di Salvatore Cernuzio
VENEZIA, martedì, 27 marzo 2012 (ZENIT.org) – In un vero clima di festa, domenica 25 marzo, è stato accolto dai veneziani il nuovo Patriarca, S.Ecc. mons. Francesco Moraglia, che ha fatto il suo ingresso nella città lagunare su una gondola, tipica imbarcazione veneziana, seguito in corteo da numerosissime imbarcazioni delle società remiere locali.
Il Patriarca ha attraversato tutto il Canal Grande, dalle cui sponde circa 20mila fedeli attendevano trepidanti il suo passaggio, fino ad arrivare al molo di piazza San Marco, dove erano pronti ad accoglierlo il sindaco Giorgio Orsoni e altre autorità per porgere il loro saluto di benvenuto.
Quasi stupito dall’accoglienza a lui riservata, mons. Moraglia ha ringraziato vivamente i numerosi fedeli che gremivano la piazza, tra cui il sindaco di La Spezia (precedente diocesi guidata da Moraglia), Massimo Federici, con un seguito di duecento spezzini.
Rivolgendosi alle autorità, il prelato ha sottolineato l’importanza di una seria riflessione sull’attuale crisi economica che sta investendo non solo il Veneto, e di una sincera collaborazione per il bene comune, portando l’attenzione sui giovani, le famiglie e il lavoro, auspicando chiarezza e responsabilità politica e ricordando che “i doveri vengono prima dei diritti”.
Dopo il breve intervento, con una solenne processione formata da centinaia di sacerdoti e diaconi, mons. Moraglia ha fatto il suo ingresso in Basilica, all’interno della quale lo attendevano una decina di Vescovi, per la tradizionale celebrazione eucaristica che ha dato ufficialmente il via al suo ministero episcopale di 48° Patriarca di Venezia.
Nel giorno dell’Annunciazione del Signore, sotto lo sguardo materno della Madonna di Nicopeia, la Chiesa di Dio che è in Venezia, “è chiamata in modo particolare ad innalzare la sua lode”, ha detto mons. Moraglia. Tutto, ha proseguito, “esprime, infatti, lo stupore e la gioia del popolo di Dio che celebra la prima Eucaristia presieduta dal successore di San Lorenzo Giustiniani”.
Volendo rimarcare l’importanza del ministero episcopale, il prelato ha poi richiamato la testimonianza di Cipriano, vescovo di Cartagine, secondo cui il vescovo “è il sacerdote che, nel nome Cristo, guida la comunità ecclesiale”, oltre che figura su cui “è strutturalmente incentrata la Chiesa particolare”.
La comunione fra i vescovi, ha spiegato in seguito, è, secondo l’insegnamento di Cipriano, uno dei primi requisiti che il vescovo di una chiesa particolare deve avere, anche se è solo “la comunione col vescovo di Roma che garantisce la collegialità episcopale”.
Ed è proprio nella logica di questa collegialità, grazie al quale si instaura “un legame inscindibile” tra il vescovo di una chiesa particolare e gli altri vescovi, e tra loro e il Papa, “che i confratelli del Triveneto guardano, con speranza e realismo, all’imminente convegno di Aquileia 2”.
L’impegno comune, ha proseguito Moraglia, è la disponibilità ad una nuova evangelizzazione, “in vista del bene comune e nel dialogo con la cultura contemporanea” per “ricentrare la vita delle nostre Chiese”. Il primo passo in questa direzione è chiedersi come l’«educare alla vita buona del vangelo» possa avvenire in modo più efficace nelle chiese del Nordest, terra che, da sempre, svolge “la funzione di ponte tra l’Est e l’Ovest, tra il Nord il Sud del mondo”.
Oggi più che mai, dunque, la Chiesa di Venezia è chiamata a realizzare questa missione evangelizzatrice. “Ogni cammino d’evangelizzazione – ha detto il Patriarca – inizia con l’elaborazione di piani pastorali o progetti accademici delle facoltà teologiche, oppure attraverso un’auspicabile copertura del territorio da parte dei media”.
Il problema, ha precisato, è che “questi strumenti concorrono all’opera evangelizzatrice in modo eccellente”, ma non costituiscono “il fondamento della nuova evangelizzazione” che suppone invece, prima di tutto, “la rigenerazione della comunità evangelizzante nel proprio rapporto vitale con Cristo”.
Prima i discepoli, quindi, in veste di “comunità testimoniante”, e poi, gli uffici pastorali, le facoltà teologiche e la rete mediatica, che, solo in un secondo momento diventano strumenti preziosi e insostituibili per una reale missione evangelizzatrice.
Tale missione, secondo il prelato, si basa su un dono dello Spirito Santo: l’evento della Pentecoste; “senza il quale non avremmo la Chiesa comunità evangelizzata ed evangelizzatrice”.
Al di là di qualsiasi annuncio cherigmatico e catechesi degli apostoli, prima dei viaggi missionari e della fondazione delle Chiese particolari, c’è infatti questo dono dello Spirito Santo “che ha trasformato un gruppo di discepoli impauriti nella comunità del Signore risorto”, costituendo quella che oggi chiamiamo Chiesa.
La fede è l’ultimo punto su cui si è soffermata la riflessione di mons. Moraglia, in particolare, la fede dei discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca, “i quali tentano di spiegare proprio a Gesù che cosa era successo nei giorni precedenti in Gerusalemme a quel profeta potente in parole e opere, di fronte a Dio e al popolo”.
“Pare di intravedere, in questo goffo tentativo, l’immagine di certa teologia, più volenterosa che illuminata, tutta dedita all’ardua e improbabile impresa di salvare, attraverso le proprie categorie, Gesù Cristo e la sua Parola”, ha affermato il nuovo Patriarca. In questa immagine, inoltre, siamo rappresentati tutti noi “ogni qual volta, con i nostri piani pastorali, i nostri progetti, convegni e dibattitti, pretendiamo di spiegare a Gesù Cristo chi Egli è”.
Quando la fede viene meno, però, “ogni discorso teologico, ogni piano pastorale o copertura mediatica appaiono insufficienti” e ci troviamo nella stessa condizione dei discepoli di Emmaus, “incapaci d’andar oltre le loro logiche, i loro stati d’animo, prigionieri delle loro paure”.
In tal senso, ha ricordato, viene in nostro aiuto l’Eucaristia “gesto irrinunciabile e specifico del realismo cristiano, attraverso cui i discepoli vanno oltre le loro suggestioni e paure”. Nell’Eucaristia, infatti, “carità di Cristo donata qui e ora”, si dà la possibilità di rinnovare l’umanità stessa a partire dal rispetto verso ogni uomo e verso tutto quello che appartiene all’uomo”.
Il rispetto, quindi, della vita senza condizioni, ma anche l’accoglienza; l’integrazione; la promozione della famiglia; l’educazione alla pienezza della libertà; il lavoro “come diritto e dovere che tocca la dignità stessa dei lavoratori e delle loro famiglie” e il bene comune “con il contributo della dottrina sociale della Chiesa”.
L’invito finale è, in conclusione, “impegnarsi, come Chiesa di Venezia, a ricordarci reciprocamente la ricchezza e la fecondità di tale realismo cristiano”, ognuno in base alle proprie competenze e al proprio ruolo, in modo da porsi “senza arroganza, ma anche senza timori o complessi d’inferiorità”, in una testimonianza dialogica con le culture dominanti, in vista anche dello scenario dell’Anno della fede indetto da Papa Benedetto XVI.