di Francesca Pannuti
ROMA, lunedì, 10 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Tempo fa incontrai una persona, che, in prossimità del Natale, mi manifestò con semplicità quanto considerava naturale il desiderio di confessarsi per coloro che si preparano a tale solennità. Si presentava con una sobria e luminosa bellezza, unita a semplice eleganza. Dal volto emanava una dolcezza unita a serena gaiezza. Poco dopo scoprii che si trattava di un’astrofisica, Luisa Puppi.
Pertanto, ben sapendo che è convinzione diffusa che la fede sia un ostacolo per la ragione e per la scienza, le quali potrebbero benissimo svilupparsi senza la prima, mi è sorto il desiderio di farle alcune domande.
Come è giunta alla persuasione dell’importanza della confessione, quindi della fede e della sua pratica nella nostra vita? Ciò è avvenuto, nel suo cammino spirituale e umano, nonostante o grazie alla sua preparazione scientifica?
Luisa Puppi: Direi che convinzioni religiose e amore per la scienza sono sempre andate d’accordo nella mia vita. Mi sono laureata in fisica a Roma negli anni della contestazione con una tesi in astrofisica e quindi ho continuato gli studi in questo ambito entrando nel ruolo come docente di spettroscopia stellare all’università di Bologna. Mi sono poi dimessa per occuparmi di scuola secondaria, non solo di insegnamento ma soprattutto di orientamento e formazione, di sostegno alla famiglia. Questa è stata per me come una seconda vocazione professionale, ma non ho mai perso i contatti con il mondo della ricerca.
Nella sua impostazione di studio, che ruolo gioca la razionalità nella sua vita di donna e di insegnante?
Luisa Puppi: Già gli antichi dicevano che la ragione è ciò che ci distingue dagli animali. La ragione, la capacità di comprendere è, insieme alla volontà, ciò che ci rende liberi; senza possibilità di ragionare non potremmo in definitiva scegliere, quindi chi sa di più è più libero; l’ignoranza è il più grande nemico della libertà. Le emozioni sono una ricchezza, sia per l’uomo che per la donna, ma a patto che siano abitate dal “lógos”, dalla riflessione.
La sua indagine scientifica quali orizzonti ha aperto davanti a lei? Come si colloca il discorso su Dio?
Luisa Puppi: Il mondo è bellissimo e Dio ci ha regalato la ragione che è in grado di comprenderlo; quindi l’uomo che fa scienza glorifica Dio. Questa è la scoperta fondamentale. Mi sembra però anche importante notare che scienza e fede non si oppongono ma neppure coincidono. Come ben ci ha insegnato Galileo (e la Chiesa ha fatto proprio) nella Bibbia è scritto come andare in Cielo, non come è fatto il cielo. D’altra parte ricordo che all’epoca in cui studiavo alla Sapienza mi imbattei nel manuale di un celebre astronomo sovietico, Ambarstumian: nella prefazione sosteneva che i suoi studi avevano dimostrato la non esistenza di Dio; non solo io, credente, ma anche i miei colleghi marxisti provarono un senso di pena: qualunque fossero le nostre opinioni religiose era per noi evidente che, per scrivere una cosa simile, l’autore era stato sottoposto a una violenza, perché faceva un’affermazione che nulla aveva a che spartire con la scienza.
Che cosa dice ai giovani, cui è abituata a parlare, sull’origine e il valore dell’universo in rapporto all’uomo che vi abita e a Dio?
Luisa Puppi: Quanto già detto: che l’universo ci è affidato e dobbiamo comprenderlo e curarlo; che non siamo buttati a caso in un mondo incomprensibile, né la nostra vita è insignificante. Di più: la nostra felicità la troveremo nel metterci in una relazione d’amore con gli altri e con Dio. Tutto questo lo troviamo nel racconto della Genesi, che non è certo un testo scientifico, ma di livello esistenziale assolutamente sorprendente, se lo paragoniamo ad altra letteratura dell’epoca. C’è tutta una teologia della creazione da sviluppare e in questo senso per me è stato particolarmente importante l’incontro con la spiritualità dell’Opus Dei e la sua rivalutazione del lavoro come partecipazione all’opera creatrice di Dio.
A suo avviso, tra le scoperte scientifiche, in particolare quelle più recenti, può individuarne qualcuna che offuschi o smentisca la consapevolezza dell’esistenza di Dio?
Luisa Puppi: Nessuna scoperta scientifica potrà mai smentire o offuscare la consapevolezza dell’esistenza di Dio, ma neppure potrà confermarla: la ragione dell’uomo comune (non c’è bisogno di essere un astrofisico per questo), se lavora onestamente, non forzata da emozioni e passioni, è in grado di arrivare a Dio a partire dalle cose create. La stragrande maggioranza degli scienziati di tutti i tempi è stata credente e molti sono stati anche devoti e praticanti; nell’età moderna mi vengono in mente per esempio Volta e Maxwell, ma lo stesso Galileo è morto (serenamente nel suo letto) assistito dalla figlia suora e con il nome di Gesù sulle labbra. Secchi, padre dell’astrofisica italiana, e Lemaître, che per primo formulò l’ipotesi del Big Bang, erano sacerdoti cattolici. Se c’è qualche scienziato che non crede merita rispetto, ma certo non è per motivi scientifici. Ho anzi notato che talora, per sostenere le proprie convinzioni atee, si arrivano a dire cose scientificamente prive di senso: per esempio Hawking è passato dal sostenere che il mondo si è autoprodotto dalle fluttuazioni quantistiche del nulla (confondendo il nulla – concetto filosofico – col vuoto – concetto fisico, che nello spazio interstellare è grosso modo pari a 1 elettrone al m3) all’affermazione ancora più incredibile che certamente non uno ma tanti universi si sono prodotti dal nulla perché una simile operazione è a costo energetico zero!
In accordo con le osservazioni sperimentali e la loro possibile interpretazione, per l’evoluzione dell’universo si fa tuttora riferimento al cosiddetto “modello standard”, basato sulla teoria della relatività generale. Attualmente l’unico modello non contraddetto da qualche osservazione è quello del “Big Bang” (il suo concorrente, quello dello”Stato Stazionario”, è crollato alla fine degli anni ’60 dopo la scoperta della radiazione cosmica di fondo). A partire dagli anni ’80 si è però ritenuto opportuno trattare la fisica dei primi istanti del nostro universo, a causa delle particolari condizioni di densità e di pressione, non con la meccanica classica ma con la meccanica quantistica. Questo ha dato luogo al cosiddetto “modello inflazionario” (Big Bang + relatività generale + meccanica quantistica). La meccanica quantistica (o ondulatoria) tratta tutto ciò che esiste come pacchetti d’onda, onde di probabilità. (Esempio noto: nel modello dell’atomo di idrogeno non si parla più di un’orbita che percorre l’elettrone intorno al nucleo, ma di probabilità di trovare l’elettrone in un certo luogo dello spazio; gli orbitali non sono altro che sovrapposizione di stati di probabilità). Nel caso dell’universo questo vuol dire che il nostro mondo non è che uno dei possibili stati, forse il più probabile, di un ipercosmo; esisterebbero quindi altri mondi paralleli possibili, chiamati multiversi.
Questa chiaramente è una supersintesi e, come è ovvio, non ha nulla a che fare con la fede. C’è poi il problema, dando per certo il Big Bang, del prima e del poi: come finirà l’universo? (varie ipotesi, che non sto a dire); è per caso il nostro un universo oscillante? grandi esplosioni e quindi grandi implosioni che si alternano? Come si vede la scienza ha molte risposte ancora da dare, ma, come detto ripetutamente, Dio ci ha dato la ragione per porci domande e cercare risposte!
Per concludere, parafrasando Galileo, direi che né la teoria del Big Bang né quella dei multiversi ci dicono come andare in Cielo, cioè non rispondono alla profonda domanda di senso che si pone la creatura umana, ma questi interrogativi possono avere risposta e il metodo scientifico ci aiuta ad avere un’umile fiducia nella capacità della ragione
di attingere la verità.