di Rafael Navarro-Valls*
MADRID, mercoledì, 22 giugno 2011 (ZENIT.org).-Qualche settimana fa, Benedetto XVI ha visitato la Croazia: un Paese di quasi 5 milioni di abitanti, l’89% dei quali è cattolico. È stato il suo primo viaggio in un Paese balcanico.
In precedenza – l’11 aprile scorso – nel ricevere il nuovo ambasciatore croato, il Papa aveva messo in evidenza le “radici cristiane” di questo Paese. Aggiungendo poi che il suo prossimo ingresso nell’Unione europea dovrà compiersi “nel pieno rispetto delle specificità della Croazia, della sua vita religiosa e della sua cultura”. Perché questa avvertenza?
La risposta l’ha data il 4 giugno – primo giorno del suo soggiorno a Zagabria – in un incontro con un’ampia rappresentanza del mondo politico, accademico, culturale e diplomatico della Croazia. In quell’occasione è tornato sul tema, ma questa volta dall’ottica dell’umanesimo cattolico che pone al centro “la coscienza dell’uomo, la sua apertura trascendente e al tempo stesso la sua realtà storica, capace di ispirare progetti politici diversificati ma convergenti alla costruzione di una democrazia sostanziale, fondata sui valori etici radicati nella stessa natura umana”.
È stata una rivendicazione di una coscienza oggettiva, fondata sulla ricerca della verità. La sua avvertenza è chiara: relegare la religione e la morale all’instabile mondo della soggettività – una concezione molto in voga in Occidente – sarebbe un passo indietro che porterebbe l’Europa ad un’involuzione, ovvero a una crisi “senza rimedio”.
Mi sia consentita una breve riflessione, dal punto di vista giuridico, su questo duro giudizio. Secondo una visione diffusa, l’origine del diritto risiederebbe esclusivamente nella cosiddetta “coscienza comune della società”, che si manifesta normalmente nella volontà generale e che è riflesso di quell’ambiguo concetto di opinione pubblica. Quando, attraverso il meccanismo parlamentare, la legge prende forma, il positivismo giuridico la rinforza con questo duplice postulato: “la legge è tutto il diritto; la legge è tutta diritto”. Al di là di questa “opinione comune” non può esservi alcun riferimento ad una coscienza morale superiore; a una coscienza costruita sulla verità e sui valori che da essa derivano.
Diversamente da questa visione agnostica, il concetto tradizionale di giustizia ritiene che nella società democratica, oltre alla legge positiva, esistano anche altre istanze giuridiche; e che, affinché il diritto realizzi la vera giustizia, non è sufficiente che la legge sia stata approvata dalla maggioranza: è necessario che essa concordi con modelli oggettivi di giustizia.
Qualche settimana fa, in questa stessa rubrica di ZENIT, abbiamo elogiato i processi di Norimberga contro il nazismo. Certamente in quei processi vi sono state irregolarità, tra cui il fatto che nel Tribunale sedessero rappresentanti dell’Unione sovietica, Paese anch’esso responsabile di crimini contro l’umanità. Ma, rigettando la tesi dell’obbedienza alla legge nazionalsocialista e alla catena di comando che esige azioni contrarie alla legge oggettiva, Norimberga ha fatto vera giustizia. Ha esercitato una funzione etica, che nella teoria classica corrisponde alla coscienza personale. Certamente una giustizia che non sempre trova corrispondenza nelle leggi positive, ma sì in quel diritto inscritto nella coscienza di ogni uomo. In altri termini, ha dimostrato che la cultura democratica occidentale si fonda su valori giuridici radicali, superiori a eventuali maggioranze o imposizioni plebiscitarie. Quei valori giuridici radicali sono la “coscienza morale” alla quale alludeva il Papa in Croazia.
Grazie ad essa, oggi si sta reinventando una sorta di coscienza civile, troppo spesso sganciata dalla sua radice originale. Con uno Stato ridotto a una specie di terra di nessuno, adatta ad essere colonizzata da qualunque ideologia con vocazione quasi-religiosa, la società civile, una volta che è stata ideologicamente colonizzata, diventa refrattaria a qualunque altro influsso e si rende intollerante. L’affermazione secondo cui il relativismo è consustanziale alla democrazia, presuppone una visione pessimistica rispetto alle reali possibilità di sopravvivenza del sistema.
Qualche anno fa, lo stesso cardinale Ratzinger, in un dibattito con il Presidente del Senato italiano, Marcello Pera, riconduceva gli elementi dell’attuale crisi europea ai seguenti fattori: paralisi delle forze spirituali, invecchiamento demografico, distruzione della coscienza morale, banalizzazione della dimensione religiosa dell’uomo. Di fronte alle altre culture – alle altre religioni – l’Occidente rinuncia a difendere la verità fondata sulle sue radici cristiane. In definitiva: “Vi è un odio dell’Occidente verso se stesso, che è strano e che può solo essere considerato come un qualcosa di patologico. L’Occidente cerca, in modo lodevole, di aprirsi alla piena comprensione dei valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua stessa storia vede ormai solo ciò che è esecrabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che vi è di grande e di puro”.
Oggi Benedetto XVI torna ad insistere sulla necessità che l’Europa riscopra la sua coscienza morale. “Luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità, che è la forza contro ogni dittatura”.
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*Rafael Navarro-Valls è docente della Facoltà di diritto dell’Università Complutense di Madrid e segretario generale della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación spagnola.