di Carmine Tabarro
ROMA, domenica, 12 agosto 2012 (ZENIT.org) – Dai dati settimanali sugli spread, la strategia di Mario Draghi finora si sta dimostrando vincente. Il merito di Draghi è di essere riuscito nel momento più difficile, a mantenere unita l’Europa, e di costringere i governi europei ad una convergenza non soltanto economica ma anche e sopratutto politica.
Una strategia che ha spiazzato gli speculatori da molti considerati efficienti; mentre alla prova dei fatti ancora una volta non sono riusciti a prezzare correttamente le strategie di Draghi.
Il punto fondante del disegno politico di Draghi è stato l’irreversibilità dell’euro.
La chiarezza e la fondatezza d’intenzioni del governatore della Bce da sole, sono state sufficienti a calmare e rompere qualsiasi speculazione pro rottura dell’area monetaria, e invertire la fuga di capitali verso la Germania e altri paesi e investimenti che da mesi sono ritenuti sicuri in previsione del collasso dell’euro.
Con il disegno di Draghi la speculazione è destinata a rientrare con una maggiore normalizzazione dei rendimenti dei titoli di stati, tra la Germania e i paesi del sud Europa, con una conseguente migliore allocazione del risparmio a livello europeo.
In altre parole la Bce ha fatto comprendere alla speculazione la quantità di strumenti a disposizione sul fronte della politica monetaria non convenzionale. Ci sono strumenti finora inesplorati, ma che potrebbero essere messe in campo in caso di necessità. Finalmente abbiamo una politica monetaria innovativa, con un vero pagatore di ultima istanza, la Bce.
Un’altro merito che va riconosciuto a Draghi è di aver creato consenso intorno a una politica monetaria decisamente indipendente quando relega gli oppositori, in questo caso il presidente della Bundesbank Weidmann, all’opposizione sulla base del principio democratico e non in funzione del peso del Pil del Paese che rappresentano.
Anche negli Stati Uniti d’altra parte la Fed di Bernanke deve confrontarsi con gli estremisti guidati da teorie monetarie ortodosse. Cosa sarebbe successo se avessero prevalso gli estremisti in Europa ne abbiamo avuto qualche assaggio in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia.
Altro intervento, che va verso il bene comune dell’Europa promosso da Draghi è quello dell’acquisto dei titoli pubblici dei paesi EU. Ma lo farà in un contesto che vedrà impegnati i singoli governi europei a politiche responsabili, quindi completamente diverse rispetto al passato.
Difatti i governi dovranno richiedere l’aiuto dell’Efsf (Fondo europeo di salvataggio). L’insieme di queste manovre eviterà l’attuale balcanizzazione del costo del denaro per famiglie e imprese fra paesi (e come evidenzia il bollettino Bce aumenta nei paesi periferici il rischio di insolvenza delle aziende e delle famiglie).
Purtroppo le strategie di Draghi sono valide nella componente di breve periodo (tassi a 2 anni), nella componente di medio-lungo termine ci sono ancora squilibri forti fra le partite correnti e con alcuni paesi con un alto livello di debiti, come Portogallo e Spagna, e altri creditori, come la Germania.
Ci sono sfortunatamente anche notevoli divergenze nel costo del lavoro per unità di prodotto, nei vari indici di competitività relativa che riflettono diverse condizioni nei mercati del lavoro e dei beni, nella produttività e nel capitale umano. Tutti questi squilibri trovano la loro genesi in politiche economiche errate dei singoli stati, accumulazione di debito – inefficiente – sia pubblico che privato.
Se la Bce acquistasse semplicemente titoli del debito pubblico a lungo termine non potrebbe mai risolvere le riforme strutturali di lungo periodo che i singoli stati devono porre in essere per evitare il fallimento del paese.
Per questi motivi è lecito chiedere ai vari paesi un’accelerazione nelle riforme strutturali affinché rendano omogeneo il meccanismo di trasmissione economico di medio-lungo termine mentre la Bce si concentrerà sul segmento a breve.
Si tratta quindi di una strategia di maggiore coordinamento delle politiche economiche a livello europeo con il fine ultimo della stabilità dell’area euro e la ripresa di una crescita sostenibile.