispondere alle necessità di una arte sacra cattolica, ovvero “come” l’arte possa servire al meglio “con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti”.
I documenti conciliari non sprecano parole e tuttavia danno direttive precise: l’arte sacra autentica deve cercare “nobile bellezza” e non “mera sontuosità”, non deve contrariare la fede, i costumi, la pietà cristiana, o offendere il “genuino senso religioso”. Quest’ultimo punto viene esplicitato in due direzioni: le opere d’arte sacra possono offendere il senso religioso genuino o “perché depravate nelle forme”, dunque formalmente inopportune, o perché “mancanti, mediocri o false nell’espressione artistica”(n. 124). Si richiede all’arte sacra la proprietà di una forma bella, “non depravata”, e la capacità di esprimere propriamente e sublimemente il messaggio. Una chiara esemplificazione è presente anche nella Mediator Dei dove Pio XII chiede un’arte che eviti «l’eccessivo realismo da una parte e l’esagerato simbolismo dall’altra» (n. 190).
Queste due espressioni si riferiscono a concrete espressioni storiche. Troviamo infatti “eccessivo realismo” nella complessa corrente culturale del Realismo, nato come reazione al sentimentalismo tardoromantico della pittura alla moda, e che possiamo rintracciare poi nella nuova funzione sociale assegnata al ruolo dell’artista, con peculiare riferimento a temi direttamente tratti dalla realtà contemporanea, e poi ancora la possiamo collegare alla concezione propriamente marxista dell’arte, che condurranno alle riflessioni estetiche della II Internazionale fino alle teorie esposte da G. Lukacs. Inoltre, c’è’ “eccessivo realismo” anche in talune posizioni propriamente interne alla questione dell’arte sacra, ovvero nella corrente estetica che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento propose dipinti che trattano temi sacri senza affrontarne correttamente la questione, con eccessivo verismo, come per esempio una Crocifissione dipinta da Max Klinger che è stata definita una composizione «mista di elementi di un verismo brutale e di principi puramente idealisti» (C. Costantini, Il Crocifisso nell’arte, Firenze 1911, p. 164).
Troviamo invece “esagerato simbolismo” in un’altra corrente artistica che si contrappone a quella realista. Tra i precursori del pensiero simbolista si possono annoverare G. Moureau, Puvis de Chavannes, O. Redon, e più tardi aderiranno a questa corrente artisti come F. Rops, F. Khnopff, M. J. Whistler. In quegli stessi anni il critico C. Morice elaborò una vera e propria teoria simbolista, definendola sintesi tra spirito e sensi. Fin poi a giungere, dopo il 1890, ad una vera e propria dottrina portata avanti dal gruppo dei Nabís, con P. Sérusier, che ne fu il teorico, dal gruppo dei Rosa-Croce che univa tendenze mistiche e teosofiche e infine dal movimento del convento benedettino di Beuron.
La questione diviene più chiara, dunque, se inquadrata immediatamente nei giusti termini storico-artistici; nell’arte sacra occorre evitare gli eccessi dell’immanentismo da una parte e dell’esoterismo dall’altra. Occorre intraprendere la strada di un “realismo moderato” affiancato da un motivato simbolismo, capaci di cogliere lo slancio metafisico, e di realizzare, come afferma Giovanni Paolo II nella Lettera agli Artisti, un medio metaforico carico di senso. Non dunque un iperrealismo ossessionato da un sempre sfuggente particolare, ma un sano realismo che nel corpo delle cose e nel volto degli uomini sa leggere e alludere, e riconoscere la presenza di Dio.
Nel messaggio agli artisti è detto: “Voi [gli artisti] l’avete aiutata [la Chiesa] a tradurre il suo divino messaggio nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere avvertibile il mondo invisibile”. Mi sembra che in questo passaggio si tocchi il cuore dell’arte sacra. Se l’arte, ogni arte, informa la materia, esprime l’universale mediante il particolare, l’arte sacra, l’arte al servizio della Chiesa, compie anche la sublime mediazione tra l’invisibile e il visibile, tra il divino messaggio e il linguaggio artistico. All’artista è chiesto di dare forma a una materia ri–creando addirittura quel mondo invisibile ma reale che è la suprema speranza dell’uomo.
Tutto ciò mi sembra conduca verso una affermazione dell’arte figurativa —ovvero un’arte che si impegna a “figurare” la realtà— quale massimo strumento di servizio, quale migliore possibilità di un’arte sacra. L’arte realistica figurativa, infatti, riesce a servire adeguatamente il culto cattolico, perché si fonda sulla realtà creata e redenta, e, proprio confrontandosi con la realtà, riesce a evitare gli opposti scogli degli eccessi. Proprio per questo si può affermare che il più proprio dell’arte cristiana di tutti i tempi è un orizzonte di “realismo moderato” o se volgiamo di “realismo antropologico”, all’interno del quale si sono sviluppati, nel tempo, tutti gli stili propri dell’arte cristiana (data la complessità dell’argomento si rimanda ad altri articoli).
L’artista che voglia servire Dio nella Chiesa, non può che misurarsi con l’“immagine” la quale rende avvertibile il mondo invisibile. All’artista cristiano è, dunque, chiesto un particolare impegno: quello di rappresentare la realtà creata e attraverso essa e in essa quell’“oltre” che la spiega, la fonda, la redime. L’arte figurativa non deve neanche temere come inattuale la “narrazione”, l’arte è sempre narrativa, tanto più quando si pone al servizio di una storia avvenuta, in un tempo e in uno spazio. Per la particolarità del compito, all’artista è chiesto anche di sapere “cosa narrare”: conoscenza evangelica, competenza teologica, preparazione storico-artistica e ampia conoscenza di tutta la tradizione iconografica della Chiesa. D’altra parte, la teologia stessa tende a farsi sempre più narrativa.
L’opera d’arte sacra, dunque, costituisce uno strumento di catechesi, di meditazione, di preghiera, essendo destinata “al culto cattolico, all’edificazione, alla pietà e all’istruzione religiosa dei fedeli”; gli artisti, come ricorda il più volte citato messaggio della Chiesa agli artisti, hanno “edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia” e devono continuare a farlo.
Così anche noi oggi siamo chiamati a realizzare nel nostro tempo opere e capolavori atti a edificare l’uomo e a rendere Gloria a Dio, come recita ancora la Sacrosanctum Concilium: «Anche l’arte del nostro tempo di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo potrà aggiungere la propria voce al mirabile con
certo di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica» (n. 123).
—
* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.