Nigeria: i molteplici strati del conflitto

Per l’Arcivescovo Onaiyekan la tensione interreligiosa non è grave

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ABUJA (Nigeria), lunedì, 27 giugno 2011 (ZENIT.org).- La causa principale di tensione in Nigeria non è legata ai conflitti tra cristiani e musulmani, ma tra ricchi e poveri, secondo l’Arcivescovo di Abuja.

Parlando al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, mons. John Onaiyekan ha spiegato che il pericolo più grande per la pace in Nigeria “è l’ingiustizia sociale relativa alla terra”.

L’Arcivescovo è stato presidente della Conferenza episcopale africana. Ora si dedica a promuovere una maggiore comprensione e un miglior dialogo tra le comunità musulmana e cristiana in Nigeria. Ha anche fatto appello ad una maggiore responsabilità dei media nel riferire sulle tensioni tra queste due comunità.

In questa intervista, il presule parla in particolare del divario tra ricchi e poveri in questo Paese, nonché della cultura profondamente spirituale dei nigeriani, della mentalità politica secondo cui chi vince prende tutto, e di come condurre un costruttivo dialogo interreligioso.

Nel corso dell’ultimo decennio, circa 3.000 persone sono state uccise a causa delle violenze interetniche e interreligiose. Qual è la fonte di queste violenze?

Monsignor Onaiyekan: Questa è la triste notizia: che molte vite si siano perse in conflitti che hanno una connotazione religiosa e che sono spesso considerati come conflitti religiosi. Bisogna invece ricordare che migliaia di persone muoiono nel mio Paese ogni anno per motivi comuni: quelli che muoiono negli ospedali per nessun’altra ragione che la cattiva gestione o quelli che muoiono per conflitti in zone in cui non vi sono né cristiani né musulmani. Nessuno parla di queste morti e ci si concentra solo sulle violenze tra musulmani e cristiani.

Stiamo parlando piuttosto di una cultura in cui la vita umana ha poco valore in generale e lo dico da nigeriano, con tutto il senso di responsabilità e di tristezza. Bisogna collocare tutto in questo contesto per poter parlare di quei 3.000, che è normalmente il numero che si calcola di persone che hanno perso la vita soprattutto nel Nord della Nigeria.

Intorno alla zona di Jos?

Monsignor Onaiyekan: La zona di Jos è solo l’ultima parte, perché ci sono altre zone in Nigeria dove vi sono contrasti: negli stati di Kaduna e Bauchi, dove a causa delle famose vignette danesi vi sono state sommosse a Duguri e dappertutto, e poi anche nell’altopiano di Jos.

Jos è particolarmente sorprendente perché non ha una grande popolazione musulmana, né è un luogo caratterizzato dalle tensioni tra cristiani e musulmani. È una zona prevalentemente cristiana e siamo particolarmente sorpresi del tipo di violenza che vi si perpetra. In secondo luogo, che sia a Jos o in qualunque altro posto, la gente non si attacca reciprocamente solamente a motivo della religione.

Ma quando lo leggiamo nelle notizie, come è avvenuto di recente per le violenze tra cristiani e musulmani, si dice esattamente questo: che è una violenza di natura religiosa. Se non è quella la causa, allora qual è?

Monsignor Onaiyekan: La dimensione religiosa può essere presente perché – e questo è uno dei casi in cui una cosa buona può diventare cattiva – i nigeriani sono profondamente religiosi. Sono profondamente impegnati nella loro fede, nel senso che tutto quello che fanno, lo fanno con fervore religioso. Quando due persone litigano – per esempio al mercato – e casualmente uno è musulmano e l’altro cristiano, immediatamente la gente dirà: “quel musulmano e quel cristiano stanno litigando”. Non direbbero “questi due nigeriani”, come dovrebbe essere, e credo che è per questo che facilmente appare come un conflitto religioso.

Nel caso di Jos le questioni sono molto chiare: la dicotomia è tra coloro che sono considerati “indigeni” dell’altopiano e coloro che sono considerati “immigrati” in quel luogo. Il problema non è che siano immigrati, perché in tutta la Nigeria vi sono immigrati e indigeni. Il problema nell’altopiano è che gli immigrati pretendono pieni diritti al pari degli indigeni, una rivendicazione con cui io personalmente concordo e non solo per lo Stato dell’altopiano ma per l’intera Nigeria.

Quali altri elementi entrano in gioco?

Monsignor Onaiyekan: Bisogna poi ribadire che i nigeriani non sono solo cristiani o musulmani. I nigeriani sono anche hausa, ibo e yoruba. I nigeriani hanno anche diverse ideologie politiche. E il più grande elemento di differenziazione tra i nigeriani oggi, e quello che causa i maggiori problemi e che costituisce la più grave minaccia alla pace in Nigeria, non è la questione tra cristiani e musulmani, ma è l’ingiustizia sociale relativa alla terra. È questa la grande differenziazione, il grande divario tra i pochi che sono molto ricchi e la stragrande maggioranza che è povera in una nazione che dovrebbe essere molto ricca.

I pochi ricchi, la maggior parte dei quali è formata anche da ladri, briganti che ci rubano i soldi, gente corrotta, sono cristiani e musulmani, che vanno bene d’accordo nei consigli d’amministrazione. I poveri che soffrono sono anch’essi cristiani e musulmani, e vanno d’accordo tra loro perché hanno gli stessi problemi. Queste sono le cose a cui dobbiamo guardare molto, molto attentamente, e chi vive in Nigeria deve avere questa lente con cui vedere le cose e non essere trascinato da spiegazioni che sembrano molto semplici e chiare, ma che sono troppo semplicistiche.

Quindi possiamo dire che il successo politico in Nigeria si traduce in un maggiore potere economico?

Monsignor Onaiyekan: Sì, è una mentalità in cui chi vince prende tutto. Se fai parte della compagine governativa ottieni il pacchetto completo, promozioni, mentre i tuoi figli ottengono incarichi nel governo. Se appartieni all’opposizione, non ottieni niente. Se poi appartieni anche a una tribù diversa – poiché la differenziazione politica spesso corrisponde a quella etnica – e per giunta anche a un’altra religione, diventa facile dire che i cristiani e i musulmani sono in lotta fra loro, e questa è l’immagine che si vede in tutto il mondo.

Non ho mai visto un caso in cui in Nigeria abbiamo combattuto sulla questione se Gesù sia o meno Dio, che pure è tra le maggiori differenze teologiche tra cristiani e musulmani. Non abbiamo mai lottato per quello, né abbiamo mai litigato sulla questione se Maometto sia o meno un vero profeta. Abbiamo lottato per la terra. Abbiamo lottato per i pellegrinaggi – tra chi va a La Mecca o a Gerusalemme. Abbiamo litigato su quanti ministri fossero musulmani e quanti cristiani. Abbiamo lottato su chi sia il capo di questo o quel partito. Queste sono le cose su cui litighiamo.

Perché allora questo conflitto è dipinto come una questione religiosa e non per ciò che realmente è: un conflitto economico-politico?

Monsignor Onaiyekan: È a causa della natura della comunità nigeriana. Noi ci identifichiamo molto facilmente come cristiani o come musulmani. In Nigeria, la domenica, le chiese sono tutte piene. Tutti vanno in chiesa la domenica. Se sei cristiano e vivi con un musulmano, e te ne stai in casa la domenica, lui ti chiederà: “Perché non vai in chiesa? Che ti succede? Hai qualche problema?”. E il cristiano direbbe la stessa cosa al musulmano. È quasi come se la propria identità si definisse in termini di appartenenza religiosa. Per questo, ogni cosa che si fa è considerata cristiana o musulmana.

In secondo luogo, quando due persone stanno litigando, cercheranno di utilizzare ogni risorsa a loro disposizione per trarne un vantaggio. Quindi, se il mio rivale è musulmano e io stessi perdendo, direi: “guardate come vengo trattato io che sono cristiano”. Come San Paolo, quando si trovava di fronte al Sinedrio, che si guardò intorno per individuare dei faris
ei tra i sadducei e disse “io sono fariseo e per questo sono sotto accusa”, per ottenere il sostegno dei farisei. C’è anche un po’ di questo. Da parte musulmana, c’è chi vuole attirare la solidarietà dei musulmani all’estero. E vediamo come questo accada per entrambe le parti.

Ma la questione allora è che mentre sta avvenendo questo, non si pensa molto a quale possa essere la conseguenza finale. Stiamo camminando verso una risoluzione dei nostri problemi per vivere insieme, o ci stiamo preparando per la guerra, a un combattimento tra cristiani e musulmani?

Lei ha citato interessi esterni. Esistono interessi esterni che alimentano questo conflitto e di che interessi si tratta?

Monsignor Onaiyekan: Molti interessi sono coinvolti, ma a mio avviso, poiché stiamo parlando degli elementi religiosi, esistono ovviamente, per entrambe le parti, correnti convinte che gli altri siano miscredenti. Molte persone in Nigeria guardano la televisione o ascoltano i sermoni dello Yemen che vengono mandati in onda dai canali islamici; non è necessario andare all’estero per sentire queste cose. Vi sono piccoli gruppi, all’interno delle due compagini, che sono molto pericolosi.

Esistono anche cristiani che dicono cose terribili sui musulmani. Credono che il musulmano che va a La Mecca, vada a rendere culto a un idolo, a una pietra, e che non potranno mai neanche avvicinarsi al paradiso, perché Gesù ha detto che chi non rinasce dall’acqua e dallo Spirito non entrerà nel Regno di Dio. Quando qualcuno dice pubblicamente e direttamente queste cose ai musulmani, questi si sentono provocati. Ma, ancora una volta, si tratta di piccoli gruppi. La nostra Chiesa non insegna questo. Ma quando si verificano questi contrasti, è l’intera comunità che si trova coinvolta e questo è un grande problema. L’ultimo motivo che citerei è che – poiché stiamo parlando in termini di comunicazione – talvolta i giornalisti sono pigri.

Quanta responsabilità possiamo attribuire ai media e perché?

Monsignor Onaiyekan: Credo che talvolta i giornalisti siano un po’ pigri perché hanno le loro idee già preconfezionate su quale sia il tipo di violenza in Nigeria. È più facile dire: “abbiamo spiegato tutto, si tratta solo di questi musulmani e cristiani che continuano a combattere tra di loro”. Non si prendono la briga di andare a scoprire un po’ meglio le vere cause del problema. Altre volte dipende anche da chi si chiama in trasmissione. Se si chiama una di quelle persone che credono che dobbiamo unire tutte le forze cristiane per contrastare i musulmani una volta per tutte, allora emergerà quel tipo di versione. I giornalisti dovrebbero invece dire: “Io devo indagare. Non mi posso accontentare di aver parlato con una persona della folla che ha detto questo, ma devo ascoltare molte voci per poter poi esprimere commenti al riguardo”.

Lei avrebbe detto che il brano di Matteo 25 esprime al meglio il Cristianesimo. Ci può dire in che modo esso riguarda la questione tra musulmani e cristiani?

Monsignor Onaiyekan: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Questi gli chiesero: quando abbiamo fatto tutto questo? E Gesù rispose: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Non riesco a vedere un motivo per cui ciò debba essere interpretato nel senso che: ogni volta che l’avete fatto a uno dei miei fratelli “cristiani” più piccoli. No. Per me è la cartina di tornasole di chi si è veramente: se non si è stati buoni con il prossimo, non si potrà dire di essere graditi a Dio. Questa è un’idea che deriva direttamente dal Nuovo Testamento. Il modo in cui lo ponevo alla mia gente ad Abuja è: “Ascoltate fratelli: è meraviglioso essere cattolici e se voi siete cattolici avrete un grande riconoscimento in paradiso, ma io vi dico che a voi non vi sarà chiesto il certificato di battesimo alle porte del paradiso”.

In altre parole, Matteo 25 non dice: “Sei battezzato? A quale Chiesa appartieni?”. La parabola è molto potente e io la uso anche per attirare l’attenzione dei politici. Se sei un politico e puoi dare da mangiare ai poveri, ma non hai fatto nulla e hai trascorso il tempo rubando denaro, ne dovrai rispondere alle porte del paradiso.

Lei ha detto che la Bibbia può essere una fonte utile per una migliore comprensione tra cristiani e musulmani. Ma la domanda è: il nigeriano musulmano conosce la Bibbia?

Monsignor Onaiyekan: Per rispondere in modo diretto alla sua domanda: sì. Il nigeriano musulmano in effetti conosce la Bibbia più di quanto un nigeriano cristiano conosca il Corano, per il semplice motivo che molti nigeriani musulmani hanno frequentato le scuole cattoliche e cristiane, dove hanno letto la Bibbia. Alcuni musulmani, alcuni buoni studenti musulmani, hanno svolto studi biblici per ottenere buoni voti nei loro esami. Quindi, generalmente, il nigeriano musulmano ha molta più familiarità con gli insegnamenti cristiani rispetto ai cristiani con il Corano.

Ma per arrivare al punto da lei sollevato: la mia convinzione è che la Bibbia dovrebbe non solo aiutarci a intrattenere buoni rapporti con il mondo islamico, ma anche il mondo islamico dovrebbe trarre dalle proprie fonti spirituali quegli elementi che aiuterebbero a sostenere gli sforzi del dialogo interreligioso. Dico sempre ai miei colleghi e fratelli musulmani che se dovessimo cercare passaggi della Bibbia sulla lotta, ne troveremmo in abbondanza. Basterebbe vedere in Giosuè e Giudici, per vedere come Dio lotta per ciò che è suo e come distrugge il nemico. Io potrei richiamare questo testo, ma non lo faccio perché ho altri testi che mi incoraggiano a vivere in pace con tutti.

Gesù è venuto ed è morto per l’intera umanità, il che significa per me che tutti sono miei fratelli e sorelle. Nell’Islam, il Corano contiene passaggi terribili, che in sostanza significano che i non credenti devono essere convertiti o uccisi. Queste cose ci sono scritte e un musulmano onesto vi dovrebbe dire: “Questi passaggi sono per noi un problema”. Io dico: “Sì, ma avete anche altri passaggi, molti testi che dicono che non vi dovrebbe essere violenza nella religione”. Un brano dice chiaramente persino che “Se Allah l’avesse voluto, avrebbe fatto di noi tutti un’unica nazione, una sola religione, ma Lui ci ha lasciati così, perché noi potessimo vivere in pace e perché Lui potesse alla fine vedere chi sarà stato bravo”. Quando ci si incontra su queste basi, si riesce a camminare bene insieme, senza dover compromettere le nostre credenze fondamentali.

Quindi un musulmano dovrebbe essere un buon musulmano e un cristiano un buon cristiano?

Monsignor Onaiyekan: Esatto, perché il dialogo possa essere efficace. La questione è cosa significa essere un buon cristiano e cosa essere un buon musulmano? Ma io credo che entrambe le fedi si trovino d’accordo nel dire che quando ci si inizia a uccidere reciprocamente non si sta facendo la volontà di Dio.

Ma nel Nuovo Testamento, il passaggio del Discorso della montagna – di porgere l’altra guancia – potrebbe essere, per esempio, qualcosa di incomprensibile per un musulmano?

Monsignor Onaiyekan: Io non credo che tutti lo comprendano. Voglio dire: chi è che veramente porgerebbe l’altra guancia? Queste sono gli aspetti radicali del Vangelo cristiano.

Ma, per intenderci: per un musulmano, porgere l’altra guancia non è segno di debolezza?

Monsignor Onaiyekan: Sì, non solo è segno di debolezza, ma è persino sbagliato, perché incoraggia chi è malvagio a continuare nel suo atteggiamento.

A fare il male?

Monsignor Onaiyekan: Sì, perché è nostro dovere fermare i malvagi dal comm
ettere il male. Io credo che sia un dovere anche per i cristiani disarmare gli aggressori. È nostro dovere, un diritto e un dovere, disarmare gli aggressori. Ma come si fa? Non significa necessariamente che si deve puntare un bazooka e farlo a pezzi quando è possibile disarmarlo. Ma vi sono decisioni pratiche che devono essere prese al momento.

Così, nel caso dei cristiani e musulmani, la lezione che si trae dal porgere l’altra guancia non è quella di invitare chi ha bruciato la tua chiesa a bruciare anche l’altra. No. Ma di essere pronti a perdonarlo. Il problema più grande è quello del perdono. Siamo pronti a perdonare?

I musulmani con cui dialogate lo accettano e capiscono?

Monsignor Onaiyekan: Noi dialoghiamo a un livello pratico. Il consiglio che gli do è che non è giusto dare uno schiaffo a un’innocente nella speranza che porga l’altra guancia. Anzitutto non è giusto dare schiaffi, ma se ne ricevi uno dovresti sapere come rispondere. Gesù, nei giorni della sua Passione, viene schiaffeggiato dal servo del sommo sacerdote che gli dice: “così rispondi al sommo sacerdote?”. È interessante notare la risposta di Gesù: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Quindi Gesù ci dà un buon esempio su come porgere l’altra guancia. Questo dimostra come fare buon uso del testo biblico.

Abbiamo parlato del dialogo in queste situazioni complicate. Lei è fiducioso?

Monsignor Onaiyekan: Sono un ottimista incorreggibile e cerco sempre il lato migliore in tutto e anche perché credo che sia un atteggiamento propriamente cristiano. Noi crediamo in Gesù risorto e che il Suo Spirito ci muova. Per questo non temiamo, ma a parte questo, anche considerando la realtà dei soprusi, io amo fortemente la Nigeria e tutta la sua meravigliosa gente. La grande maggioranza dei nigeriani di tutte le fedi sono persone meravigliose, che quando vedono una cosa buona la apprezzano e la prendono. Il nostro grande problema è che abbiamo bisogno di un buon governo, un governo forte che possa galvanizzare tutte queste cose meravigliose e non solo le risorse naturali, ma soprattutto quelle umane della Nigeria.

Con l’aiuto di Dio non ci saranno più problemi tra cristiani e musulmani. La mia visione è che la Nigeria sarà un modello di convivenza tra cristiani e musulmani per tutto il mondo, perché la nostra cultura ha il maggior numero di cristiani e musulmani che vivono insieme nello stesso Paese. In altri Paesi, la religione o è una maggioranza o una minoranza e qualunque cosa facciano rimangono divisi. In Nigeria noi siamo uguali, ci affrontiamo guardandoci negli occhi e siamo concittadini dello stesso Paese o persino membri della stessa famiglia.

* * *

Questa intervista è stata condotta da Marie-Pauline Meyer per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

Where God Weeps: 
www.wheregodweeps.org/countries/nigeria

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ZENIT Staff

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