di Salvatore Martinez
ROMA, giovedì, 4 aprile 2012 (ZENIT.org) – «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3, 7-11).
Questo brano di san Paolo, indirizzato alla comunità di Filippi, testimonia il progresso dell’amore, la progressione del Vangelo di Gesù nella vita di un uomo, la cui esistenza è stata totalmente trasformata dall’incontro con Cristo.
L’enfasi linguistica che troviamo in questo brano è certamente tra le più accorate dell’epistolario paolino.
San Paolo non fa mistero del suo smisurato amore per il Cristo: niente ormai vale più di Gesù; niente potrà più aver valore senza Gesù!
Il “profumo di Cristo” è il profumo della redenzione: accogliere la salvezza che viene da Cristo significa lasciarsi sovrastare dalla gloria che procede dalla sua croce. E siamo così alle soglie del mistero, del più “ingombrante” dei misteri della nostra fede cristiana: la croce di Cristo.
Ebbene, non c’è mysterium salutis senza mysterium crucis; non c’è salvezza senza la croce di Cristo, senza la conoscenza della croce di Cristo.
L’esperienza della croce di Cristo e la salvezza mediante essa sono gli elementi precipui della nostra fede cristiana.
San Paolo dirà: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2, 2).
Chi nel proporre la fede cristiana si appoggia soprattutto alla sapienza umana, come ad esempio capiterebbe a chi volesse procedere in dimostrazioni intellettuali attraverso metodi che vanno oltre il livello dell’immaginazione, ebbene – ancora secondo il giudizio di Paolo – renderebbe «vana la croce di Cristo» (cf 1 Cor 1, 17).
Per san Paolo, chi non si abbandona alla sapienza della croce e resiste ai suoi paradossi, «già si comporta da nemico di Cristo» (cf Fil 3, 18).
Vogliamo, dunque, cogliere “la parola della croce”. Mistero arduo e mai bastevole di umiltà e di ascolto profondo.
Tra i tanti brani apologetici dedicati alla croce di Cristo ne traggo uno di grande suggestione dalla Tradizione dei Padri Orientali. È di san Giovanni Crisostomo:
“Nessuno si vergogni dei segni sacri e venerabili della nostra salvezza, cioè della croce. La croce è la somma e il vertice dei nostri beni, per la quale noi viviamo e siamo ciò che siamo. Tutto ciò che ci riguarda si compie e si consuma attraverso di essa. Quando noi dobbiamo essere rigenerati dal battesimo, la croce è presente; se ci alimentiamo di quel mistico cibo che è il corpo di Cristo, la croce è presente; se ci vengono imposte le mani per essere consacrati ministri del Signore, la croce è presente; qualsiasi altra cosa facciamo, sempre e ovunque la croce ci sta accanto e ci assiste come simbolo di vittoria.
Di qui il fervore con cui conserviamo la croce nelle nostre case, la dipingiamo sulle nostre pareti, la incidiamo sulle porte, la imprimiamo sulla nostra fronte e nella nostra mente, la portiamo sempre nel cuore. La croce è infatti il segno della comune libertà del genere umano, è il segno della misericordia del Signore che per amor nostro si è lasciato condurre come pecora al macello (cf Is 53, 7; cf At 8, 32). Imprimi, dunque, questo segno nel tuo cuore e abbraccia questa croce, cui dobbiamo la salvezza delle nostre anime.
È la croce infatti che ha salvato e convertito tutto il mondo; è la croce che ha bandito l’errore; è la croce che ha ristabilito la verità, è ancora la croce che ha fatto della terra cielo, e degli uomini angeli. Grazie alla croce i demoni hanno cessato di essere temibili e sono divenuti disprezzabili; la morte non è più morte, ma sonno dal quale ci sveglieremo in cielo” (Commento al Vangelo di san Matteo, 54, 4-5).
Ora, quanto sia scomodo e impopolare predicare “Cristo crocifisso e la potenza della croce” lo desumiamo in modo chiaro dalla reazione del governatore romano Festo, il quale, ascoltando la difesa di Paolo dinanzi al re Agrippa, esclamò: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!. E Paolo: Non sono pazzo […] ma sto dicendo parole vere e sagge» (At 26, 24b-25).
Saggezza e verità, allora, promanano dalla croce di Gesù.
Come non ricordare l’eco di un martire dei nostri tempi, il card. Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, che con la sua follia cristica sopravvisse alla dura carcerazione in Vietnam: “Nei momenti in cui stavo per venir meno sotto il peso del male, ti sei mai allontanato da me? Mi eri vicino più che mai. Quando ero tentato di disperare e di abbandonare ogni cosa, quando fuori e dentro la tempesta faceva strage, quando soffiava il vento della calunnia contro le mie intenzioni e i miei atti, Signore tu non mi hai mai abbandonato. Mai il Signore mi abbandonerà ai miei limiti. Sarebbe, altrimenti, ancora Dio?” (in Preghiere di speranza. Tredici anni in carcere).
Il celebre prologo giovanneo «Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) potrebbe qui risuonare: Il Verbo si è fatto croce ed è venuto a morire in mezzo a noi.
Per ogni approfondimento si consiglia la lettura del libro di Salvatore Martinez: Ridire la Fede ridare la speranza, rifare la carità, Edizioni RnS 2011