di Roberta Sciamplicotti
ROMA, mercoledì, 15 giugno 2011 (ZENIT.org).- Il futuro dell’Europa è legato al fenomeno migratorio, e quest’ultimo non si può affrontare senza avere come punto di riferimento e linea di condotta la solidarietà.
E’ quanto sostiene l’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto questo mercoledì a Roma, presso lo Spazio Europa, in occasione della presentazione del Glossario immigrazione e asilo realizzato dallo European Migration Network.
Nel suo intervento, il presule ha riconosciuto che “è innegabile che i flussi migratori attuali hanno assunto una intensità così elevata da porre non pochi problemi”, indicando poi che questo andamento attesta da un lato “i disagi dei Paesi di origine, nei quali lo sviluppo non è sufficiente per garantire l’inserimento di tutti i nuovi lavoratori” e d’altro “le difficoltà che accomunano i Paesi di accoglienza, in grande affanno nel trovare un’adeguata sistemazione ai nuovi venuti e a coloro che ad essi si vogliono ricongiungere”.
“Al fondo della questione migratoria – ha segnalato – si collocano la situazione dell’economia mondiale e l’insufficiente collaborazione tra gli Stati, per cui gli obiettivi di promozione umana su scala globale, seppure tante volte affermati in diverse sedi internazionali, stentano a essere realizzati e si è ben lontani da standard accettabili di dignità umana per tutti, carenze alle quali i migranti reagiscono con la via dell’esodo”.
Apertura
In questo contesto, ha proseguito il Presidente del dicastero vaticano, “la nostra identità, basata sulla formazione cristiana e sulla tradizione occidentale, è chiamata a confrontarsi con ciò che è diverso, senza inquadrarlo negativamente”.
“Se non si evita questo rischio, si pregiudica l’impostazione in grado di garantire una fruttuosa convivenza, che si basa su fattori quali incontro, dialogo e mediazione, seppure nel rispetto delle norme fondamentali del Paese di accoglienza”.
Di fronte all’inadeguatezza dei modelli di integrazione sperimentati in passato, ha quindi richiamato l’attenzione sulla necessità di una maggiore duttilità per raccordare le legittime differenze.
Si tratta della cosiddetta “sintesi interculturale”, “dagli esiti più promettenti perché può portare a una vera armonia sociale, fatta di unità e anche di rispetto della libertà di coscienza individuale”, ha affermato.
Anche se non mancano l’impegno e la sperimentazione in questa direzione, “bisogna fare molto di più, perché risulta sempre più diffusa l’avversione a priori nei confronti dello straniero e preoccupano i comportamenti improntati al razzismo, che non costituiscono solo una sbandamento di singoli cittadini, ma talvolta trovano una sorta di giustificazione a livello culturale, religioso e politico”.
Italia
L’Italia, ha continuato l’Arcivescovo, è “all’incrocio” di molti spostamenti, gli ultimi dei quali in termini temporali interessano prevalentemente le popolazioni dei Paesi arabi nordafricani.
La situazione attuale esige “indubbiamente” “nuove regole, trattati multilaterali e misure internazionali concordate, ma non a prescindere dal principio fondamentale della solidarietà”, ha segnalato.
“Se da una parte va dispiegata maggiore sollecitudine nei confronti dei richiedenti asilo e di quanti sono bisognosi di protezione umanitaria”, infatti, “dall’altra non devono essere preclusi tutti gli spazi ai migranti per motivi economici”.
“L’Italia è chiamata a fare maggiormente la sua parte, ma così anche l’Unione Europea, perché il fenomeno migratorio riguarda tutti e porta necessariamente a rivedere certe impostazioni del passato: il controllo dei flussi è una misura necessaria, ma il contrasto sarà molto dispendioso e, a lungo termine, anche privo di efficacia se non sarà basato su criteri di solidarietà”.
“Siamo in ritardo nel prendere coscienza che l’immigrazione in Europa non è una componente opzionale e che il futuro del continente è ad essa vincolato: in particolare il futuro dell’Italia, a causa dell’andamento demografico negativo, non è concepibile senza l’apporto di una quota annuale di immigrati, come hanno posto in evidenza demografi ed esperti del mercato occupazionale”.
In virtù di tutte queste considerazioni, per monsignor Vegliò “è necessario presentare nella giusta luce il grande fenomeno della mobilità umana, che – seppure non esente da aspetti problematici – è fondamentalmente un’opportunità”.
“Questo è l’auspicio della Chiesa, che spero si realizzi sempre più per il bene dei migranti, dei Paesi che li accolgono e di quelli da cui sono partiti”, ha concluso.