di José Antonio Varela Vidal
ROMA, mercoledì, 14 marzo 2012 (ZENIT.org) – La prima parte dell’intervista ai sacerdoti del Pontificio Collegio Messicano è stata pubblicata martedì 13 marzo.
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Come è la situazione della libertà religiosa in Messico?
Padre Armando Flores Navarro: Bisogna intendere questo tema in una prospettiva storica. La relazione della Chiesa con lo Stato messicano non è mai stata facile per ragioni storiche che i vescovi hanno illustrato nella loro lettera pastorale del 2000 intitolata Dall’incontro con Gesù Cristo alla solidarietà con tutti. I progressi ottenuti in materia di libertà religiosa sono importanti ma non sufficienti, visto che la nostra legislazione non si pone all’altezza di molti Paesi civilizzati del mondo, che danno alla libertà religiosa il posto che ha nei diritti umani. In Messico ha avuto luogo una grande riforma costituzionale, approvata di recente nella lettera, che ha i diritti umani come base e fondamento della legislazione nazionale. Ma questo passo, da ciò che prima venivano chiamate le “garanzie individuali” concesse dallo Stato fino al riconoscimento dei diritti umani, è notevole e in questa congiuntura si inserisce il diritto alla libertà religiosa. Ci sono una serie di innovazioni che si stanno dibattendo, alcune delle quali il Congresso ha già approvato ma che il Senato continua a respingere, non solo per quanto riguarda la libertà religiosa in generale, ma anche la libertà della Chiesa cattolica in alcuni settori, come l’istruzione, le comunicazioni, la manifestazione pubblica delle idee, su cui c’è un forte dibattito. In queso ambito noi dobbiamo avere un po’ di “pazienza storica”, non fare passi affrettati, perché, pur nella fermezza, dobbiamo saper “convincere senza irritare”, come ha detto Newman, al fine di non polarizzare e non ferire sentimenti che sono molto rispettabili, che forse non condividiamo ma che possono avere qualche ragione storica.
C’è un tema di cui si parla sempre, cioè quello legato alla religiosità popolare in Messico. Cosa si può fare per evitare che questa manifestazione non distolga i fedeli dal “nucleo” della fede?
Padre Javier Yael Cebada: Si tratta di un elemento che noi apprezziamo, perché la religiosità popolare non è un elemento negativo nello stesso processo di crescita dei fedeli. È un’espressione di cui ci serviamo per integrarli ancora di più in questo cammino di fede, affinché non sia “dislocata” ma parte del loro cammino e loro possano imparare a far maturare la loro fede.
Padre Armando Flores Navarro: Penso che sia necessario intendere la religiosità popolare come un vivere il Vangelo con la semplicità di uomini e le donne che non pongono molte domande e che offrono a Dio la loro fede in modo semplice. Penso che sia soprattutto un’occasione per presentare le novità del Vangelo toccando la vita della comunità, che si esprime in modo semplice con canti, preghiere, traduzioni cicliche, perché tutto ciò che esprime è legato alla vita. E come ci è stato insegnato dal Concilio Vaticano II, a Puebla, fino ad Aparecida, dobbiamo riconoscere la genuinità e il valore della pietà popolare, ma anche purificarla, perché al suo interno ci possono essere delle distorsioni o un effetto opposto di quello che si cerca in un’autentica religiosità.
E la “devozione” alla Santa Morte, che origine ha?
Padre Emmanuel Leal Montes: Non è una devozione cristiana né cattolica. La qualificherei come una “pseudo-devozione” che spesso – non sempre – è legata al narcotraffico, alla violenza e che si perde nell’espressione popolare della fede e si allontana dal contenuto del Vangelo e ciò che la Chiesa afferma rispetto al culto. Non è che ci sia una guerra contro i seguaci della Santa Morte ma, attraverso i vescovi, la chiesa ha indicato che è una forma di culto che non corrisponde alla fede cristiana – che deve rendere culto di adorazione solo a Dio – e collocare il tema della morte nel contesto cristiano.
Padre Javier Yael Cebada: Dobbiamo stare attenti alla deformazione della fede in Messico e altrove. Perché il tema della mal chiamata “Santa Morte” non corrisponde alla promozione della Buona Novella che è Gesù Cristo e che è promozione della vita. Dobbiamo anche prestare attenzione a ciò che corrisponde alla nostra fede, da quello che la distorce e la sporca. È un argomento delicato che dobbiamo saper distinguere con la nostra gente, individuare quello che corrisponde alla nostra fede e distinguere quello che è marginale per non confonderlo con la fede cristiana.
Quale è il vostro messaggio per i nostri lettori che si preparano alla visita del Papa in Messico e Cuba?
Padre Emmanuel Leal Montes: Dobbiamo essere molto attenti alla visita del Papa al nostro Paese e concentrarci sull’elemento centrale dell’evento centrale, che è il Papa e il suo messaggio, ascoltandolo in tutta la sua ricchezza, come un messaggio di speranza che ci incoraggia a continuare l’opera dell’evangelizzazione. E poi chiederei di essere uniti nella preghiera affinché questo viaggio si svolga senza contrattempi e che lo Spirito Santo operi nel Papa e nel suo messaggio.
Padre Javier Yael Cebada: Che ci diano la possibilità di ascoltarlo e di scoprire come lui sappia intrecciare tanti fili della nostra vita interiore, familiare e nazionale. E infine chiederci: che cosa rimarrà, dopo questa visita, nel mio impegno personale, familiare, ecclesiastico e con la mia gente in Messico?
Padre Armando Flores Navarro: Ad attirare la mia attenzione è un’immagine di una visita del Papa, nella quale alcuni ragazzi indossavano una maglietta di calcio, con il nome Benedetto e il numero 16 sul retro. Questo sarebbe il messaggio, specialmente ai giovani: portare la maglietta di Benedetto XVI e condividere con tutti le speranze, aspettative e paure per rafforzarci gli uni gli altri. E sentire che il Papa è qualcuno di casa nostra, che viene a stare con noi, per cui l’ambiente di preghiera, di buona atmosfera e di comunità che possiamo creare sarà molto importante. Durante la visita bisogna essere molto attenti ad ascoltare, perché a differenza di Giovanni Paolo II che la gente amava vedere, Papa Benedetto XVI piace soprattutto sentirlo. Tutto ciò perché è un uomo molto intelligente – al punto che alcuni lo hanno già definito un Padre della Chiesa – ci parla con saggezza e profondità ma, allo stesso tempo, con una semplicità capace di illuminare e rappresentare la speranza anche nella situazioni più difficili della vita della Chiesa e della società. Nel “dopo”, bisogna stare molto attenti per ricevere luce per la costruzione della pace, per il superamento della povertà e della disuguaglianza, come anche sul tema della Missione Continentale e della promozione della Nuova Evangelizzazione. Per i fratelli sacerdoti è una buona occasione per rafforzarci nella vocazione. Rimango perplesso quando leggo alcuni giornali in Messico che strumentalizzano la visita e mi chiedo: come posso avere paura di un uomo di 85 anni? Molto eloquente per noi sacerdoti è la vitalità che il Papa ha e come rimane fedele al suo ministero. Con un peso tremendo sulle spalle, ha una disciplina di vita: si prende il tempo per pregare, riposare, passeggiare, leggere, scrivere, suonare il pianoforte, così come ricevere in udienza numerosissime persone che vogliono vederlo, o dedicarsi agli affari della Curia e al governo della chiesa… Penso che nessun sacerdote abbia un pretesto per non fare lo stesso, ed inoltre può darci un gran orizzonte al nostro ministero in due campi: l’amore e la verità.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Pau
l De Maeyer]