ROMA, martedì, 7 giugno 2011 (ZENIT.org).- Non una forma di sostegno assistenzialistico, ma uno strumento “universale, selettivo, condizionato, attivante”, destinato a qualunque cittadino si trovi nella condizione, più o meno temporanea, di mancanza di mezzi sufficienti a una vita dignitosa, e volto a favorire l’investimento su di sé, sulle proprie capacità: è la definizione di “reddito di autonomia”, uno strumento di integrazione al reddito che le Caritas della Lombardia propongono alle istituzioni, a partire da quelle della Lombardia, per aiutare le famiglie e contrastare le vecchie e nuove povertà create dalla crisi economica.
La proposta – contenuta nel libro “Reddito di autonomia. Contrastare la povertà in una prospettiva di sussidiarietà attivante”, edito da Erickson, e scritto da Rosangela Lodigiani e Egidio Riva, sotto ladirezione scientifica dei professori Gian Paolo Barbetta, Luigi Campiglio, Michele Colasanto dell’UniversitàCattolica di Milano – è stata presentata martedì 7 giugno, nell’aula convegni della Curia arcivescovile diMilano, alla presenza di monsignor Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana e vescovo di Lodi,del direttore monsignor Vittorio Nozza, del direttore di Caritas Ambrosiana don RobertoDavanzo, di Rocco Corigliano del consiglio di amministrazione della Fondazione Cariplo edell’assessore alla Famiglia della Regione Lombardia, Guido Boscagli.
“L’Italia e la Grecia – è stato rilevato – sono i soli paesi europei a non prevedere una forma di sostegno al reddito per indigenti”. Allo stesso tempo “sia le rilevazioni dei principali istituti di ricerca sia l’esperienza concreta sul campo dei volontari nei centri di ascolto delle Caritas dimostrano la ridotta efficacia delle misure di contrasto alla povertà adottate dal nostro Paese, soprattutto nel nuovo contesto sociale venutosi a determinare con la crisi economica ed occupazionale”.
Per queste ragioni, le Caritas lombarde hanno studiato e adattato al contesto italiano e lombardo una misura – il reddito di autonomia, appunto -, già in vigore in tutti i principali Paesi Ue, che consentirebbe di offrire un aiuto a quelle categorie sociali oggi in difficoltà e per le quali non sono previste tutele adeguate. Tra queste, le persone che pur lavorando non riescono a raggiungere livelli di reddito sufficienti, perché svolgono impieghi saltuari e mal retribuiti, i capifamiglia disoccupati senza cassa integrazione, le madri costrette a farsi carico da sole dei figli in seguito a separazioni e a divorzi.
La misura sarebbe rivolta alle famiglie con figli. I destinatari riceverebbero un contributo a fronte dell’adesione ad un programma di inclusione socio-economica. Il patto, stabilito assieme ai beneficiari, è vincolante (se non lo si rispetta il trasferimento monetario viene interrotto) e prevede una serie di obblighi. Come, ad esempio, l’iscrizione ai Centri per l’impiego, la sottoscrizione dell’immediata disponibilità al lavoro, la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale.
L’investimento richiesto, inoltre, riguarda non il singolo ma l’intero nucleo familiare. Quindi tra gli impegni che la famiglia si assume accettando il patto di reinserimento sociale, ci sono, ad esempio, anche l’iscrizione dei bambini alla scuola materna e la frequenza scolastica per i figli minori fino all’età dell’obbligo.
Lo strumento proposto richiede la stretta collaborazione tra istituzioni e privato sociale, secondo uno schema per il quale la Regione stabilisce l’entità del contributo, lo eroga e valuta i risultati; le Province organizzano i servizi sul territorio; i Comuni raccolgono e selezionano le domande dei richiedenti e verificano la veridicità dei livelli di reddito dichiarati mentre il Terzo settore accompagna e monitora le persone che hanno beneficiato della misura durante il percorso di reinserimento sociale.
Il “reddito di autonomia” dovrebbe sostituire misure già esistenti, ma inefficaci perché frammentarie, ottenendo anche l’obiettivo di razionalizzare la spesa sociale. I costi aggiuntivi dipendono dall’entità del contributo e dalla platea dei beneficiari che si vuole selezionare.
Oggi la Regione Lombardia eroga 126 milioni di euro di contributi; i ricercatori hanno stimato che destinando un sussidio medio mensile di 408 euro ai nuclei familiari con almeno un minore a carico, il costo aggiuntivo sarebbe di 80 milioni di euro.
“L’Italia spende per il sociale più o meno quello che spendono gli altri Paesi europei – ha osservato don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana e delegato delle Caritas lombarde -. Tuttavia i risultati sono al di sotto della media”. Inoltre “in Francia, in Inghilterra e in Germania, paesi con differenti tradizioni culturali e con i quali spesso proprio la Regione Lombardia si confronta, esistono forme di reddito minimo”.
“Non è nostro compito sostituirci ai politici cui spetta il compito e la responsabilità di fare le leggi – ha aggiunto Davanzo – ma con questo studio vogliamo aprire una discussione sull’opportunità di una sperimentazione proprio su questo territorio di un sistema di welfare adeguato ai bisogni delle persone in difficoltà. Persone che incontriamo nei nostri centri e che si attendono una riposta che noi da soli non possiamo dare”.