Un anno fa l'assassinio di Shahbaz Bhatti

Secondo i vescovi pakistani il suo martirio “non è stato inutile”

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ROMA, venerdì, 2 marzo 2012 (ZENIT.org) – A un anno dall’assassinio di Shahbaz Bhatti, si moltiplicano in Pakistan le iniziative in suo ricordo e per mantenerne viva la battaglia. Bhatti, cattolico, 42 anni, ministro per le minoranze religiose del governo di Islamabad, fu ucciso il 2 marzo 2011, con 30 colpi di arma da fuoco.

Sua principale ‘colpa’ era stata quella di essersi opposto alla legge anti-blasfemia, per la quale era stata condannata a morte un’altra pakistana cristiana, Asia Bibi, di cui Bhatti aveva pubblicamente preso le difese.

Secondo quanto riferisce l’Agenzia Fides, il responsabile asiatico di Amnesty International, Sam Zafiri, ha accusato il governo pakistano di essere rimasto inerte di fronte all’escalation di violenza e di fanatismo islamico, di cui sono vittima sia i cristiani che i musulmani.

Nel 2009, ha ricordato Zafiri, l’esecutivo di Islamabad si era impegnato a rivedere “le leggi dannose per l’armonia religiosa”: una promessa rimasta poi lettera morta.

Organizzazioni non governative come la Christian Solidarity Worldwide e All Pakistan Minorities Alliance hanno chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul delitto Bhatti, perché le indagini “giungano a una conclusione soddisfacente”, oltre che “per chiarire che lo stato di diritto significa ancora qualcosa in Pakistan”.

Dichiarazioni contro la legge anti-blasfemia arrivano anche dalla Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale e dalla ONG Human Rights First. Quest’ultima ha sottolineato in particolare le “pressioni” con cui i gruppi estremisti hanno ottenuto il ritiro delle proposte di modifica della legge, in particolare quelle che rafforzavano i “requisiti legali per le prove”, punendo chi presentasse “false accuse di blasfemia”.

Nel suo testamento spirituale Shabhaz Bhatti aveva scritto: “Io voglio servire Gesù, da uomo comune” e “Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire”. E aveva sottolineato di aver rifiutato importanti cariche amministrative, offertegli a prezzo dell’abbandono della sua battaglia in difesa delle minoranze religiose.

In un’intervista a Radio Vaticana, Paul Bhatti, fratello del ministro assassinato e consigliere speciale del premier pakistano, ha dichiarato di nutrire speranza, nonostante l’autentico assedio cui sono sottoposti i cristiani nel suo paese.

“Chi lo avrebbe immaginato: c’è un desiderio nei giovani di seguire l’esempio di mio fratello, sono ispirati dalla sua immagine”, ha affermato Paul Bhatti.

Nel frattempo la Conferenza Episcopale Pakistana è in attesa di una risposta dalla Santa Sede circa la richiesta di avvio della procedura per dichiarare Shahbaz Bhatti martire della fede cristiana. Domenica prossima la questione sarà affrontata nel corso dell’Assemblea Annuale della Conferenza Episcopale a Lahore.

“La sua figura è particolarmente significativa per i giovani, che sono determinati a dare una autentica testimonianza della fede in Cristo, seguendo l’esempio di Bhatti”, ha dichiarato a Fides, monsignor Andrew Francis, vescovo di Multan e presidente della Commissione per il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale.

Monsignor Francis ha inoltre affermato che il martirio di Bhatti “non sarà inutile” e che il suo ricordo “farà crescere molti nuovi evangelizzatori”.

“Come Vescovi lo stiamo ponendo nella giusta prospettiva, quella evangelica, della fede e della speranza. Se il chicco di grano non muore, non porta frutto”, ha aggiunto il presule.

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ZENIT Staff

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