"L'Apocalisse non sarà un'esperienza tremenda: è l'incontro con l'amico Gesù"

Nell’Udienza Generale di oggi, Benedetto XVI medita sulla preghiera alla Fine dei Tempi

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 5 settembre 2012 (ZENIT.org) – La preghiera nel Libro dell’Apocalisse è stata oggetto della catechesi di papa Benedetto XVI durante l’Udienza Generale odierna, tenutasi in Aula Paolo VI.

Si tratta della prima apparizione pubblica del Santo Padre in Vaticano dall’inizio di luglio: il Papa è giunto in mattinata in elicottero da Castel Gandolfo, per poi fare ritorno presso la propria residenza estiva, subito dopo l’Udienza.

Libro “difficile” ma di “grande ricchezza”, l’Apocalisse “ci mette in contatto con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno del Signore» (Ap 1,10)”, ha spiegato il Santo Padre.

Un’assemblea che, nella sua preghiera, si manifesta in tre fasi distinte. Nella prima (Ap 1,4-8) è rappresentato “un dialogo che – unico caso nel Nuovo Testamento – si svolge tra l’assemblea appena radunata e il lettore, il quale le rivolge un augurio benedicente: «Grazia a voi e pace» (Ap 1,4)”.

L’assemblea ha quindi un sussulto di gioia all’udire il nome di Gesù Cristo, grazie al cui amore “si sente liberata dai legami del peccato e si proclama «regno» di Gesù Cristo, che appartiene totalmente a Lui”.

I primi quattro versetti “ci dicono che la nostra preghiera deve essere anzitutto ascolto di Dio che ci parla – ha proseguito il Papa -. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare, soprattutto a metterci nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per essere attenti a ciò che Dio vuole dirci”.

Un nuovo intervento del lettore “richiama poi all’assemblea, afferrata dall’amore di Cristo, l’impegno a coglierne la presenza nella propria vita”. Vi si descrive (Ap 1,7) il ritorno di Gesù Cristo su una nube, dopo che, proprio su una nube, Egli stesso era asceso al Cielo.

L’assemblea esprimerà il proprio dolore per il proprio peccato e la propria richiesta di perdono al Figlio di Dio. “È la preghiera dell’assemblea, che medita sull’amore di Dio, manifestato in modo supremo sulla Croce e chiede di vivere con coerenza da discepoli di Cristo”, ha spiegato il Pontefice.

Gesù è stato, è e sarà presente e attivo “con il suo amore nelle vicende umane, nel presente, nel futuro, come nel passato, fino a raggiungere il traguardo finale”. La nostra preghiera, quindi, “risveglia in noi il senso della presenza del Signore nella nostra vita e nella storia, e la sua è una presenza che ci sostiene, ci guida e ci dona una grande speranza anche in mezzo al buio di certe vicende umane”.

Peraltro anche la preghiera fatta “nella solitudine più radicale”, non isola mai l’uomo, né è mai sterile ma “è la linfa vitale per alimentare un’esistenza cristiana sempre più impegnata e coerente”.

La seconda fase della preghiera dell’assemblea (Ap 1,9-22) “approfondisce ulteriormente il rapporto con Gesù Cristo” che “si fa vedere, parla, agisce, e la comunità, sempre più vicina a Lui, ascolta, reagisce ed accoglie”. È una preghiera che “assume gradualmente un atteggiamento contemplativo ritmato dai verbi «vede», «guarda»: contempla, cioè, quanto il lettore le propone, interiorizzandolo e facendolo suo”.

L’espressione «una voce potente, come di tromba» (Ap 1,10b) indica la trascendenza di Gesù, mentre “i candelabri d’oro, con le loro candele accese, indicano la Chiesa di ogni tempo in atteggiamento di preghiera nella Liturgia: Gesù Risorto, il «Figlio dell’uomo», si trova in mezzo ad essa e, rivestito delle vesti del sommo sacerdote dell’Antico Testamento, svolge la funzione sacerdotale di mediatore presso il Padre”.

C’è poi il simbolo del fuoco che, nell’Antico Testamento, indica sia la “intensità gelosa” dell’amore di Dio, “che anima la sua alleanza con l’uomo” (cfr Dt 4,24), sia “la capacità inarrestabile di vincere il male come un «fuoco divoratore» (Dt 9,3)”.

Seguono altri tre elementi simbolici che “mostrano quanto Gesù Risorto stia facendo per la sua Chiesa: la tiene saldamente nella sua mano destra – un’immagine molto importante: Gesù tiene la Chiesa nella sua mano – le parla con la forza penetrante di una spada affilata, e le mostra lo splendore della sua divinità”.

Dopo questa inenarrabile esperienza di rivelazione, San Giovanni Apostolo, autore dell’Apocalisse, “cade come morto” e Gesù “lo rassicura, gli pone una mano sulla testa, gli dischiude la sua identità di Crocifisso Risorto e gli affida l’incarico di trasmettere un suo messaggio alle Chiese (cfr Ap 1,17-18)”.

“Una cosa bella questo Dio davanti al quale viene meno, cade come morto – ha commentato il Papa -. È l’amico della vita, e gli pone la mano sulla testa. E così sarà anche per noi: siamo amici di Gesù. Poi la rivelazione del Dio Risorto, del Cristo Risorto, non sarà tremenda, ma sarà l’incontro con l’amico”.

Nella terza e ultima fase della prima parte dell’Apocalisse, Gesù parla in prima persona all’assemblea, in un messaggio indirizzato alle Sette Chiese dell’Asia Minore di ognuna delle quali evidenzia “luci e ombre”, con un pressante invito al “pentimento”, alla conversione”, alla “perseveranza”, alla “crescita nell’amore” e all’“orientamento per il cammino”.

L’Apocalisse, ha quindi commentato Benedetto XVI, “ci presenta una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi”.

La preghiera costante ed intensa permette l’ingresso di Cristo “nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace”. Tanto più si conosce e si ama Gesù, tanto più si sente “il bisogno di fermarci in preghiera con Lui, ricevendo serenità, speranza e forza nella nostra vita”, ha poi concluso il Pontefice.

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ZENIT Staff

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