di Paul De Maeyer
ROMA, giovedì, 16 giugno 2011 (ZENIT.org).-Erol Dora ce l’ha fatta. L’avvocato quarantasettenne, che vive e lavora ad Istanbul, è stato eletto infatti domenica 12 giugno deputato nel parlamento turco. Grazie ai circa 52.000 voti raccolti a Mardin – il capoluogo dell’omonima provincia nel sudest della Turchia, a solo poche decine di chilometri dal confine siriano -, Dora diventerà il primo cristiano a sedere nel parlamento di Ankara in circa mezzo secolo.
Come ha ricordato Thomas Seibert sul quotidiano The National (10 giugno), l’ultimo cristiano ad aver ottenuto un seggio nel parlamento turco è stato negli anni ’60 il politico armeno Berc Sadak Turan. Del resto, l’ultimo deputato non musulmano è stato negli anni ’90 l’uomo d’affari ebreo Cefi Kamhi.
Dora, che è sposato e ha due bambini, è stato eletto come candidato indipendente del blocco Lavoro, Democrazia e Libertà, l’unico modo per poter superare la proibitiva soglia di sbarramento del 10%. La clausola di sbarramento vale infatti solo per i partiti, non per i candidati indipendenti. Ad Ankara, il nuovo deputato, che appartiene alla minoranza siriaca, si siederà tra le file del Partito per la Pace e la Democrazia (BDP), la formazione pro-curda che ha sostenuto la sua candidatura.
L’obiettivo che si è posto Erol Dora è chiaro e netto: rappresentare i cristiani e le altre minoranze. “Se riesco ad entrare nel Parlamento, diventerò la voce della comunità siriaca, nonché di tutti tutti gli altri gruppi etnici nel sudest”, così aveva promesso l’avvocato prima del verdetto delle urne (Hürriyet Daily News, 14 giugno).
“Io sono di religione siriaca ma sono un cittadino turco come tutti gli altri in questa zona”, ha ripetuto Dora parlando dopo la sua elezione al telefono con Avvenire (15 giugno). “Sono felice di poter dare un contributo al mio Paese. I siriaci vivono nei territori del sudest del Paese da secoli e secoli, siamo turchi a tutti gli effetti possiamo essere eletti in Parlamento come tutti gli altri, è un nostro diritto”, ha detto il neodeputato, orgoglioso di aver raccolto anche migliaia di consensi tra la popolazione musulmana della sua città, Mardin, da sempre un crocevia etnico e religioso.
Per Dora, il compito prioritario della nuova legislatura è dare alla Turchia una nuova Costituzione, che sostituirà il testo varato dopo il golpe militare del 12 settembre 1980 e dovrà offrire un più ampio respiro alle minoranze. “L’obiettivo è – così ha detto Dora ad Avvenire – che tutti abbiano una Costituzione in cui riconoscersi e che tenga conto di tutti i gruppi etnici e culturali presenti nel Paese”.
Per cambiare la Carta Magna, il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, il cui Partito per la Giustizia e e lo Sviluppo (AKP) ha vinto domenica per la terza volta consecutiva le elezioni legislative, dovrà scendere a compromessi con l’opposizione. Nonostante la sua ampia vittoria e i suoi 326 seggi nel nuovo Parlamento, la formazione filo-islamica di Erdogan, che si è aggiudicata il 49,8 % delle preferenze, non è riuscita infatti a strappare la sperata supermaggioranza dei due terzi dei seggi (367 su 550), che avrebbe permesso di realizzare in solitaria la riforma costituzionale.
Erdogan ha mancato di poco anche il suo secondo obiettivo, meno ambizioso e di esito incerto, cioè di raggiungere quota 330 deputati, la soglia che consente di cambiare la Costituzione sottoponendo le modifiche ad una consultazione referendaria.
Non avendo carta bianca, il flamboyant premier, che ha in sè una vena populista ed autoritaria – la Turchia è il Paese al mondo con il maggior numero di giornalisti dietro le sbarre (sono almeno 57) -, dovrà dunque cercare l’appoggio dell’opposizione, formata dal Partito Repubblicano del Popolo (CHP, 135 seggi), dal Partito del Movimento Nazionalista (MHP, 53 deputati) e dal blocco degli indipendenti (36 deputati, tutti sostenuti dal BDP).
L’elezione di Erol Dora è stata accolta come un segnale positivo da vari osservatori ed esponenti cristiani, fra cui il vicario delegato del Vicariato Apostolico di Istanbul, padre Lorenzo Piretto OP. “L’elezione dell’avvocato Dora è davvero un buon segnale per il Paese”, ha spiegato il padre domenicano all’agenzia Fides (14 giugno). “Dora è noto perché, da avvocato, spesso difende i cristiani implicati in processi ed è un punto di riferimento per la difesa dei loro diritti. Vi sono altri cristiani presenti nei consigli comunali, ma un cristiano nel Parlamento nazionale non si vedeva da parecchi decenni”, ha continuato il sacerdote.
Ben consapevole che molte questioni rimarranno ancora aperte, padre Piretto si è mostrato piuttosto ottimista. “Il governo dell’AKP, che ha vinto le elezioni, ha dato in passato buoni segni di apertura, che speriamo possano continuare e ampliarsi: il nodo fondamentale è il riconoscimento della personalità giuridica alle comunità religiose. Un esempio positivo è stato, di recente, la restituzione dell’orfanotrofio di Büyükada al Patriarcato Ecumenico di Istanbul”.
Negli ultimi mesi, Erdogan ha mandato infatti vari piccoli segnali verso la comunità cristiana. Come ha fatto notare il Financial Times Deutschland (12 giugno), il deputato curdo Süleyman Çelebi, coinvolto con il suo clan nella battaglia legale contro il noto monastero di Mor Gabriel-il centro culturale e spirituale della sempre piùpiccolacomunitàsiriaca (o caldea)della Turchia-, non è stato inserito nella lista dei candidati dell’AKP.
Altri gesti significativi sono state nel marzo scorso la nomina di un cristiano armeno all’interno dell’équipe del ministro per gli Affari europei,Egemen Bagis, considerato unodei più stretti consiglieri di Erdogan, e poi la nomina di un altro armeno come ambasciatore turco presso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Secondo il sociologoAyhan Aktar, dell’Università Bilgi di Istanbul, si tratta di due mosse che hanno rotto un vecchio tabù: quello sulla presenza di cristiani nell’apparato statale (Domradio, 11 giugno).
La domanda adesso è: quali sono le vere intenzioni di Erdogan, che nel suo discorso della vittoria ha promesso di lavorare per tutti i cittadini, di tutte le religioni e stili di vita, ed ha menzionato espressamente anche le minoranze cristiane? La sua apertura è sincera o invece solo un’abile mossa elettorale, il classico specchietto per le allodole nei difficili negoziati con l’Unione Europea? Sarà il futuro a dimostrarcelo.
Anche Erol Dora dovrà affermarsi. Non solo porta sulle sue spalle le aspettative di un’intera comunità, ma è stato anche eletto con il sostegno di una formazione politica che lo stesso primo ministro Erdogan non ha esitato a qualificare come un “partito terroristico” (HürriyetDaily News, 14 giugno).