di H. Sergio Mora
ROMA, martedì, 6 marzo 2012 (ZENIT.org) – Si era iscritta all’università nel 1969, come molte delle sue compagne, e non era indifferente all’idea dei profondi cambiamenti in atto in quegli anni. Anche lei scappò da casa, non però inseguendo sogni egoistici di liberazione ma per aiutare gli ultimi “quelli che hanno delle difficoltà così gravi che neanche possono pronunciare la parola grazie”.
Suor Michela Carrozzino per la sua vocazione scelse l’opera Don Guanella, dove è impegnata anche nella creazione di Organizzazioni Onlus che hanno come protagonisti i giovani con lo scopo di portare un rinnovamento spirituale e culturale nella società e un abbattimento di barriere particolarmente per le persone disabili nei mari del mondo.
A due giorni dalla Festa della Donna, Zenit propone questa intervista, una storia particolare, come quella di migliaia di altre donne religiose che hanno scelto Gesù.
Suor Michela, mi parli un po’ della sua giovinezza.
Suor Michela: Vengo dal sud dell’Italia, una terra ricca di relazioni umane, sono nata a Marina di Belvedere, Provincia di Cosenza. Ero una studentessa molto vivace. Mi ero iscritta all’università a Napoli e, nel momento in cui i giovani facevano una rivoluzione nella società – nel famoso ’68 – anch’io ho iniziato a pensare come attuare una rivoluzione speciale, quella dell’amore. Nel 1970 sono scappata di casa per abbracciare la vita religiosa. Gli studi li feci poi alla Gregoriana e alla LUMSSA di Roma dove sono stata anche docente per 10 anni.
Come arriva alla decisione di farsi suora?
Suor Michela: Mi sono trovata in un gruppo di giovani a cui un sacerdote domandò: “vi siete mai chiesti cosa volete farne della vostra vita?”. Veramente questa è una domanda che non mi ero mai posta. La riflessione e la preghiera mi hanno poi orientato a donare la mia vita a Cristo.
Come ha conosciuto l’Opera Don Guanella?
Suor Michela: Questo è un fatto misterioso anche per me. Non sapevo neppure che esistessero le guanelliane. Ero studentessa diciassettenne presso un istituto superiore ma ci fu un episodio che cambiò la mia vita. A seguito di un’aperta e tenace difesa verso una mia compagna, perché “il castigo” che le veniva dato era sproporzionato, ingiusto e anche dannoso rispetto alla bravata giovanile che aveva commesso, non ci furono ragioni di sorta per convincermi a ritornare in quel collegio. I giovani hanno una particolare sensibilità verso la giustizia Oggi direi: dalla parte dei più deboli da sempre! Allora mio padre fu costretto a cercarmi un altro collegio e, scegliendo le guanelliane, la prima umiliazione la subì lui stesso. I suoi amici, quando seppero che per proseguire gli studi frequentavo un collegio guanelliano, lo assalirono chiedendogli perché avesse scelto per una ragazza senza problemi un collegio di suore che appartenevano ad una Congregazione che si occupava di persone con ritardo mentale. Infatti, ancora oggi, Don Guanella è sinonimo di povertà, emergenza, disabilità.
E come scelse l’ordine religioso?
Suor Michela: Sono stata attratta dall’amore che ha avuto Luigi Guanella per quelli di nessuno e quindi ho scelto una congregazione dove c’era la possibilità di mettere al servizio degli altri la mia vita e allo stesso tempo con quella gratuità di non sentirmi dire neanche grazie. I primi anni ho lavorato a contatto diretto con ragazzi disabili talmente gravi, che il loro grazie lo trasmettevano con l’affetto, ma nessuno sapeva pronunciare la parola grazie.
Quali iniziative porta avanti nell’ambito dell’opera di Don Guanella?
Suor Michela: Oltre a dirigere il Centro Ricerca della Congregazione e ad occuparmi di scrivere la storia del Fondatore e della Congregazione, mi sono dedicata a promuovere lo sviluppo di servizi in terre povere. Sono convinta che fede e cultura, con la grazia di Dio, sono il generatore di ogni possibile opera di bene. In Calabria è nata l’Associazione Oasi Federico, che si occupa dei disabili e il Centro per tutti Benedetto XVI che gode della presenza dei volontari molti di loro studenti e laureati. Il gruppo si chiama Mani Guanelliane. Poi l’altra associazione, Mediterraneo senza Handicap, che opera per favorire un cambiamento di mentalità ed è operativa nei Paesi in via di sviluppo: in questi paesi la povertà è tanta ma i disabili sono i più poveri tra i poveri.
Come nasce Mediterraneo senza handicap?
Suor Michela: È nata quando Giovanni Paolo II ha chiesto all’Opera guanelliana di “allargare la tenda della carità”. Non ci sono vocazioni sufficienti per rispondere ai tanti bisogni. Sono convinta che la tenda della carità si allarga facendo camminare il cuore, i pensieri e coinvolgendo gli altri all’interno dei Progetti che si propongono. Guardare alle persone disabili, nella massa di poveri dove tutti hanno bisogno di soccorso, è un dono di sensibilità che viene dall’Alto. In alcuni di questi Paesi in via di sviluppo c’è una duplice disabilità, poiché alla discriminazione dell’essere donna si somma la menomazione e purtroppo, a volte, succede anche nei Paesi occidentali.
Fra un po’ terrete un congresso, vero?
Suor Michela: Sì, dal 19 al 21 aprile saremo a Madrid per I paradossi della disabilità. Autonomia, Capacità, Dipendenza con l’adesione di oltre 20 Paesi, europei e non. Ci sarà anche rappresentanti del Corno d’Africa. Qui con il vescovo di Gibuti, Mons. Bertin, abbiamo pensato di fare intervenire la Somalia e lo Yemen. Il ministro della famiglia della Repubblica di Gibuti ha già partecipato ai nostri incontri internazionali e l’anno scorso nella stessa capitale abbiamo organizzato un momento di sensibilizzazione e radunato i responsabili di persone disabili dai Paesi limitrofi, compreso Etiopia ed Egitto.
Come lavorate in questi posti, chi sono i volontari?
Suor Michela: Cerchiamo di coinvolgere il più possibile la gente del posto. Le persone più sensibili sono le donne. Ci siamo inventati un sistema che mi piace chiamare “terapia in famiglia”, una modalità di intervento che coinvolge le mamme in modo che si possa prendere cura dei loro bambini anche con semplici elementi di base. Se ci sono bambini disabili che hanno difficoltà di deambulazione, per esempio, le mamme se li tengono in braccio, invece, in certi casi, abbiamo fatto capire alle mamme che un certo tipo di ginnastica li può aiutare a fare piccoli progressi. Le mamme sono ricettive e, se seguite e formate, possono essere davvero le prime terapiste dei loro bambini.
E nei Paesi mussulmani come operate?
Suor Michela: Nei Paesi mussulmani è molto bello vedere queste donne, a volte con il burqa, che si avvicinano, sapendo che siamo di religione cristiana, vedono che sono una religiosa, e poi le barriere cadono. Le donne quando entrano in sintonia e devono provvedere a qualcuno che è nel bisogno sanno andare veramente “oltre”.
Quindi le donne riescono a capirsi al di là di ogni barriera?
Suor Michela: Nelle donne, c’è quello che Giovanni Paolo II definiva il “genio femminile”. Riescono a trovare la strada per insinuarsi nel cuore dell’altro, al di là di tutto. Rispetto e dialogo reciproco permettono di operare il bene in ogni contesto.
E nell’approccio interreligioso ed interculturale?
Suor Michela: Facile non è. Ma quando c’è rettitudine di fondo e una stima reciproca, il dialogo sorge spontaneo ed è corretto e si superano anche le difficoltà. Le donne che hanno la carità nel cuore e nelle mani, una rettitudine di coscienza e uno sguardo lungo, secondo me, possono stare in qualsiasi parte del mondo, pos
sono parlare con qualsiasi persona.
Perché si vedono più donne in chiesa che uomini?
Suor Michela: Non so se questo dato sia completamente vero. In ogni caso io credo che la donna abbia una apertura a Dio a 360 gradi. La donna sente il vincolo sponsale particolarmente forte e non riesce a vivere senza amare e manifestare il suo amore, lo fa con Dio ed è portata a farlo con le persone più deboli.